31 dicembre 2017

Gli atti del convegno strategie di rigenerazione del patrimonio industriale, svoltosi il 30 e 31 marzo 2017 presso l’ex lanifico maurizio sella di biella, sono stati pubblicati da Edifir Edizioni Firenze a dicembre 2017, per la cura di Cristina Natoli e Manuel Ramello. qui il saggio di gianluca d’incà levis presente nella pubblicazione, titolato dolomiti contemporanee: inessenzialità del budget, concretezze
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27 maggio 2017

Cultura in Friuli 3,  Atti della Settimana della Cultura friulana (5-16 maggio 2016) raccoglie gli interventi dei relatori dell’edizione 2016 della Setemane. Edito dalla Società Filologica friulana, il volume è a cura di Matteo Venier e Gabriele Zanello.Si riporta qui il contributo del curatore di Dolomiti Contemporanee, Gianluca D’Incà Levis, al convegno: L’educazione al patrimonio culturale, il ruolo dei musei promosso dalla Magnifica Comunità di Cadore e svoltosi a San Vito di Cadore l’11 maggio
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20 maggio 2016

dolomiti contemporanee ha partecipato a Tasting the Landscape, 53esimo congresso mondiale ifla (International Federation of Landscape Architects), che si è svolto al al centro congressi lingotto di torino,  dal 20 al 22 aprile 2016. TTL intende promuovere una riflessione sul ruolo fondante dell’approccio creativo al paesaggio, che derivi da un rapporto concreto e percettivo con il luogo e che porti ad un’indagine approfondita e alla rielaborazione di quelle immagini, pratiche e segni che possono influenzare l’andamento della trasformazione di regioni e paesaggi. Dolomiti Contemporanee partecipa nel tema Inspiring Landscape, con un
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14 maggio 2016

George microzine è una mini-fanzine a cura di cose cosmiche e pubblicata da Arthur Cravan Foundation. Il primo numero di George tratta le modalità di organizzazione di una resistenza collettiva. If the only way to make an escape revolutionary is to pick up arms, we ask: which weapon would you tuck in your pocket? Qui di seguito il pezzo di Gianluca D’Incà Levis per
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19 marzo 2016

Quotidiana è un progetto per l’arte contemporanea attivo dal 1995, realizzato dall’Ufficio Progetto Giovani del Comune di Padova.è a cura di Gianluca D’Incà Levis il primo seminario di Quotidiana a parole, dedicato agli artisti protagonisti di Quotidiana esposizione, che ha avuto luogo sabato 19 marzo.Qui di seguito un testo che riassume le questioni affrontate durante la
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15 marzo 2016

Giuseppe Vigolo e Antonella Zerbinati partecipano con Santos Dìas alla mostra Index Roma (26 febbraio al 17 aprile 2016), presso la Calcografia Nazionale della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid. La mostra raccoglie i lavori realizzati dai borsisti della Real Academia de España en Roma nel 2014-2015.in catalogo un testo di gianluca d’incà levis, qui di seguito riportato. — ita (scroll for esp) Santos Dìas – Giuseppe Vigolo/ Antonella Zerbinati la traiettoria circolare del proiettiledi gianluca d’incà levisma che cos’è l’arte, se non questo proiettile sottile del senso, e realmente incisivo a
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6 dicembre 2015

dolomiti contemporanee ha partecipato a Tasting the Landscape, 53esimo congresso mondiale ifla (International Federation of Landscape Architects), che si è svolto al al centro congressi lingotto di torino,  dal 20 al 22 aprile 2016. TTL intende promuovere una riflessione sul ruolo fondante dell’approccio creativo al paesaggio, che derivi da un rapporto concreto e percettivo con il luogo e che porti ad un’indagine approfondita e alla rielaborazione di quelle immagini, pratiche e segni che possono influenzare l’andamento della trasformazione di regioni e paesaggi. Dolomiti Contemporanee partecipa nel tema Inspiring Landscape, con un
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22 ottobre 2015

paesaggi contemporanei: geografie dei paesaggi economici giovedì 13 agosto 2015 forni di sopra (ud) sintesi dell’intervento del professor pier luigi sacco, ospite relatore della sessione pomeridiana di paesaggi contemporanei, dal titolo cultura, sviluppo e territorio: dall’eventificio alla comunità di
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7 ottobre 2015

Contest  Il 1BBDC (First Borca Boulder Dolomiti Contest) è un contest di bouldering in ambiente, che Dolomiti Contemporanee prevede di realizzare nel 2016 all’interno dell’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, “cantiere di arrampicata culturale” inaugurato a luglio 2014 con Progettoborca. Si tratta di un progetto culturale, che si sviluppa nel PBLab. L’Associazione Party BLock (Belluno) curerà l’evento sportivo. Dolomiti Contemporanee e Progettoborca Nel 2014, l’attuale proprietà del sito (Gruppo Minoter-Cualbu) ha affidato a Dolomiti Contemporanee l’incarico di avviare un programma di valorizzazione culturale e ripensamento
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#pblab0 – Cane a sei zampe, rebranding Quasi ogni oggetto, all’interno dell’ex Villaggio Eni, è brandizzato: il celebre cane a sei zampe, logo storico di Eni, campeggia su ogni piatto, tazza, coltello. E sulle coperte in lana, che allora furono realizzate da Lanerossi, e che ancora utilizziamo nella Residenza di Dolomiti Contemporanee a Borca. Oggi, due giovani artisti e designers di moda, Anna Poletti e Giorgio Tollot, hanno preso queste coperte originali, e le hanno trasformate in cappotti vintage. Rebranding, rigenerazione, e coltivazione rinnovativa del patrimonio storico, attraverso le idee e le arti. E’ questo uno dei primi progetti
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Winter Academy T.UN.NA – Trentino School of Management – La costruzione della montagna

A novembre 2019, Dolomiti Contemporanee ha partecipato alla Winter Academy T.UN.NA (Academy internazionale sul turismo sostenibile nelle aree naturali UNESCO) della Trentino School of Management.

