16 aprile 2024

Di come si dovrebbero assumere, si assumono, si trasformano, si rinnovano, i riferimenti letterari, che non son cocuzze ma campi dell’intreccio, mentre invece snocciolare e risnocciolare rosari non equivale affatto a possedere, metabolizzare, radici e principi e funzioni. Ciò che c’è sempre e ciò di cui nemmeno più la parvenza, a Firenze (non) come a Forlì. 
I Preraffaelliti a San Domenico e Kiefer a Palazzo Strozzi (alcuni accenni e strali), 30 aprile 2024. –

Kiefer a Palazzo Strozzi (s-caduto)Forse, se da qui non avessero Strangolato La Strozzina, oggi sarebbe diverso, e in questa città saprebbero ancora un poco il contemporaneo, la
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30 novembre 2021

non siamo giovani eppur sì, nè rifiguratori barocchi. non siamo oppressi dal tormento, ma alcuni tormenti inflitti li rivoltiamo dagli oppressi ai rètori. non guardiamo mai in basso, teniamo un grande foro circolare al centro del capo senza farne un monile, ti sconde le spire nostre giuste pitonesche d’encefalo ragghianti e ci spinge in su, questa serpe nervosa. non c’è l’inferno in terra, ma l’orrore di certo avvampa: sta nella cranie rognose dei puliti settici (clinici): son sempre quelli delle mezzemaniche. l’anima bella dunque, non è mai opposta a questa, che non è quella dannata. l’urlo una saetta, nè
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24 febbraio 2021

Riccardo Giacomini è qua.   Quando sensibilità, solidarietà, amor dell’animale, creano danno invece che beneficio. L’inverno è una stagione selettiva, per gli animali selvatici.Alcuni animali muoiono: è inevitabile questo, e perfino giusto. La selezione naturale degli esemplari più deboli o malati, concorre alla buona salute della popolazione in generale: la natura si autoregola. Oggi, come sappiamo, l’interazione tra uomo e animale selvatico è piuttosto diffusa.Spesso, d’inverno, gli ungulati si aggirano nei pressi dei paesi e delle abitazioni, soprattutto se, a causa del forte innevamento, come quest’anno, risulta loro
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20 gennaio 2021

 ma insomma, abbiamo sempre visto le immagini di Eugène-Emmanuel Viollet-le-Duc, costruite in quel decennio fatidico dal 1868, l’étude, conosciamo da allora (quindi dal ’68? chiederà uno furbo) le massif du mont blanc, e mai ci siamo limitati naturalmente a pensare a quella sola e singola montagna là ma fin dal principio scorgemmo un principio largo di fiamma fredda quanto basta, quello che sempre decliniamo, del fare e rifare il paesaggio invece di dormirlo, in particolare quello prostituito delle crode imbandite e in molti modi e diciamone alcuni, con parolaprima ma lì era il logos, con la geometria culturale sintetica
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20 dicembre 2020

A novembre 2020, all’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, sono venuti (son tornati) i vandali, e i ladri. Dalla Valle, e dalla Germania. Chi sono? Che fare?La vendetta del cervo carnivoro?Dai che ne parliamo.Questo testo è così articolato: 1) Premessa: difficile per chi non si concentra2) I nudi fatti, chiari e semplici da capire per chiunque (ma leggi la premessa), e la consequente, sacrosanta reprimenda —1. Premessa Vandali o nconsapevoli esploratori del proprio sommo vuoto interiore, che non è uno Spazio? (è piuttosto: un tetro anfratto deteriore del Non Esserci, che misero si oppone alla pienezza del buon
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4 agosto 2019

le persone avanti alle cose(essendo che di continuo il mondo ci appare e ci si mostra per quel che è, zeppo di mezzepersone sconce che s’affannano a valer meno delle cose, cose di cui comunque codeste mezze mai riescono ad intendere il valore). 4 agosto 2019 Nino De Nardin riconosce Gio Cadorin Dopo l’Opening di ieri al Nuovo Spazio Di Casso, opening che ci è piaciuto abbastanza, con varia gente e un poco di stigma-cabaret, e ne son successe delle belle e le diremo e mostreremo nei prossimi, ecco che oggi siamo andati via, a desaturare un poco, dopo
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21 febbraio 2019

