12 aprile 2018

Si è svolto giovedì 12 aprile 2018, presso il Centro Studi Ambiente per l’Alpino di San Vito di Cadore, sede del Dipartimento TESAF, il primo incontro operativo di Sanvido Apede, il tavolo di lavoro che, nei prossimi due anni, vedrà il Comune di San Vito, l’Università degli Studi di Padova, Dolomiti Contemporanee ed un serie di altri enti e soggetti territoriali, lavorare insieme alla definizione di una serie di possibili linee guida per la valorizzazione e la rigenerazione del centro storico di San Vito, per la gestione del capitale naturale e per la mitigazione del rischio idrogeologico, al fine
[continua a leggere]

8 febbraio 2018

Dopo un percorso di avvicinamento, e la firma di una Convenzione tra Comune di San Vito di Cadore e Università degli Studi di Padova, ieri, 7 febbraio 2018, prima riunione informale del gruppo di lavoro di San Vito/Valle del Boite, presso il Centro Studi Ambiente Alpino di San Vito, che è una struttura importante, storicamente, e per l’ottimo lavoro che vi si svolge, nello studio, nella preservazione, nell’attivazione di progetti rinnovativi legati alla foresta alpina e al territorio montano.Qui un brevetto intelligente sviluppato al CSAA. Dolomiti Contemporanee ha favorito dal principio questo tavolo di lavoro, partecipandovi e contribuendo ad
[continua a leggere]

16 gennaio 2018

16 gennaio 2018, Dolomiti Contemporanee e Progettoborca sono stati, finalmente, in visita al Lanificio Paoletti di Follina: a tramare. con Gianluca D’incà Levis, Paolo Paoletti, Anna Poletti, Denis Riva, Elena Maierotti, Deriva, Lui e Hugo. meraviglioso e stupefacente, il lanifico paoletti, colla sua storia viva, che non è una flebile memoria, ma un argano infisso nelle scorze di un passato risorgivo, mai soluto (…il segreto dei pigmenti duraturi…). che siamo finalmente andati a visitare stamattina: questa storia antica di follina, col fenomeno millenario delle prototessiture, e poi dell’impresa tessile diffusa dal ’600 a ieri, il
[continua a leggere]

6 novembre 2017

Il 31 ottobre 2017 si è chiusa definitivamente Fuocoapaesaggio, la mostra con cui, il 20 maggio scorso, si è inaugurato il Forte Monte Ricco a Pieve di Cadore. Qui di seguito, alcune considerazioni del curatore di Dolomiti Contemporanee, Gianluca D’Incà Levis, che fanno parte del Report conclusivo. Le Lasportiva di Romano Tabacchi, rinvenute in Batteria Castello: scala, che ti fa bene L’apertura del Forte di Monte Ricco: il Contemporaneo quale generatore di identità culturale, che attrezza le reti per una gestione sostenibile. Il Forte di Monte Ricco, straordinaria rocca restaurata, è un manufatto eccezionale. La qualità architettonica della
[continua a leggere]

26 ottobre 2017

Giovedì 28 dicembre 2017, dalle ore 17.00 alle ore 20.00, si svolgerà presso il Nuovo Spazio di Casso al Vajont un round table aperto agli artisti, nel corso della quale si discuterà sui progetti realizzati e avviati nel 2017 nei siti di Casso, Borca di Cadore e Piave di Cadore. I progetti saranno presentati attraverso immagini e proiezioni. La mattina del giorno 29, è prevista un’escursione sul Troi de Sant’Antoni e Trui del sciarbon.  Il Nuovo Spazio di
[continua a leggere]