Martedì 26 novembre 2019 – Winter Academy T.UN.NA – Cavalese

L’intervento di Gianluca D’Incà Levis (scroll for eng):

La costruzione della Montagna e del Paesaggio. Visioni e pratiche costruttive per rigenerare le risorse naturali.
La Montagna è un’architettura costruenda, non un fossile inerte, né una cava inesauribile.
Il valore (turistico, ricreativo, forestale, culturale) va prodotto, non consumato. Ma per fare questo serve innanzitutto una grande capacità di ricerca e produzione culturale, che consenta di immaginare nuovi modelli di gestione e risignificazione delle risorse naturali e nuovi modi di gestione dei beni, tra pubblico e privato.


Sono Gianluca D’Incà Levis, non mi occupo di turismo, ma d’arte, cultura, cura e curatela, rigenerazione del territorio e del patrimonio. 
E di riflettere, attraverso le pratiche che vi illusterò, su identità, valore, potenzialità di utilizzo e riutilizzo, da parte dell’uomo, di ambiente naturale e paesaggio, queste risorse preziose, la cui gestione genera così tante opportunità, e problemi.
Nel 2011 ho avviato Dolomiti Contemporanee.

Si tratta di un programma culturale, che è teso a produrre (e a rigenerare) valore in modo concreto.
Valore che si produce non per venderlo, ma per contribuire a generare conspevolezza, ovvero a formare conoscenza.
Questo è la cultura: non un mercato, ma la consapevolezza intellettuale dell’uomo rispetto alla propria terra (e alle altre terre), nel pensiero, come nelle arti e nelle scienze.

Lavoriamo a capire a fondo la montagna, valorizzare risorse, mettere in luce l’attitudine e le qualità del territorio, a favore dei territori stessi e dell’uomo.
Produrre valore nuovo, spesso a partire da quel che c’è già, compreso il valore perduto.

Mentre parlo, vedete susseguirsi le immagini relative ai siti che rigeneriamo nelle Dolomiti. Grandi siti abbandonati o sottoutilizzati, che giacciono inerti, mentre potrebbero aiutare il territorio a crescere, portando sviluppo.

Ci interessa la qualità e il valore dell’ambiente naturale, della nostra montagna.
E anche dell’ambiente costruito, ovvero del Paesaggio.

Siamo nel 2019, siamo in Occidente e siamo nell’Antropocene: le due cose, ambiente e costruzione, natura e infrastruttura, sono a questo punto profondamente legate, e inscindibili.
La natura vergine e incontaminata non esiste.
Chi si occupa di turismo, vuole ad esempio utilizzare il valore-natura non per contemplarlo o preservarlo, ma per renderlo disponibile a flussi di persone.
E’ molto difficile per me distinguere il bene naturale dal paesaggio dell’uomo, che è costruito.

Non è proprio possibile farlo, direi.

Chi lo fa tende a segregare e compartimentare informazioni e conoscenze, invece che unirle secondo una logica di profitto generale (non solo economico). 
I saperi, come le competenze tecniche, devono convergere, non procedere distinti, separati, paralleli. Separarli è pericoloso. Allo stesso modo è poco funzionale ogni azione specifica, o tecnica, che non sia inquadrata entro una visione strategica, figlia d’un idea.

E’ assurdo, in tal senso, occuparsi del patrimonio ambientale senza collocarlo nel suo contesto antropico, analizzando le specificità, le necessità, le criticità, le potenzialità dell’intero sistema interconnesso.

In questo senso, vorrei ricordare la definizione di Paesaggio che ci viene da Edoardo Gellner, l’architetto che negli anni ‘50 e ‘60 costruì il Villaggio Eni di Borca di Cadore, la stazione di welfare aziendale voluta dal grande Enrico Mattei.

Si tratta di una gigantesca infrastruttura perfettamente inserita nel bosco, ai piedi del Monte Antelao.
Oggi DC lavora ad una serie di idee che possano condurre al suo riuso (una parte del Villaggio è inutilizzata), anche in relazione ai grandi eventi sportivi del 2021 e 2026, che interesseranno Cortina d’Ampezzo, ed anche, ci si augura, il resto del territorio dolomitico, e non solo.

Bene, la definizione di Paesaggio che da Gellner è questa: la sommatoria di ambiente naturale e azione dell’uomo.

Se questo è vero, ed è vero, non è possibile occuparsi di natura senza occuparsi di progetto.

Noi siamo qui ora a capire come la natura può servire all’uomo, giusto?
Bene, rispetto a questo utilizzo che vogliamo fare della natura a nostro favore, aggiungo una nota precauzionale necessaria:
per lavorare bene, in qualsiasi ambito, e soprattutto se vogliamo parlare di utilizzabilità di una risorsa e di sostenibilità, dobbiamo saper distinguere chiaramente tra mero consumo e fruizione responsabile.

Dico questo perché ogni giorno vedo persone poco attente o poco capaci, anche tra quelle che si occupano di turismo, spremersi la mente per capire quale sia il metodo più proficuo per sfruttare a fondo tutto il potenziale di attrattività del territorio, delle Dolomiti.
Tutto il potenziale, e ad ogni costo.

Questo mito, questo Graal, questa eccitazione per il turismo come industria intensiva.

Contro la visione ottusa e massiva, che vede nel territorio e nella montagna un valore commercializzabile e vendibile, un potenziale da spremere, ci opponiamo, attraverso l’intelligenza e la riflessione e le pratiche costruttive.

D’altro canto, ogni giorno vediamo altre persone che, per tutelare e proteggere il paesaggio, lo imprigionano, paralizzando la risorsa, e impedendone un uso corretto.

Nessuna delle due cose, cieco sfruttamento intensivo, tutala integralista, va bene.
La via sta nel mezzo.
E, talvolta, la via è una pratica sperimentale, che consente di compiere un focus sul potenziale della risorsa, immaginandone un uso corretto, e magari non banale.


Ma cosa facciamo dunque, cosa fa DC?

Nella pratica, ci occupiamo di ridare vita a una serie di siti ad alto o altissimo potenziale, ma oggi inattivi, sparsi nel territorio e nel paesaggio della montagna dolomitica.
Questi siti, che selezioniamo con cura tra molti, sono stati abbandonati, oppure sono sottoutilizzati. Essi costituiscono un Patrimonio, al pari dell’ambiente naturale, nel quale sono inseriti.

