Giacomo Silva/Congelati/Gelato Antelao/Gelato gourmet
Gelato gourmet, ceramica naturale cruda essiccata all’aria, filo di ferro, 12×5,5×5 cm, tavolo di Edoardo Gellner, Corte di Cadore, 2025. Foto G. Silva
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Appunti di Giacomo Silva sui tre lavori in mostra al Nuovo Spazio di Casso in Detriti Frammenti Schegge Brecce, realizzati in residenza in Progettoborca nell’estate 2025.
Dolomiti Contemporanee, Progettoborca, luglio-settembre 2025.
Processo in corso, le tre opere allestite a casso ne sono affioramenti.
In andata e ritorno tra Borca di Cadore e Milano, estate 2025, di passaggio per Longarone, Tai di Cadore, Valle di Cadore, Vodo di Cadore, incontro i coni gelato in vetroresina.
Prodotti alimntari industriali, spuntano e affiorano ai lati della strada, puntellano, segnaposto, statici in bilico.
Sono figure veloci ai margini mentre passo in auto, comparse, segni appunti simboli di un’attività economica dietro alla quale c’è una storia di emigrazione ed esportazione.
Il cono gelato è stato inventato a Peaio (frazione di Vodo di Cadore) da Italo Pietro Marchioni (12.12.1868 – 27.07.1954). “Emigrò presso parenti negli USA prima del 1896, anno in cui cominciò ad usare cialde arrotolate per servire gelati nella sua gelateria. Il 15 dicembre 1903 ottenne il brevetto di uno stampo per produrre cialde a forma di coppette con cui realizzò il prototipo del cono. Lanciò il suo prodotto in grande stile nell’esposizione di St. Louis 1904. Alcuni concorrenti, però, contestarono il suo brevetto: vennero fatti dei processi ed egli vinse la causa nel 1913. Eresse nel New Jersey un grande stabilimento per produrre gelati, cialde e coni.” (link visitato il 22 settembre 2025).
Sono interventi pubblicitari, advertising della pausa concitata e zuccherina della contemporaneità industriosa, industriale e artigianale. Non sono monolitici, traballano, spuntano, come carpofori e sempre come carpofori dove ce n’è uno ce ne sono probabilmente altri. Altre volte uno, da solo, grande, si staglia il contorno e il nostro occhio, che deve distinguere per sopravvivere, li separa dallo sfondo dell’ambiente circostante.
Sono frutto di produzione energetica, la refrigerazione non è più effettuata con la conservazione del freddo invernale. Serve elettricità, si produce elettricità, si trasporta elettricità.
Si producono gelati, vengono trasportati, si sciolgono, disperdono l’accumulo di freddo durante il trasporto. In uno scambio sempre inefficiente, si sa, legge della termodinamica, raffreddare è sconveniente. In pratica un progetto decadente e di decadenza. Come i coni in vetroresina, decadenti, fuligginosi, crepati. Belli in quanto sono quel che sono, oggetti fuori scala che smettono di essere coni gelati e tornano ad essere scocche assemblate e pitturate nel paesaggio ad opera di un’umanità in sopravvivenza e in sussistenza nelle valli.
Scocche in vetroresina con contorno di montagne, non montagne qualsiasi, montagne dolomitiche, che franano, che si stanno sciogliendo ed ecco che è chiaro, sono segnali, sono premonizioni. Il gelato in vetroresina non si scioglie, eventualmente ingiallisce, crepa, scricchiola. Intorno tutto cola, cade, frana, muta con un’accelerazione imprevista, in reazione alla fame di energia del moto accelerato futurista ed estrattivo. Va bene così, non va bene così, è uguale, non si fugge allo scioglimento al decadimento. Resta a stagliarsi il cono in vetroresina, tra i rovi e tra i portici. Il dettaglio della scocca è impresso sulla carta, installato su una struttura che somiglia a un’impalcatura, un grumo tecnico.
Si offre, colando, come in realtà non fa. Un tentativo di restituzione al fluire della materia ghiacciata.