4 ottobre 2017

Dolomiti Contemporanee al Rifugio MarcesinaSabato 7 ottobre, ore 15.00 Rifugio Marcesina, Enego (Vi) Alcuni uomini albergano in sé, come elementi organici o culturali, parti d’orso, di lupo, di cervo. Così finalmente possono correre per i boschi e per le crode, ululando, bramendo, DIVORANDO. Quali predatori infestano i paesaggi? Di cosa si nutre l’uomo, e perchè? Infestare non coincide necessariamente con offendere: può esser fendere, o fare la festa. Fendere il paesaggio, con il dente, l’aratro, la picca, le lame affilate. Dolomiti Contemporanee cala dal regno delle crode vive, dalle stazioni in ambiente di Casso e Borca di Cadore. E
[continua a leggere]

30 settembre 2017

Casa Cametti a Vitorchiano (Viterbo) Complesso di Sant’Agnese Opening 30 settembre 2017, ore 15.00 Una selezione di video relativi all’esperienza di Simone Cametti alla Colonia di Borca di Cadore con Casa Cametti va in mostra a Vitorchiano, dal 30 settembre al 5 novembre 2017. L’installazione è inserita nel programma dei Percorsi nell’arte, proposti dall’Accademia Nazionale di San Luca (cinque artisti in cinque siti sparsi nella Provincia di Viterbo: oltre a Cametti, Andrea Aquilanti, Luigi Ontani, Marina Paris, Pier Paolo Perilli).   Dalla montagna L’ex Villaggio Eni di Corte di Cadore è una struttura prodigiosa, dove, negli
[continua a leggere]

25 agosto 2017

Campo di fiamma performance di suono, pittura e fuoco Venerdì 25 agosto, Forte di Monte Ricco, Pieve di Cadore (Bl) dalle ore 18.00 alle ore 19.30 Dafish + Miglietta (Anterra) + Andrea Visentini a cura di Dolomiti Contemporanee Venerdì 25 agosto 2017, dalle ore 18.00 alle ore 19.30, nel cortile interno del Forte di Monte Ricco, si è svolta la performance Campo di fiamma, con i suoni di Dafish + Miglietta (Anterra), che han portato il fuoco nell’aria, incendiandola. Dafish è Federico De Martin Topranin, musicista ittico. Angelo Miglietta è cantante e chitarrista del gruppo Anterra: qui alle percussioni.
[continua a leggere]

17 agosto 2017

  Nessun paesaggio preesiste all’uomo: uomo e ambiente sono profondamente interconnessi. Il paesaggio non vive dunque di sé stesso, ma delle pratiche che l’uomo vi attiva, abitandolo e costruendolo ogni giorno. Smach, Costellazione di arte, cultura e storia nelle Dolomiti, è un progetto che porta l’arte contemporanea in seno al paesaggio, coltivandolo, vivificandolo. L’edizione 2017 di Smach ha visto la partecipazione di 140 artisti, nove dei quali sono stati indicati dalla Giuria (scroll) quali vincitori. Le opere proposte dai nove artisti selezionati sono dunque state realizzate e installate in ambiente. Ognuna collocata in un sito differente, tra San
[continua a leggere]

11 luglio 2017

Tra le numerose attività artistiche, culturali e d’innovazione coltivate dal 2014 dell’ex Villaggio Eni di Corte di Cadore attraverso la piattaforma di Progettoborca, molte hanno carattere laboratoriale e sperimentale. Nell’estate 2016, Dolomiti Contemporanee ha realizzata un programma di formazione che ha messo in connessione la didattica legata al digitale, alle pratiche della rigenerazione, all’arte contemporanea e all’ambiente dolomitico: il Dolomiti Digital Camp è stata un’esperienza significativa, sviluppata in collaborazione con H-Farm. In questo contesto, Giuseppe Vigolo, artista e docente, affiancato da Alberto Balletti e da
[continua a leggere]

Cadore: Margherita di Savoja a Perarolo


avanti savoja
, qualcuno ce l’ha sentito dire già: regale ironia di che?

la Regina Margheritaregina delle arti e di ogni cosa bella, diceva Benedetto Croce villeggiò a Perarolo di Cadore nel 1881 e ’82.
Allora, si sa, l’amava Carducci, che diec’anni dopo scrisse nell’ode al cadore …”al Cidolo ferve Perarolo“…

Poi la Maria Teresa Giovanna tornò ad ovest, e a Gressoney fece saltare il cuore al Barone Peccoz, l’anaerobico.