L’obiettivo è quello di riutilizzarli e farli rivivere, cosicchè essi tornino ad essere utili al territorio. A chi ci vive, come a chi ci viene.

I siti sono potenzialmente molto attrattivi, per motivi storici, di pregio, culturali, e, sempre, nella relazione d’artifzio, potentemente frizionale, che l’architettura pone con il paesaggio.
Ma essi sono interessanti, e potenzialmente utili, anche e soprattutto ad un livello logistico, pratico.
Sono siti intelligenti, che l’uomo, non sapendoli ripensare, ha fatto diventare stupidi.
Ogni tentativo di rigenerarli, da parte delle proprietà, della politica, della governance territoriale, è fallito.
Noi ci riproviamo, e spesso ci riusciamo.

Una volta riattivati, essi siti possono ospitare attività connesse al territorio, al lavoro, alla cultura e al turismo (vengono in quest’ordine. non confondere tra struttura e funzione).

Mentre li rigeneriamo, vi accogliamo già le persone, il pubblico cosiddetto.
Nel complesso, accogliamo migliaia di persone ogni anno.
Molti sono turisti culturali.
Molti altri sono manager, rappresentanti di amministrazioni o istituzioni, progettisti, architetti, artisti, designer, e così via. 

I siti abbandonati vengono popolati dunque, attraverso le Residenze internazionali che attiviamo al loro interno, aperte ad artisti, architetti, designer, scienziati, filosofi, esperti del clima e della foresta, alpinisti, economisti, intellettuali, produttori, aziende e amministrazioni territoriali.
Trasformiamo i siti morti in cantieri attivi, che ripensano sé stessi, il territorio, il senso stesso del fare.

Ora, per spiegare meglio come lavoriamo e perché, vorrei chiarire un paio di cose.
A chi appartengono questi siti?
Ho detto che essi sono Patrimonio.
Patrimonio pubblico o privato?

Sapete da dove viene questa parola, heritage, patrimonio in italiano.
La sua origine ha a che fare con il dovere dei padri.
E alle volte, quando parliamo della gestione di un bene o di una proprietà, anche nei contratti, diciamo che bisogna averne cura come un buon padre di famiglia.
Avere cura delle cose: di questo si occupa un curatore. Di questo si occupano, più in generale e fuor di categoria (le categorie sono sempre nefaste) le persone attente e responsabili.

I siti di cui ci occupiamo, sono Patrimonio di Patrimonio.
Le Dolomiti sono Patrimonio Universale, giusto?
Ovvero: in virtù del loro valore, che è stato dichiarato universale, appartengono ad ogni uomo.

E a chi appartengono i siti in cui lavoriamo noi? L’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, ad esempio. Il Forte di Monte Ricco a Pieve di Cadore. Lo Spazio di Casso al Vajont, dove siamo attivi dal 2012, con una piattaforma di rigenerazione che ripensa l’area mortifera del Vajont appunto (che ogni anno accoglie decine e decine di migliaia di “turisti della tragedia”, e su cui è imperniato un meccanismo di marketing territoriale di un certo rilievo – ma anche qui: è giusto ragionare in termini di marketing e strategia d’incoming, nel Vajont? No, non è giusto naturalmente, se sappiamo essere uomini prima che venditori-d’ogni-cosa-ad-ogni-costo).

Bene, ogni volta che affrontiamo una ex fabbrica, o ex villaggio, o ex forte della guerra, o ex scuola, tutti abbandonati, abbiamo a che fare con la sua proprietà.
Proprietà che a seconda dei casi, è pubblica o privata.

Il Forte di Monte Ricco, appartiene ad un Comune, quindi ad un ente pubblico.

L’ex Villaggio Eni è privato: 200 ettari di bosco, con 100.000 metri quadri di architetture costruite, 300 ville, alberghi, una grande Chiesa, un’enorme Colonia, un campeggio: tutto proprietà di un imprenditore privato (la Società Minoter).

Ma a noi, che ci occupiamo di ridare valore alle cose che l’hanno perso, interessa la qualità intrinseca di questi beni. Ed essa corrisponde al suo valore universale. Patrimonio, appunto.

Quindi, ed è questo il punto, se un sito vale molto, il suo valore autentico è sempre pubblico, e mai privato, né privatizzabile.

E questo è talmente vero, che per fare le attività, artistiche e culturali, stretegiche e di sviluppo, sull’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, noi prendiamo contributi economici sia dal privato (il legittimo proprietario del sito), sia dagli enti pubblici (Comuni, Consorzi, Regioni, e così via).

Allo stesso modo, nello stesso momento, moltissimi partner privati, aziende, ditte, ci aiutano a sostenere i costi delle attività che sviluppiamo al Forte di Monte Ricco (2017/2019), o nella ex Scuola di Casso, due spazi che appartengono a due amministrazioni pubbliche.

Come mai? Cos’è questa commistione? Stiamo facendo confusione forse?

No: stiamo facendo una rete.
Stiamo condividendo un intento.
Stiamo rompendo la schematica contrapposizione tra pubblico e privato, che, come ogni schematica contrapposizione, è approssimativa e sciocca, e non consente di affrontare la complessità organica del reale.

Nella brochure  che racconta l’evento che ci vede qui insieme oggi (Tunna), è scritto:
The third way to manage the natural good, which is somewhere in the middle between the private and the public and takes the best from the two approaches.

Bene, avete capito come facciamo a trasformare i siti morti in siti vivi?
Convinciamo il territorio, nella sua organizzazione eterogenea e complessa, a partecipare all’impresa di riscatto di un bene, al fine di trasformare questo bene in uno spazio vitale per il territorio ed i suoi abitatori.

Noi siamo un progetto di arte, cultura e scienza. E siamo un progetto di responsabilità pubblica nei confronti del patrimonio dormiente.

Ma qual è l’elemento che può far scattare questo meccanismo, grazie al quale si procede uniti, in gruppo, diversi ma tesi verso uno stesso obiettivo?

Questo elemento è la responsabilità culturale, che coincide con la chiarezza strategica dell’obiettivo finale.
Coincide perché, se il bene vale davvero molto, le opportunità di rigenerarlo saranno utili sia dal punto di vista culturale che da quello funzionale.