Congelati, ceramica naturale cotta a legna nel forno di Nic, speaker audio, 14,5×9,5×5 cm, Corte di Cadore, 2025. Foto G. Silva
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Può essere che nello sciogliersi, qualcosa si amalgami: così ho sovrapposto i livelli della mia ricerca recente al cono gelato: motori di impianti di condizionamento, da anni li vedo,
li osservo, li fotografo. Mi interessano in quanto tecnica non mascherata, chiaramente nuda, viscerale, fuori posto. Come un fegato, un intestino che invece di stare dove dovrebbe stare viene posizionato all’esterno del corpo, per esempio tra l’ascella e l’inguine, sporgendo dalle costole, esposto, sostituibile, rimovibile. Non c’è organicità, si applica, il calcolo non tiene conto dell’insieme ma solo del lotto parcellizzato. È espressione di una cultura che scinde, che frammenta e in cui i frammenti non possono essere visti nell’insieme. I frammenti isolati, senza relazione col resto: questa cosa va vista, bisogna che si veda, fa parte dell’innesto culturale subliminale che prevede soli processi lineari a saturare ogni spazio. Una volta creato lo spazio asettico, in successione, si farà di tutto affinchè esso funzioni: strumentazione fagocitante che tiene in piedi l’architettura senza paesaggio. Fuori dalle mura, oltre la membrana che separa la bambagia asettica, il disastro.
E va bene così, così sia, verso il disastro. Ma non senza vederlo. Lo voglio vedere da vicino, il disastro, il più possibile, lo metto sotto la lente, lo apprezzo, lo metto a fuoco, gli do spazio. È un bel disastro, è una vagonata di maionese (letteralmente) sul piattino da caffè. È una cascata di fango che viaggia a velocità inedita verso le case abitate dagli umani. È un disastro che genera un’iconografia come quella delle cascate di latte di pecora dei pastori sardi riprese nell’opera Sardinian Milk di Amedeo Martegani. Sardinian Milk, 2020 – screen printing on plastic film_cm 66,3 x 46,4, immagine riprodotta in serigrafia tratta da screenshot di video diffusi su youtube, in protesta, dai pastori che hanno visto il loro prodotto valere più nulla, alla faccia dei
sussidi. Bellezza infinita del latte di capra, che è più bianco del latte di mucca.
Oppure è come quella del fiume di roba bianchiccia e viscosa che invade ogni ambiente di The Stuff – Il gelato che uccide, film horror cult di Larry Cohen del 1985 (link visitato il 22 settembre 2025).
Gelato Antelao, Cianotipia su carta virata con miscela di the e caffè. Struttura assemblata con materiali rinvenuti nei luoghi dell’ex villaggio Eni, 63x46x45 cm, Borca di Cadore – Milano, 2025. Foto G. Silva
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In mezzo alle sovrapposizioni, ci sono anche quelle legate ai sogni. L’onirico e le figurazioni improvvise, quando restano, quando permangono, vanno seguite e bisogna dare spazio anche a loro: così mi sono appuntato gli scorpioni dei bagni del Campeggio di Corte che si parlavano e si arrampicavano sulle palle del cono gelato. Ne ho preso uno solo, di scorpione – l’altro è rimasto sulla carta – e l’ho impastato in amore con un gelato usando un’argilla incontrata sull’isola d’Elba, in viaggio ad Aprile 2025. Me la portavo dietro da un po’ tale argilla, è affiorata come il sogno, ce l’avevo nel bagagliaio a Borca, l’ho usata per dare forma al Gelato Gourmet. Così come è affiorato il forno di Nic, è stato doveroso seguire queste tracce. Doveroso e fortunato. Fortunato come l’incontro con Ariele Bacchetti a Venezia a Novembre 2025 che mi ha portato ad entrare in contatto con Dolomiti Contemporanee, un luogo trasformativo ed accelerativo, come l’accelerazione del fango che cola dall’Antelao: irruente, quando accade. Pilotata e controllata, nel canalone, per quel che si riesce.
Le foto della galleria sono di Teresa De Toni e G. Silva
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L’opera è parte delle mostra Detriti Frammenti Schegge Brecce, Nuovo Spazio di Casso, fino al 31 dicembre 2025