Allora, Perarolo era il centro commerciale del Cadore (“lariz pez e pin fa le spese ai cadorin“), la grande industria veneta del legname s’alzava (e fluitando scendeva) da qui.

Riporteremo la Regina a Perarolo, dove la concentrazione di elementi storici e culturali e ambientali genera (generò = genera) una confluenza straordinaria (come quella di Piave e Boite).
pochi lo sanno -mentre diversi tangheri quassù fingono di non saperlo e si lisciano le penne poco più in alto -ma in alto sta chi non è basso: fèrvere.

Il libro: Margherita, una Regina sulle Dolomiti

Il cidolo sul Piave (l’altro era sul Boite), in una foto originale (Luigi Burrei o F.lli Riva? – circa 1900, archivio burrei)

 —

Giosuè Carducci, Ode al Cadore (scritta “In piazza di Pieve del Cadore e sul lago di Misurina”, settembre 1892)

Cadore1

|

Sei grande. Eterno co ‘l sole l’iride 

de’ tuoi colori consola gli uomini,

sorride natura a l’idea

giovin perpetüa ne le tue

forme. Al baleno di quei fantasimi

roseo passante su ‘l torvo secolo

posava il tumulto del ferro,

ne l’alto guardavano le genti;


e quei che Roma corse e l’Italia,

struggitor freddo, fiammingo cesare,

sé stesso obliava, i pennelli

chino a raccogliere dal tuo piede.

Di’: sotto il pedo de’ marmi austriaci,

in quel de’ Frari grigio silenzio,

antico tu dormi? O diffusa

anima erri tra i paterni monti,


qui dove il cielo te, fronte olimpia

cui d’alma vita ghirlandò un secolo,

il ciel tra le candide nubi

limpido cerulo bacia e ride?

Sei grande. E pure là da quel povero

marmo più forte mi chiama e i cantici

antichi mi chiede quel baldo

viso di giovine disfidante.


Che è che sfidi, divino giovine?

la pugna, il fato, l’irrompente impeto

dei mille contr’uno disfidi,

anima eroica, Pietro Calvi.

Deh, fin che Piave pe’ verdi baratri

ne la perenne fuga de’ secoli

divalli a percuotere l’Adria

co’ ruderi de le nere selve,

che pini al vecchio San Marco diedero

turriti in guerra giù tra l’Echinadi,

e il sole calante le aguglie

tinga e le pallide Dolomiti

si che di rosa nel cheto vespero

le Marmarole care al Vecellio

rifulgan, di palagio di sogni,

eliso di spiriti e di fate,


sempre, deh, sempre suoni suoni terribile,

ne i desideri da te memorie

o Calvi, il tuo nome; e balzando

pallidi i giovini cerchin l’arme.

||

Non te, Cadore, io canto su l’arcade avena che segua

          de l’aure e l’acque il murmure:

te con l’eroico verso che segua il tuon de’ fucili

          giù per le valli il celebro.

Oh due di maggio, quando, saltato su ‘l limite de la

          strada al confine austriaco,

il capitano Calvi – miaulavan le pale d’intorno-

          biondo, dritto, immobile,


leva la punta e la spada, pur fiso al nemico mirando,

          il foglio e ‘l patto d’Udine,

e un fazzoletto rosso, segnale di guerra e sterminio,

          con la sinistra sventola.

Pelmo a l’atto e Antelao da’ bianchi nuvoli il capo
          
grigio ne l’aere sciolgono,
come vecchi giganti che l’elmo chiomato scotendo

          a la battaglia guardano.