DC è un progetto di cultura funzionale, non decorativa, non d’intrattenimento. E’ un medium, costruttore di relazioni, attivatore di reti, catalizzatore di risorsa, dispositivo trasformativo e rivalutativo.

Non ci interessa far venire gente sul territorio per intrattenerla.
Ci interessa coprogettare i paesaggi in cui viviamo.

Abbiamo 500 partner, nei territori, in Italia, nel mondo.
C’è molto territorio, in questo progetto, ma anche molte collaborazioni internazionali, e gli esiti del progetto, attraverso le collaborazioni e la comunicazione, escono sempre dal territorio, e viaggiano, per raggiungere il mondo, a cui le nostre piattaforme di rigenerazione sono interconnesse.
Siamo interconnessi a livello locale, siamo interconnessi a livello globale.
Interconnessione di progetto e di strategia. Interconnessione attraverso la comunicazione.

Questo vuol dire cha abbiamo costruito una rete reale, di persone motivate, e che abbiamo una politica reale, di lavoro, di responsabilità. Oltre a un dispositivo editoriale e culturale e di comunicazione strutturato.

La proprietà del Patrimonio è sempre cosa pubblica dunque, dato che il suo valore è universale. Questo l’abbiamo chiarito.

Ciò ci consente ad esempio di immaginare il riuso dell’enorme Colonia dell’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore in occasione dell’Olimpiade Milano-Cortina 2026.
La Colonia è una struttura architettonica di eccezionale fattura e ben conservata. Un complesso di padiglioni di 25.000 metri quadri, collegati da un corridoio lungo 4 km, che fino al 1991 ospitava 1.000 persone, figli dei dipendenti di Eni.
Se l’Olimpiade vuole essere realmente, come si sente ripetere spesso, responsabile e sostenibile; se il risparmio di suolo e l’attenzione ambientale sono obiettivi nella Montagna;
allora valutare di riusare questo capolavoro intatto e inutilizzato per ospitarvi parte della logistica olimpica, invece di limitarsi a costruire nuovi edifici, temporanei o permanenti, nelle Dolomiti, è una buona idea.

Un’idea utile al solo evento olimpico questa?  O al solo lgittimo proprietario del sito?
No: un’idea utile al territorio, quindi a tutti.
Perché l’Olimpiade può fornire gli strumenti per il recupero della struttura, che poi, a fine evento, potrà essere definitivamente riguadagnata dal territorio, per altri usi ben ponderati.
Noi pensiamo ad una Scuola del Paesaggio, ovvero ad un catalizzatore-motore di attività legate alla montagna di oggi, un centro studi, una stazione spaziale alpina.

Proponiamo quest’idea da molto tempo.
Ci stiamo lavorando.

Se la Colonia di Borca, già molto attiva dal 2014 con Progettoborca, che è la piattaforma di rigenerazione che DC ha sviluppato sull’ex Villaggio Eni, tornerà davvero stabilmente in uso ai propri territori, allora tutti avranno guadagnato qualcosa, e lo stesso evento olimpico avrà svolto una funzione sociale, culturale ed economica, portando sviluppo sul territorio. Il vantaggio, a quel punto, potrà davvero dirsi pubblico.

La Colonia, come tutto il Villaggio, appartiene a Gualtiero Cualbu, che è un imprenditore privato.
Quindi noi lavoriamo esclusivamente a suo vantaggio?
No di certo.
Lavoriamo con lui, e con tutto il territorio, a favore del territorio stesso, che comprende in sé questo sito importantissimo, dall’enorme potenziale, che costituisce un sommo valore riprocessabile, e che deve tornare a spingere.

Sul Villaggio Eni si può lavorare ancora molto: gli alberghi e le ville potrebbero garantire la presenza di altre 1.000 persone. Un ragionamento sul potenziale di ricettività extralberghiera che esso possiede, andrebbe compiuto da chi si occuperà del turismo connesso all’evento olimpico (siamo a 15 km. da Cortina).

Ne stiamo parlando al Presidente Luca Zaia, ai suoi assessori, ed a molti altri soggetti ed enti territoriali, da più di un anno.
Vedremo se questa strada sarà presa seriamente in considerazione, e diverrà percorribile.
Se così sarà, lo sarà a fronte di un accordo tra il privato ed il pubblico (ed alcune Università  possibili investitori italiani e stranieri), a favore del territorio.
Perché è evidente che non bisogna sfruttare il territorio a favore dell’evento sportivo.
Bisogna invece sfruttare l’evento sportivo a favore del territorio.
Non bisogna vendere un biglietto per i giochi invernali a un turista olimpico.
Bisogna integrare le funzioni, progettando lo sviluppo del territorio e delle sue infrastrutture.
E’ un discorso ovvio, semplice, banale?
Non direi: io fino ad oggi di Olimpiadi sostenibili sul pianeta non ne ho viste. E non ho visto spesso il pubblico e il privato, ovvero gli uomini, collaborare per concorrere al bene comune.
Quindi cercherei di non dare per scontato quello che sin qui si è dimostrato di non saper fare.
Noi ci impegniamo a farlo. Facciamo la nostra parte, nella rigenerazione del patrimonio, che è pubblico anche quando è privato.


Bene, vorrei ora affrontare la seconda accezione di “pubblico”.

Il pubblico inteso come flusso dei fruitori. Turisti, visitatori, sportivi, eccetera.

Chi viene a vedere montagna.
Chi viene a vedere i paesi nelle Dolomiti.
Le mostre d’arte contemporanea nei Musei.
I turisti, i visitatori.
Che cos’è dunque questo pubblico?
Cosa viene a fare?
E che cosa dobbiamo dargli?
E a quale fine vogliamo dargli qualcosa?

Parliamo di noi, per capire meglio. 

