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29 ottobre 2018 – schiantopaesaggio
il suono dei boschi schiantati è ora un ruggito meccanico
il suono della pala che cerca di aprirsi un varco tra gli abeti rossi e i pini sradicati, spezzati, sfracellati (grinding: apre/devasta/libera)
a centinaia di migliaia, a milioni
e la pala carica e spinge e spezza ancora i monconi tronchi di questi corpi torturati
metallo su legno sbadabang
i fantasmi del bosco che non è più
e si cerca il nastro d’asfalto
che sta sepolto lassotto
questi alberi
che il cataclisma degli scorsi giorni ha gettato, scagliato, a terra
sulle strade, sulle case, nei torrenti
- in certi punti ce n’è più a terra che in piedi e molti, moltissimi altri, scossi, inclinati e malfermi, andranno abbattuti
e portati via
e sono troppi, è già chiaro
questi alberi, dicevamo
gettati dal vento sulle centraline e sui tralicci, nella montagna dolomitica, massacrata, come e peggio che altrove
peggio perché se n’è detto meno, anche, che l’abbiamo visto solo noi che siamo qua
che nell’alto piave, cadore, comelico, zoldano e agordino, massacrati,
ogni genere di connessione è cessata in un istante, lunedì scorso
e per quattro giorni è stato l’isolamento totale
che per molti continua
e che era iniziato già il ventiquattro
con le prime raffiche da sud, oltre i cento orari
che lunedì ventinove son diventati duecento
e noi stessi non abbiamo saputo quasi nulla del mondo fuori di qui, per giorni
e nemmeno del paese accanto, irraggiungibile
senza luce, telefono, informazioni di sorta
nulla si sapeva
tranne che lo stato di criticità idrogeologica e idraulica non era affatto un’enfasi eccessiva o una sopravvalutazione
come han sostenuto all’inizio taluni imbecilli all’osteria (sui giornali)
ed eravamo bloccati, inchiodati, alcuni evacuati (perarolo)
i volontari dei vigili del fuoco in giro a gruppi, all’inizio, su per le strade della montagna
isolati dai comandi, da tutti gli altri
in formazione compatta
motoseghe sguainate e pala
ad abbattere e spostare i tronchi più grossi
in mezzo alla distruzione
increduli e allibiti e abili
come in uno stato di shock, ma operativo
a liberar le persone (noi la prima notte eravamo prigionieri, impossibile uscir dalle case, fuori la devastazione e gli schianti, continui, continui)
senza informazioni, senza alcuna possibilità di coordinamento con il resto della forza
coi volontari, a scavare i primi varchi
questi alberi, che il vento ha gettato in terra, lanciandoli sulle strade, sulle case, nei torrenti
le strade tramutate in torrenti, i torrenti in fiumi di fango e sfasci e detriti (e una pala, a cortina)
sempre più carichi veloci e violenti
nessuna capacità d’invaso alle dighe, quasi da subito
le case con le voragini per tetto, alberi sui tetti e dentro alle case
schianto su schianto
mentre i ru si gonfiavano ancora e ancora
e il rumore cresceva sempre, senza tregua
un suono cupo sordo crescente, come d’un tuono inabissatosi in faglia
come se il cielo incazzato si fosse slanciato giù nel fulmine, infiggendosi in terra, per scavarla poi di nuovo da sotto, in risalita tellurica
e infatti tremava il suolo, come un’onda
(noi alle ville sentivamo anche la vibrazione dell’antelao che scaricava nella ruina di cancia, che ha tenuto perfettamente)
e infatti le radici son riverse fuori ora, al cielo
che piove ancora, e ancora, e ancora
e vediamo, snudate, le ghiaie al fondo (a borca riaffiora il covo di vipere)
questo formidabile patrimonio, che, giocondi, siamo abituati a considerare eterno
eternamente disponibile
per scoprire poi ad un tratto, in un istante drammatico, che non è così
e la foresta si è fatta rada, è esplosa, come dopo le bombe a grappolo
quant’era bella, e ordinata, questa natura distesa lo capiamo bene ora
a vederla scempiata, fatta a pezzi
e ciò comporterà dissesti e pericoli ulteriori, lo sappiamo: e della necessità della cura che viene ora, l’uomo saprà fare un’opportunità, d’agire bene per il territorio?
o compirà invece l’acme, di questo scempio?
lo vedremo, e bisognerà immaginare una politica (cristo, ne siamo stati capaci mai?), magari anche prima che da nord calino le ditte di utilizzazioni boschive d’austria e germania, a prendersi l’enorme quantità di legno
il cui prezzo inevitabilmente crollerà, e buonanotte
e allora perché non pensare a costruire una filiera di riuso, qua, e le biomasse: ma questo o latro si vedrà poi, se mai si vedrà
ora la corrente torna, in molti paesi, non tutti, grazie ai trecento generatori di enel anche
questo zaia lo sa fare
ma ci vorrà tempo anche solo per ripristinar le linee
tenete spente le lampade, voi smargiassi dei palazzi di luce, non è quello il segnale da dare (chi non ha testa non l’acquista)
e poi, sarà la trincea del paesaggio, da fare ancora
e noi la faremo, la nostra parte, come sempre
mica mettiamo le opere nelle sale, qui
mica la tumulazione museale retrattile
di chi nel bosco non sa stare
fammi un piacere vah,
la procedura è un’altra, se sai essere nella cosa
prendi un badile, o la psicosega, e impara a menarla
facciamo le opere, del paesaggio:
facciamole
gdil, 31 ottobre 2018, borca di cadore
—
la diga di valle di cadore
comelico superiore
sottoguda
val visdende
fassa e fiemme
asiago
turismo inverno
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