Cortina 2026? Cortina 1956 (tedofori, vessilli)Queste sì eran prospettive olimpiche (non apollinee).Utilizzarla (ingerirla), pazzi immemori (borghesi, imbolsiti, filistei, antisportivi, disinformati), l’esperienza millenaria dei popoli: è anch’essa Patrimonio, naturalmente.Tutti insieme dunque, popoli della terra affratellati:ALCOOL IN ALTA MONTAGNA – L’ALCOOL EN HAUTE MONTAGNE – ALCOHOL IN THE MOUNTAINS – ALKOHOL IM HOCHGEBIRGE – EL ALCOHOL EN ALTA MONTAÑA Cover e quarta di copertina di:Settimi Giochi Olimpici d’InvernoBOLLETTINO UFFICIALEN. 8-9, Dicembre 1955 – Gennaio 1956 — Dice:ALCOOL IN ALTA
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15 novembre 2018

  Wood-cutters, glam, practice & subnormal sporting activities tutti parlano del bosco, ora (mica delle foreste) prendendo abeti per faggi ettari per metricubi ebeti per saggila motosega? dendrofilia, ecosessualità, anche ricordi quei prodogiosi falli meccanici a trivella? tetzuo le cowboy e gli altridai, profittiamo dell’olocausto arboreo qualche nuova leggiadra figurale lacrimevoli coreografie tra i torpori elegiaci su i calici dunque: al gingillo (solidale) manchi mai la fame di superficie, patetica fisiologia parassitaria dell’uomo: spettacolo, e divorare in realtà, la motosega coi culi e le zinne e i glandi all’aria crea, ancora, legame tra scienze
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15 luglio 2018

  15 luglio 2018: carlo erba è giunto in progettoborca. (Making friends with a homeless torn up manHe just kind of smiles, it really shakes me up, cause everybody has a poison heart). carlo erba, lui sì è un esploratore culturale, altro che quel ballefiacche in moleskina di chatwin, che piace a te, che stai fermo o viaggi come un commesso, con gli abiti neri appesi nell’abitacolo. carlo erba è stato il mio assistente personale in braintooling, manifestando attitudini alla socializzazione, ottime doti relazionali, alacrità ed efficienza nel lavoro, spirito di abnegazione, saldezza morale, e una singolare attitudine intelligente
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17 marzo 2016

9 giugno 2015all’improvviso, appena seppellito lee, arriva il nuovo vampiro (beata prole: sugge l’insugghiabile): cristopher (#cristopherdeer).anchedetto christo.la madre, che conosco da un anno, e conosce bene me, non torna.abbandono di primipara? non lo so, a quel punto non so ancora nulla.qualcuno ipotizza addirittura che lei l’abbia voluto a me affidare.ne dicon d’ogni sorta.le prime cose sui cervi inizio ad impararle da quel preciso momento.sono un curatore, assorbito da molti progetti culturali e artistici complessi, non ho tempo per altro.ma ora vivo in questo bosco, a borca di cadore.nell’ex villaggio eni, dove nel 2014 ho attivato
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andrea bianconi – tunnel city

tunnel city – diciamo, per una polisemia della trasformazione dello spazio, dato che il tunnel non è una mappa: l’unica mappa possibile è un processo, inevitabilmente neurale, per fare lo spazio, e non per descriverlo /chi descrive, non fa, non è/.


lo spazio è sempre un vuoto, siderale, come tale una conca.
lo spazio è solo attivo, non esiste spazio passivo: altrimenti si tratterà al massimo di un luogo/stanza/cubicolo.
lo spazio può esser solo acceso, ricerca di potenza /del potenziale/.
è il rifiuto dello stato di fatto, dell’incapacità di generare grappoli e concatenamenti, dell’inerzia contemplativa, dell’assenza d’urgenze /che non è una pace, ma una privazione/.
il vuoto, quindi, non equivale mai ad un’assenza /una carenza/- ma al potenziale, al mezzo, alla totipotenza dello spazio stesso, nelle aperte sue relazioni possibili /e lo spazio non è altro che le relazioni del senso/- relazioni che drappeggiano, con abito di fiamma, la nudità dell’essere della cosa, traverso processi moltiplicativi varii, quali, ad esempio addizioni, gemmazioni, duplicazioni, accrescimenti, imbricazioni, mutazioni – salti del fosso.
/lo spazio, aggiungiamo, è esteso anche quan’è contratto: ecco perchè c’è una distanza enorme, ed in realtà nessuna, tra proust e trakl, ed entrambi sono egualmente sintetici/