Il pubblico di DC è variegato, ma in generale è fatto, in larga parte, di persone che si occupano di cultura, d’arte contemporanea o d’architettura o di design; di rigenerazione, archeologia industriale, paesaggio e patrimonio.
E di comunità locali, anche, dato che lavoriamo al servizio del territorio.
E di turisti estivi, anche, dato che comunichiamo i siti e le attività che svolgiamo al loro interno.
Mostre d’arte contemporanea, convegni sulle strategie di rigenerazione di territorio e patrimonio, workshop con università internazionali, laboratori di produzione artistica e culturale, e mille altre cose.

Le stesso mostre d’arte contemporanea, sono (anche) un metodo per intavolare criticamente su temi legati al territorio, temi di grande valore e portata, non limitati alle aree locali (essi vengono analizzati, per concorrere con ciò alla loro trattazione).
Lavoriamo su Tempesta Vaia, con gli scienziati e gli artisti. Lavoriamo su Tiziano Vecellio, che nacque a Piave di Cadore. Lavoriamo sul bosco, sull’alpinismo, sulla roccia, sul bivacco, sull’architettura. Trattiamo il territorio, nella prospettiva della sua valorizzazione funzionale.
Siamo un editore, ed al tempo stesso un soggetto scrittore: scriviamo una sorta di storia, analitica e intuitiva, in presa diretta, attraverso la pratica, e attraverso il logos (è elevata la produzione di testi e riflessioni incentrate sul paesaggio, sulla capacità critica e intellettuale di evolvere idee costruttive, igienizzanti lo spazio, e così via. La rivista house-organ di Progettoborca si intitola: La Testata. Foglio periodico a diffusone entropica che si occupa di arrampicata cerebrale e giardinaggio culturale e dei paesaggi verticali).

Le Dolomiti non sono un’accozzaglia di stereotipi e clichè per turisti stanchi che vengono a riposarsi dallo stress della vita in città.
Non per noi.
E’ pericoloso, e irresponsabile, dare a un visitatore una visione semplificata e banale dei luoghi. Banalizzare è pericoloso, sempre. E’ una colpa, anche.
Le persone vanno formate, questo è il segreto dello star bene (correttamente) al mondo, non solo del turismo o dell’arte.

I siti che rigeneriamo, sono eccezionali collettori, spazi di grande impatto, collocati in aree nevralgiche, all’interno dei quali sviluppiamo riflessioni accurate sul valore delle cose e delle risorse.
Nel 2019, oltre 10.000 persone sono venute a vedere le nostre attività, mostre, laboratori. O a parteciparvi.
E’ ovvio che la nostra “offerta tematica” può essere messa in linea con la proposta turistica del territorio: noi garantiamo contenuti.

Ma la cosa più importante non è questa.
Son piene le Dolomiti, e tutta la terra, di mostre brutte, inutili, banali, piene di stereotipi, priva di qualità.
Dove non c’è la ricerca, c’è l’intrattenimento, e manca la formazione.

La cosa più importante dunque, è che la cultura, come la intendiamo e pratichiamo noi, è un meccanismo della formazione delle coscienze delle persone in ordine ai temi territoriali, della valorizzazione della risorsa, del patrimonio ambientale, di tutti gli altri patrimoni.

Le persone che giungono nelle Dolomiti, vanno aiutate a maturare consapevolezza dei luoghi, non solo ospitate. La cultura forma, non intrattiene.
10.000 persone all’anno sono poche?
100.000 sono tante?
Io non direi.
Se 10.000 persone guadagnano una buona occasione di “consapevolezza culturale e ambientale”, questo è un buon numero, alto.
Se 100.000 persone fruiscono di un menu dozzinale, dai contenuti superficiali, questo non è un guadagno, ma il sacrificio d’un occasione di lavorare seriamente, per fare incetta.

Vogliamo valorizzare il nostro territorio e le nostre risorse: ma non ad ogni costo, e non per trasformare la montagna in una zuppiera dorata, prodotto imbandito.
Vogliamo valorizzazle lo spazio a favore dello spazio stesso, di chi ci vive, di chi ci viene.
Ma per compiere una valorizzazione bisogna conoscere e studiare il bene a tutto tondo, non da una sola prospettiva.
E la prospettiva ideale di studio non è quella che vuol vendere, ma quella di chi vuole  produrre, e formare.
Diciamo dunque, in modo piuttosto assertivo, che produrre è l’opposto di consumare.

Ci vuole più tempo, più impegno, certo.
Il tempo e l’impegno necessari alla costruzione.

Porto un ultimo esempio, legato al bosco, alla foresta alpina.
Tutti voi sapete bene cos’è stata Tempesta Vaia, l’evento distruttivo che ad ottobre 2018 ha martoriato il Triveneto e la Lombardia, distruggendo circa 10 milioni di metri cubi di foresta.
Da allora, DC ha avviato un programma di ricerca, che si chiama Cantieredivaia.
Non siamo rimasti lì, a piangere sulla distruzione, a commemorare un lutto (non lo facciamo nemmeno nel Vajont, un luogo ancora oggi immerso in una tragedia fossile, dove siamo attivi dal 2012).
Su Vaia, abbiamo cominciato a lavorare con decine di enti, di esperti forestali, scienziati, climatologi, comuni, ditte boschive, e così via.
Abbiamo fornito agli artisti le informazioni tecniche sui vari aspetti connessi all’evento (il vento, la distruzione, il tema del commercio del legname, quello dell’esbosco, gli insetti divoratori, la manutenzione del bosco, il bosco come risorsa dell’uomo, e così via).
E abbiamo realizzato, solo nell’estate 2019, sei mostre collettive, con oltre cinquanta artisti da tutto il mondo, che hanno indagato Vaia, il bosco, la montagna, il territorio.
I nostri 10.000 visitatori del 2019, hanno così potuto trovare contenuti di qualità, ed hanno potuto farsi un’idea di cosa sia stata Vaia, e di come l’uomo possa affrontare, tecnicamente e creativamente, i temi legati all’uso di una risorsa che è universale, pubblica.

Tornando al binomio pubblico-privato.
Io non credo, in realtà, che lavorare con il pubblico e il privato insieme, sia la terza via.
Questa è invece la prima via, senza dubbio.