Come scudi d’eroi che splendon nel canto de’ vati

          a lo stupori de i secoli,

raggianti nel candore, di contro al sol che pe ‘l cielo

          sale, i ghiacciai scintillano.

Sol de le antiche glorie, con quanto ardore tu abbracci

          l’alpi ed i fiumi e gli uomini!

tu fra le zolle sotto le nere boscaglie d’abeti

          visiti i morti e susciti.


– Nati su l’ossa nostre, ferite, figliuoli, ferite

          sopra l’eterno barbaro:

da’ nevai che di sangue tingemmo crosciante, macigni,
          valanghe, stritolatelo. –

Tale da monte a monte rimbomba la voce de’ morti
          
che a Risecco pugnarono;

e via di villa in villa con fremito ogn’ora cresente
          
i venti la diffondono.


Afferan l’armi e a festa i giovani tizïaneschi

          scendon cantando Italia:

stanno le donne a’ neri veroni di legno fioriti

          di geranio e garofani.

Pieve che allegra siede tra’ colli arridenti e del Piave

          ode basso lo strepito,

Auronzo bella al piano stendentesi lunga tra l’acque

          sotto la fósca Ajàrnola,


e Lorenzago aprica tra i campi declivi che d’alto

          la valle in mezzo domina,

e di borgate sparso nascose tra i pini e gli abeti

          tutto il verde Comelico,

ed altre ville ed altre fra pascoli e selve ridenti

          i figli e i padri mandano:

fucili impugnan, lance brandiscono e roncole: i corni
          
de i pastori rintronano.

Di tra gli altari viene l’antica bandiera che a Valle

          vide altra fuga austriaca,

e accoglìe i prodi: al nuovo sol rugge e a’ pericoli novi
          
          il vecchio leon veneto.


Udite. Un suon lontano discende, approssima, sale,

          corre, cresce, propagasi;

un suon che piange e chiama, che grida, che prega, che infuria,

          insistente, terribile.

Che è? chiede il nemico venendo a l’abboccamento,

          e pur con gli occhi interroga.

— Le campane del popol d’Italïa sono: a la morte

          vostra o a la nostra suonano — .

Ahi, Pietro Calvi, al piano te poi fra sett’anni la morte

          da le fosse di Mantova

rapirà. Tu venisti cercandola, come a la sposa

          celatamente un esule.

Quale già d’Austria l’armi, tal d’Austria la forca or ei guarda

          sereno ed impassibile,

grato a l’ostil giudicio che milite il mandi a la sacra

          legïon de gli spiriti.

Non mai piú nobil alma, non mai sprigionando lanciasti

          a l’avvenir d’Italia,

Belfiore, oscura fossa d’austriache forche, fulgente,

          Belfiore, ara di màrtiri.
Oh a chi d’Italia nato mai caggia dal core il tuo nome

          frutti il talamo adultero

tal che il ributti a calci da i lari aviti nel fango

          vecchio querulo ignobile!



e a chi la patria nega, nel cuor, nel cervello, nel sangue

          sozza una forza brulichi

di suicidio, e da la bocca laida bestemmiatrice

          un rospo verde palpiti!

|||

A te ritorna, sì come l’aquila

nel riluttante dragon sbramatasi

poggiando su l’ali pacate

e l’aereo nido torna e al sole,


a te ritorna, Cadore, il cantico

sacro a la patria. Lento nel pallido

candor de la giovine luna

stendesi il murmure de gli abeti


da te, carezza lunga su ‘l magico

sonno de l’acque. Di biondi parvoli

fioriscono a te le contrade,

e da le pendenti rupi il fieno


falcian cantando le fiere vergini

attorte in nere bende la fulgida

chioma; sfavillan di lampi

ceruli rapidi gli occhi: mentre


il carrettiere per le precipiti

vie tre cavalli regge ad un carico

di pino da lungi odorante,

e al cidolo ferve Perarolo,

e tra le nebbie fumanti a’ vertici

tuona la caccia: cade il camoscio

a’ colpi sicuri, e il nemico,

quando la patria chiama, cade.