e lo spazio sinaptico non è forse un vuoto, in cui il flusso si produce nel contatto distanziale?
per toccare, è sufficiente pensare; per fare, occorre pensare; per pensare, occorre fare una distanza, non ridurla: nulla di meno di ciò, occorre, per toccare, fare, riguadagnare la realtà: pensarla è farla.
/questo non esclude ablazioni e lapsus, che vengono anch’esse, diciamo, a trapungere il cielo dello spazio, questi buchi come cornici passanti e come stelle profonde inchiavardate a dado, come aree del terreno o parti del solaio sprofondati, buchi dentro ai quali, sporgendovisi, si guarda, per cercarvi il di là, il giunto, l’attraversamento, la possibilità di un moto che rompa la coltre statica del falso-tempo immoto /che è un fantasma dello spazio, sua immagine pinta, imprigionata, opaca, irriflessa, come una tenda pesante davanti al vetro freddo che taglia, e di stupore inghiaccia, il paesaggio, liberando le formiche nel cervello/.
la dinamica degli elementi plurali: va costruita, nella distanza, che va poi guardata: e questo vuol dire tirare lo spazio, allungarlo, trasformarlo: ecco perchè le frecce, che sono azioni anelanti e forse già uomini-freccia, non debbono toccarsi, per potere lo scambio, e la tensione dei vuoti -come sinapsi- è la tensione performativa del facitore dell’atto, che non è semplice mappa, o rilievo, e la tensione nel segno è la tensione dell’uomo, non la sua piatta rappresentazione.

il vuoto equivale ad assenza solo nei casi delle topografie-in-grigio /e qui siamo invece in una tipografia, riportata al presente vivo, ora in atto/- nelle rappresentazioni schematiche, nei rilievi acritici, nelle geometrie descrittive.
la geometria descrittiva è, nella sua pervicace evidenza univoca, prossima allo scheletro disidratato del plot, che viene abitualmente cacciato dagli oziosi predatori delle narratività riempitive /affossati su un divano, o appollaiati su un ramo secco/.
un simile vuoto scarico non può che misurare spazi depotenziati, che in realtà, già abbiamo detto, non chiamiamo nemmeno spazi, ma, al limite, scatole. lo spazio scatolare in quanto tale non interessa ai costruttori delle mappe possibili /mappe già attive, s’intende, e mappe d’attivazione/, che non pensano affatto ad esaurire i territori entro a forme compiute, ma li estrudono, esplodono, canalizzano, succhiano fuori e reinsufflano dentro, dato che, abbiamo detto, le mappe possibili tendono alla costruzione, all’elaborazione dello spazio, e non alla riproduzione di una sua immagine inerte. così venti e folate si rincorrono, a creare camere vorticate da elettriche correnti e torrenti impetuosi d’arie indiritte, che entrano ed escono, come aghi le teste di freccia, a cucire e scucire i lembi delle proprie distanze.

naturalmente, la costruzione dello spazio avviene per distruzioni, anche, o intrusioni destrutturanti, che ne fanno la filologia, anche, l’archeologia, anche, trasportandole nel presente attivo, addosso e dentro al quale vengon armate vive: si toglie l’intonaco, mica lo si mette, per liberare gli spazi, tirar fuori i sassi e la storia, riavviandone i sensi: riavvitando all’oggetto il senso.
ed anche disegnare sui vetri /quei vetri/ è uno sfrondare e sfondare lo spazio, per farlo vivo, elettrificando il campo, mettendo in risonanza le parti, i venti traverso la ridda dei canali multiversi, e quell’ululare, aperto, che si spande, sonico liquido // wow  — W.O.W. — w o w — //

i geometri descrittivi /marchiamo la differenza/, sempreintonacantincartati, i copritori, che nulla hanno a che vedere, quindi, col tipo ingenuo + astuto del ladro /più darien che petit/, dell’esploratore funambolo, del vorticatore omniverso centralizzante, che sa dar fuoco alla corda /la corda è la linea che marca il fuoco dello spazio/- o, se ha fame, se la mangia, che un canapo ha più sapore, anzichenò, di un rognone.
lo spazio tra gli oggetti, tra le forme, tra i segni, è l’elemento connettore vitale, più importante di quelli.
il bordo e il brodo, in cui galleggiano le croste, i cratoni, gli oggetti, i monoblocchi, i simboli e i segni.
lo spazio tra gli oggetti è la linea infinita, intera ed esplosa, delle continuità possibili, e delle relazioni essenziali: ciò che collega è, a differenza di ciò che viene collegato, che alle volte non è, o al limite non è altro che – oggetto passivo, chiuso, immemore, statico, muto.