Le persone sono “enti privati”, fino a quando non raggiungono una consapevolezza delle cose abbastanza evoluta da consentirgli di prendere posizione, responsabilmente, a favore dei beni comuni, e non solo di sé stessi.
L’uomo può fare molto male, o molto bene, in ogni contesto e situazione.
Quando le forze diverse ed eterogenee sanno aggregarsi, e concorrere, possono generarsi trend di sviluppo utili a tutti: e questo è quel che serve.

Gli enti culturali, le amministrazioni, gli enti di sviluppo territoriale, le università e gli enti di ricerca e i progettisti, gli artisti e gli scienziati, i proprietari delle strutture ricettive e gli esperti di turismo, devono riuscire a interconnettersi, per generare politiche territoriali integrate, a favore del bene naturale, come di ogni altro bene disponibilie, e del loro uso corretto da parte degli uomini.

Ma lo slancio deve venire dall’uomo, dal singolo uomo, che, nella sua aperta consapevolezza del valore delle cose, deve attivarsi a favore della valorizzazione della risorsa.

Questo slancio è una forma della cultura, che è l’elemento di coscienza interpersonale che può connettere le persone alle cose, in una visione generale che sorge dall’impegno dei singoli, quando essi sanno costruire reti al servizio dell’evoluzione dei sistemi.


Gianluca D’Incà Levis, Cavalese, 26 novembre 2019


eng

Taking the Dolomites into the contemporary: a multi-stakeholder approach to the regeneration of mountain areas.

The mountain is an active architecture, not a lifeless fossil, nor an inexhaustible quarry.
Its (environmental, cultural, touristic, recreational, woodland-related) value must be produced, not consumed.
But to do that it is paramount, before anything else, that a great capability in cultural research and production is employed, one that may allow the development of new management and new significance-granting models for natural resources, as well as novel ways of handling assets between the public and private sectors.



Right, hello, I’m Gianluca D’Incà Levis.
I don’t deal with tourism, but with art, culture, regeneration of the territory and heritage. And to reflect on these precious resources, through the practices that I will tell you about, on identity, value, on their potential use and reuse by people, of natural environment and landscape, whose management generates so many opportunities and problems.

I’m a curator and a critic of contemporary art: an intellectual, who in 2011 launched a project called Dolomiti Contemporanee.

It’s a cultural program that aims to produce (and regenerate) value in a concrete way. Value that is produced not to be sold, but to help to generate awareness, or to form knowledge. This is culture: not a marketplace, but the intellectual awareness of people with respect to their land, as much in thought as in the arts and sciences.

We work to understand the mountain more in depth, to enhance resources, to highlight the aptitude and quality of the territory, in favor of the territories themselves, and of their people. Producing new value, often starting from what is already there, including the lost value.

As I speak, you can see images of the sites we regenerate in the Dolomites, soon I’ll talk about some of them. Large abandoned or underused sites, which lie still, while they could help the territory to grow, bringing development.

We are interested in the quality and value of the natural environment of our mountain. And also in the built environment, which is the Landscape.

It’s 2019, we are in the West and we are living in the Anthropocene: the two, nature and construction, nature and infrastructure, are at this point deeply linked, and inseparable. Virgin and uncontaminated nature does not exist anymore around here.
Whoever deals with tourism, for example, wants to use the nature value not to contemplate it or preserve it, but to make it available to flows of people.

It is very difficult for me to distinguish the natural asset from the manmade landscape, which is built. 
I really can’t do that, I’d say. Who does it, tends to segregate and compartmentalize knowledge, instead of uniting it according to a general profit logic (not only economic). Knowledge, like technical skills, must converge, not proceed separately, in parallel. Separating them is dangerous. Likewise, any specific or technical action that is not framed in a strategic vision is not very functional. It is absurd to deal with the environmental heritage without placing it in its anthropic context, analyzing its specificities, needs, criticalities and the potential of the interconnected system.

In this sense, I would immediately like to remind you all of the definition of Landscape that comes from Edoardo Gellner, the architect who in the 50s and 60s built the Eni Village in Borca di Cadore, the ENI corporate welfare station wanted by the great Enrico Mattei.

The former Eni Village is a gigantic infrastructure perfectly hidden in the woods, at the foot of Mount Antelao. Today, DC works on a series of ideas that can lead to its reuse (a part of the Village is unused), also in relation to the great sporting events of 2021 and 2026, which will involve Cortina d’Ampezzo, and also, it is hoped, the rest of the dolomitic territory, and beyond.

Well, the definition of Landscape that Gellner gives is this: the summation of natural environment and human action.

If this is true, and it is true, it is not possible to deal with nature without dealing with a project as well.

We are here now to understand how nature can serve people, right? 
Well, compared to this use we want to make of nature in our favor, I add a necessary precautionary note:
to work well, in any field, and above all if we want to talk about the usability of a resource and sustainability, we must be able to clearly distinguish between mere consumption and responsible use.

I say this because I see people every day, people who deal with tourism for example, who are not very careful or not very capable, and who rack their brains to find the best way to exploit all the appeal potentialof the territory, of the Dolomites.
All the potential, and at any cost.
This myth, this graal, this excitement for tourism as an intensive industry. 
Against the obtuse and massive vision, which sees in the territory and in the mountains a marketable and saleable value, a potential to be squeezed dry, we take a stand, through intelligence and reflection and constructive practices.

On the other hand, every day we see other people who, to protect the landscape, imprison it, paralyzing that resource, and preventing its correct use.

Neither of two: blind intensive exploitation, or a fundamentalist protection, is fine. The right way is in the middle. And sometimes the right way is an experimental practice, which allows us to focus on the potential of the resource, imagining its correct, and hopefully not trivial, use.

But what do we do then, what does DC do?

In practice, we deal with the revival of a series of sites with high or very high potential, but that are now inactive, which are part of the territory and landscape of the Dolomites mountains. These sites, which we carefully select among many, have been abandoned, or are underutilized. They constitute a Heritage, like the natural environment in which they are inserted.

The goal is to make use of them, to fill them with life once again, so that they may go back to being useful to their area. To those who live there, as well as to those who come there.  

The sites are potentially very appealing in light of historical, valuable, and cultural reasons, and because of the relationship that architecture has with the landscape. They are interesting, and potentially useful, especially at the logistic, practical level. They are intelligent sites, that humans, not knowing how to rethink them, have made stupid.