Io vo’ rapirti, Cadore, l’anima

di Pietro Calvi; per la penisola

io voglio su l’ali del canto

aralda mandarla. – Ahi mal ridesta,

ahi non son l’Alpi guancial propizio

e sonni e sogni perfidi, adulteri!

lèvati, finì la gazzarra:

lèvati, il marzïo gallo canta! –

Quando su l’Alpi risalga Mario

e guardi al doppio mare Duilio

placato, verremo, o Cadore,

l’anima a chiederti del Vecellio.

Nel Campidoglio di spoglie fulgido,

nel Campidoglio di leggi splendido,

ei pinga il trionfo d’Italia,

assunta novella tra le genti.

1   Per gratitudine mia, se non per cenno ad altri, ricordo alcuni libri che discorrono dei combattimenti del 1848 in Cadore e d’altre piú cose cadorine. E prima: del prof. Ant. Ronzon, Calvi e i Cadorini (Tai del Cadore, 1875) e Rindemera, Scene del Cadore nel 48 (Lodi, 1881); e del [p. 1057 modifica]sig. Venanzio Donà, Guida del Cadore (Venezia, 1888); questi o videro o udirono dai presenti. Poi il sig. Ottone Brentari raccolse e rinnovò abbondante nella sua Guida storico-alpina del Cadore (Bassano 1886). A questi ultimi giorni il colonnello Gennaro Moreno ha raccontato, con intendimenti e dottrina militare, Calvi e la difesa del Cadore (Roma, Biblioteca minima popolare militare). Per dichiarazione al vocabolo cidolo e al v. 8 della pag. 983 ecco un passo dalla Storia del popolo cadorino compilata da Giuseppe Ciani (Padova, Sicca, 1856) parte prima libro primo, pp. 11-13. Detto delle travi d’alberi lavorate e acconciate e nel maggio spinte nel Piave che li trasporta a Perarolo; séguita — “Ma non vi giungono sí presto: altre dall’impeto dell’onda gittate in sulle sabbie, altre dagli spessi e saldi massi, che sporgonsi dall’alveo, contenute. Il che or qua or là quasi sempre interviene, e la prima, che dando di cozzo ne’ massi si ferma, tronca il corso alle succedentisi; onde s’aggruppano, s’incavallano, s’ammonticellano, sí, che per lungo tratto tu non iscorgi sul fiume che un’incomposta tettoia. I paesani appellano serre questi inviluppi: a districarli accorronvi uomini in questa fatta di opere esercitati; ché non tanto il fiume, che solo vi basti. Questi uomini si chiamano Menadàs: cure loro le stesse che dei Dendrofori presso a’ Romani. Dipendenti da un capo, muniti di lunghe aste ferrate di uncini aguzzi e rampiconi, calano fra greppo e greppo, ove le serre e le sbandate in sulle sabbie: ricaccian queste nel fiume; uncinano, aggrappano disviticchiano le rammassate, né si stanno che assembratele nel Cidolo. Un edifizio codesto a cavalliere del Piave presso a Perarolo: piantato su d’ambedue le ripe, l’estremità sí da un lato che l’altro torcendosi, addentransi alquanto nel fiume; grosse travi le congiungono quivi insieme; congegnate a foggia di cancello, se all’acque, non concedono l’uscita alle taglie. Gli stessi che addusserle, da quella chiudenda l’estraggono; conoscitori delle marche onde s’improntano, avvianle [p. 1058 modifica]a’ segatoi eretti lunghesso il fiume, conforme è loro ordinato: quivi ammonticchianle a che s’asciughino: asciutte son date alle seghe; ridotte in tavole, sulle zattere traduconle pel fiume a Venezia, o lascianle per via ove i magazzini de’ proprietari.