i sassi nella testa non sono affatto oggetti refrattari e statici, e volitano, liberi da inani tutoraggi, o perlomeno orbitano, dato che non vogliamo escludere i vincoli gravitazionali, che anzi inarcano lo spazio.
i sassi nella testa /eran nella tasca/ vengono spostati e mossi, deliberatamente, per sempre, e le combinazioni dei loro spostamenti, che possono parire d’inezia, sono infinite, e la loro reale dimensione non è nota, come l’estensione di un arco di luce, o d’ombra, rispetti ai piani, che poi son curvi, e quei sassi sono porte, se una porta è possibile, e le porte prima van poste, quindi aperte, o chiuse, o murate.
non c’è alcun relativismo in questo dire /pensare/, ma una scienza organica del rapporto inclusivo: e l’estroflessione spinale, i midolli raccolti in una conca dorata cresciuta come montagna dal suolo secco polveroso, e con un ramo accanto, il primo, già una freccia, impaziente, dell’essere.

ora nel vecchio spazio nuovo ci sono linee -i tiranti della possibilità- specchi e gabbie e ingabbiamenti specchianti, e fughe all’indietro, e in avanti, nella linea-spazio-distanza fuor dal riflesso, e ruotata: a farsi bocca-canale /funzione aspirante, funzione proiettante: il doppio cannone, che fa e disfa, le distanze, impedendone la lettura piana/, e ci sono costruzioni imbastite come città canalizzanti, crivellate di ingressi ed uscite, crivellata la stupidità immota dell’oggetto chiuso, privo di pensiero /pensiero è immaginazione, azione, realtà: la realtà (nel senso) è l’immaginazione in azione/.

da questo vuoto esce ancora, però, la radiazione: esso è propulsivo.
certi buchi d’universo hanno invece per bocca /ancòra/ un orizzonte degli eventi: una gran bocca, ma in questo caso dal tunnel, chiuso, nulla puà uscire, e lo schiacciamento interno /spaghettificazione/ porta al collasso delle solitudini.

mentre qui pure, le gabbie, ancòra, ma anche quel vaso nero a parete, vengono schiacciate, grazie al principio d’orizzontalità numeraria bidimensionale, da quest’insistita, chirurgico-terapeutica, molteplicità dell’uno, che, per fare totale lo spirito dello spazio /ecco cos’è il tunnel: lo spirito dello spazio/, ne uccide una dimensione.
ma qui non è un quadrato a parlare: ed ecco che l’oggetto in numero, potenziando ipnotico una prospettiva lunga, di fiancata, cancella la profondità, con ciò scardinando ancora la logica del rilievo descritttivo, per così accentuare, accendere, la fisicità ripensata del vuoto rispaziato: e, quindi, togliere la profondità non equivale affatto a fare la piattezza, e lo schiacciamento induce invece la fuoriuscita del liquido connettivo, quel midollo spaziale, che è una freccia numerosa: le frecce, gli uomini, le cose, le direzioni /come nel romance/

stampi e caratteri innalzati e sversati mobili /senza i chichè/- a mazzi di carte o case o cubi, ultradimensionali, ogni parete un approccio e una presa, le presa per le connessioni elettriche, nella visibilità real-figurata dello spazio possibile /che è dato da: una parte di fisica, una parte di costrutto concettuale-immaginifico/, è così che i muri vengono risnudati ed estratti e ripopolati, dalle figure abitanti, dove le triadi mutageniche /uomo/uccello/aereo/ si animano e trasformano, le forme cangianti, e gli stessi neri massivi si originano infatti a partire da un moto, o gesto, o segno, di contorno sintetico, e non son altro da quello stesso, ma uno sviluppo del suo percorso di linea, ed il tunnel, eccolo:
non è forse il pieno del vuoto? non respira e pulsa come un cuore trapassato dai cieli? e se non vi fosse, per primo, questo grande spazio in potenza, il vuoto, come potrebbero poi venire i pieni? su cosa poggerebbero?
senza pagine, libri, pareti e muri, dove fissare le tracce del pensiero in atto?
dove ruotare gli oggetti, senza campi bianchi di proiezione?
dove ammassare, profondi, i neri?
e allora, se è dal vuoto si fa il pieno, come potrà mai esistere la gabbia, come potrà griglia imprigionare spazio?
non può: infatti, né esiste gabbia alcuna.
ma una serie di linee, invece, che il vuoto taglia allaga ed immerge di sé, attraverso le foreste poste di segni d’uccello /son versi, o canti, queste parole-segno a foreste, richiami dell’uomo che canta, o uccello, anche meccanico alle volte -aereo/,
segni che sono canti e tecniche insieme: teoria e tecnica dell’edificazione dello spazio reale e del suo suono,
spazio che viene potenziato traverso la riduzione eidetica composta per teorie supernumerarie, a risvelare i canoni che pertengono all’essere dello spazio: il vuoto attivo.


gianluca d’incà levis, novembre 2014