Any attempt to regenerate them has failed. 
We try again, and often succeed.

Once reactivated, they can host activities related to the territory, work, and even tourism.  As we regenerate them, we already welcome people, the public. Overall, we welcome thousands of people every year. Many are cultural tourists. Many others are managers, institutional figures, designers, architects, territory strategists, one might say.

The abandoned sites are therefore populated, through our International Residences, open to artists, architects, designers, scientists, philosophers, climate and forest experts, mountaineers, economists, intellectuals, producers, companies and territorial administrations. We transform dead sites into active sites, which rethink themselves, the territory, the very meaning of the act of doing itself.


Now, to better explain how we work and why, I would like to clarify a couple of things. 
To whom do these sites belong? 
I said that they are Heritage. 
Public or private heritage?

“Patrimonio” is the italian word for “heritage”, and its etymological roots are in the word “pater”, Latin for “father”. Its origin is therefore deeply linked to the idea of “duty of the fathers”. And sometimes we say, then, when we talk about the management of an asset or a property, even in contracts, that we must take care of it like a good family man would. 
Take care of things: this is what a curator does. This is what careful and responsible people do.

The sites we deal with are Heritage of Heritage. The Dolomites are a Universal Heritage site, right? That is: by virtue of their value, which has been declared to be universal, they belong to every person.

And to whom do the sites where we work belong? The former Eni Village of Borca di Cadore, for example. The Fort of Monte Ricco in Pieve di Cadore. The Former School of Casso (today Nuovo Spazio di Casso) in the Vajont area, where we have been active since 2012, with a regenerative platform that rethinks the death-infused area of ​​the Vajont (which welcomes tens of thousands of “tourists of the tragedy” every year).

Well, every time we face a former factory, or former village, or former war fort, or former school, all abandoned, we are dealing with their property. Property that, case by case, might be public or private.

The Monte Ricco Fort belongs to a Municipality, therefore to a public authority.  The former Eni Village is privately owned: 200 hectares of woodland, with 100,000 square meters of built architecture, 300 villas, 2 hotels, a large church, a huge colony, a camping ground: all owned by a private entrepreneur.  But we, who are concerned with restoring value to the things that have lost it, are interested in the intrinsic quality of these assets.. And it corresponds to its universal value. Heritage, in fact.


So, and this is the point, if a site has a significant worth, its authentic value is always public, and never private, nor can it be privatized.  And this is so true that, to do the artistic and cultural and strategic activities at the former Eni Village of Borca di Cadore, we get finalcial contributions both from the private sector (the legitimate owner of the site, who is a Sardinian Company), and by public subjects (Municipalities, the Region, the Magnifica Comunità di Cadore, and so on).

In the same way, at the same time, many private partners, companies, help us with the costs of the activities we develop at the Monte Ricco Fort, or in the former School of Casso, two spaces that belong to two public administrations.

Why? What is this mixture? Are we getting confused, perhaps?  
No: we are building a network. 
We are sharing a purpose. 
We are breaking the formulaic contrast between public and private, which, like any formulaic contrast, is approximate and foolish at best, and doesn’t let us face the organic complexity of reality.

In the brochure that describes this event that sees us gathered here today, you can find this sentence: The third way to manage the natural asset, which is somewhere in the middle between the private and the public and takes the best from the two approaches.

Well, have you figured out how we can turn dead sites into live ones? We convince the local community, in its complex organization, to participate in the redemption of an asset, in order to transform it into a vital space for the territory and its inhabitants.


We are a project of art, culture and science. And we are a project of public responsibility towards dormant heritage.  But what is the element that can trigger this mechanism, thanks to which we proceed together, as a group, different but united by the same goal?

This element is what we call cultural responsibility, which coincides with the strategic clarity of the final objective. It coincides because, if the asset has a real significant worth, the opportunities to regenerate it will be useful both from a cultural and functional point of view.

DC is a project of functional culture, not decorative, not for entertainment purposes.  We are not interested in bringing people to the area to entertain them. We are interested in co-producing the landscapes in which we live.

We have 500 partners, in the various local communities, in Italy, in the world. There is a lot of land (I mean local communities, too) in this project, but also many international collaborators, and the results of the project, through collaborations and communication, leave the territory, to reach the world, to which our regeneration platforms are interconnected. We are interconnected locally, we are interconnected globally. Project and strategy interconnection. Interconnection in communication.

This means that we have built a real network of motivated people, and that we have a real policy of work, of responsibility. In addition to an editorial and cultural tool and structured communication.  
Therefore, the ownership of heritage is always public, given that its value is universal. We have made this clear.

This lets us, for example, imagine the reusage of the enormous Colonia, or Summer Camp building, in English, of the former Eni Village of Borca di Cadore on the occasion of the Milan-Cortina Olympics of 2026. The Colonia is a beautiful and important, not to mention well preserved, architectural structure. A compound made up of 25,000 square meters pavilions, connected by a 4 km long corridor, which until 1991 housed 1,000 people, all children of Eni employees. If the Olympics want to be, as they say, responsible and sustainable; if soil saving is a goal in the Mountain; then, considering reusing this intact and unused masterpiece to house part of the Olympic logistics, instead of building new structures, temporary or permanent, in the Dolomites, is a good idea.

A useful idea for these Olympic Games only?
No: a useful idea for the territory.
Because the Olympic Games can provide the tools for the recovery of the structure, which then, after the event, can be recovered from the territory, for other well-thought-out uses. We have been proposing this idea for a long time. We’re working on it. If the Colonia of Borca, already very active since 2014 with Progettoborca, which is the regeneration platform that DC acte on the former Eni Village, the Colonia will really be returned to its communities, so everyone will have gained something.

And the same Olympic event will have played a social, cultural and economic role, bringing development to the territory. The advantage, then, can really be said to be public.

The Colonia, like the entire Village, belongs to Gualtiero Cualbu, who is a private entrepreneur. So, we work exclusively for his benefit? Certainly not. We work with him, and with the whole community, in favor of the community itself, community which includes this very important site, with enormous potential, that must shine once again.

There is still a lot of work to do on the Eni Village: hotels and villas could guarantee the presence of 1,000 additional people. A reflection on the potential as a non-hotel accommodation that it has, should be made by those who will take care of tourism related to the Olympic event (we are 15 kilometers away from Cortina).

We have been talking about it with Luca Zaia, with his advisors, with many subjects and local authorities, for more than a year. We will see if this road will be actually viable.
If it is, it will be after an agreement between the private and the public sectors, in favor of the territory and local community. Because it is clear that we must not exploit the territory in favor of a sporting event. Instead, it is necessary to exploit the sporting event in favor of the territory. You must not sell a ticket for the winter games to an Olympic tourist.
We need to integrate the functions, planning the development of the territory and its infrastructures.
Is this an obvious, simple, trite argument? I don’t think so. I have not yet seen any sustainable Olympic Game on the planet so far. And I have not often seen the public and the private sectors, or people in general, working together for the common good.
So I would try not to take for granted what we don’t know how to do. We are committed to doing just that. We do our part, in the regeneration of heritage, which is public even when it is private.

Good, now I would like to address the second meaning of “public”.  

Where “public” is a flow of users. Tourists, visitors, sportsmen, et cetera.

Those who come to experience nature and the mountain.
Those who come to see the towns inside the Dolomites.
Contemporary art exhibitions in the Museums.
Tourists, visitors.
What is this audience, then?
What does it come here to do?
And what should we give it?
And to what end do we want to give it something?

Let’s talk about ourselves, to understand better.
The audience of DC is varied, but in general it is made, in large part, of people who deal with culture, contemporary art or architecture or design; of regeneration, industrial archeology, landscape and heritage.

And of local communities too, since we work at the service of the territory. And of summer tourists too, as we strongly communicate the sites and activities that we carry out within them. 
Exhibitions of contemporary art, conferences on land regeneration and heritage strategies, workshops with international universities, art and cultural production workshops, and many other things realated to nature and mountain.

The same exhibitions of contemporary art, are a method to critically open up themes related to the territory, themes of great value and scope. We work on Tempesta Vaia, with scientists and artists. We work on Tiziano Vecellio, who was born in Piave di Cadore. We work on the forest, on mountaineering, on the rock, on the bivouac, on architecture.
We treat the territory, in the perspective of its functional enhancement.

The Dolomites are not a bunch of stereotypes and clichés for tired tourists who come to rest. Not for us.

It is dangerous and irresponsible to give a visitor a simplified and banal view of places. To trivialize is always dangerous.
People must be trained, this is the secret of feeling good in the world, not of tourism or art. The sites we regenerate are exceptional collectors, spaces of great impact, located in crucial areas, within which we develop accurate reflections on the value of things and resources.

In 2019, over 10,000 people came to see our activities, exhibitions and workshops. Or to participate in it. It is obvious that our “thematic offer” can be put in line with the tourist proposal of the territory: we guarantee contents.
But the most important thing is not this.

The Dolomites, and the whole earth, are full of ugly, useless, banal, full of stereotypes, lacking in quality exhibiotions. Where there is no research, there is entertainment, and training is lacking.
The most important thing, therefore, is that culture, as we understand it and practice ourselves, is a mechanism for forming the consciences of people with regard to territorial issues, the enhancement of the resource, of the environmental heritage, of all the other assets.
People who come to the Dolomites should be helped to develop awareness of the places, not only hosted.
Culture forms, does not entertain.
We want to enhance our territory and our resources: but not at any cost, and not to transform the mountain into a golden tureen, a laid table.

We want to enhance the space in favor of the space itself, of those who live there, of those who come to us. But to carry out an enhancement we must know and study the good in the round, not from a single perspective. And the ideal perspective of study is not the one that wants to sell, but that of those who want to produce, and form.

Let’s say that, simplifying, producing is the opposite of consuming.

It takes more time, more effort, of course. The time and effort required for the construction.

I bring one last example, linked to the forest, to the alpine forest.

You all know well what was Tempesta Vaia, the destructive event that in October 2018 tormented the Triveneto and the Lonbardia, destroying about 10 million cubic meters of forest. Since then, DC has launched a research program called Cantieredivaia.
We didn’t stay there, crying over the destruction, to commemorate a loss (we don’t even do it in Vajont).
We have started working with dozens of institutions, forest experts, scientists, climatologists, municipalities, forest companies, and so on. We have provided artists with technical information on the various aspects of Vaia (the wind, the event, the theme of the timber trade, that of logging, on insects, on the maintenance of the forest, on the forest as a human resource, and etc).
And we have realized, only in the last summer, six collective exhibitions, with over fifty artists from all over the world, who have investigated Vaia, wood and nature, the mountain, the territory.

Our 10,000 visitors in 2019, were thus able to find quality content, and were able to get an idea of what Vaia was, and how man can deal, technically and creatively, with issues related to the use of a resource which is universal, public, as we said.

I do not believe, in reality, that working with the public and private together is the third way. This is the first way, no doubt.
People are “private entities”, until they reach an awareness of things that is sufficiently advanced to allow them to take a responsible stance in favor of common goods, and not just themselves.
Man can do a lot of harm, or very well, in any context and situation. When the diverse and heterogeneous forces know how to aggregate, and compete, useful development trends can be generated for everyone: this is what is needed.
Cultural institutions, administrations, universities and research institutes and designers, artists and scientists, accommodation owners and tourism experts, must be able to interconnect, to generate integrated territorial policies, in favor of the natural good, of every other good, and of their correct use by men.
But the momentum must come from the man, from the single man, who, in his open awareness of the value of things, must take action in favor of the valorization of the resource.
This impetus is a form of culture, which is the element of interpersonal consciousness that can connect people to things, in a general vision that arises from the commitment of individuals, when they know how to build networks at the service of the evolution of systems.

Finally, given that there is still a little time, I would like to read to you some paassages of my essay just published on Moreness, which is a magazine edited by FranzLab, a communication agency of Bolzano. Moreness is a magazine dedicated to the contemporary mountain, to the most innovative visions and practices in managing the identity of the asset-resource. My piece is titled: The Cultural Mountaineering of Dolomiti Contemporanee.


Gianluca D’Incà Levis, Cavalese, 26 novembre 2019