I legni umidi, museum-lab

Domenica 10 gennaio, al Museo etnografico Al Pojat di Zoppè di Cadore si è svolto il Laboratorio de “I legni umidi”, a cura di Mario Tomè con Dolomiti Contemporanee.
Il Lab è venuto a completare il percorso di “Chiavi di Accesso”, che nel 2015 ha visto il GAL Altobellunese, la Magnifica Comunità di Cadore, e Dolomiti Contemporanee, lavorare insieme a questo progetto, che ha inteso proporre una riflessione sui temi dell’Accessibilità museale, attraverso l’arte contemporanea e la sua funzione di “attivatore critico dei paesaggi”.
E così, nel Museo Rimoldi di Cortina d’Ampezzo, nella sede della Magnifica Comunità di Cadore a Pieve di Cadore, e nel “Pojat” di Zoppè, nel corso del 2015 gli artisti Mario Tomè, Nicolò Degiorgis e Michael Fliri, hanno operato, attraverso la pratica della Residenza, direttamente sul territorio, evidenziandone diversi elementi identitari.

Ora, con il laboratorio de “I legni umidi”, Mario Tomè, detto il Barelon, ha ripreso il proprio lavoro degli scorsi mesi, che si era concretizzato nella mostra I Bareloi, realizzata nel Museo del “Pojat”.
Come abbiamo già spiegato qui, una parte di questo lavoro è stata acquisita dal Museo, entrando permanentemente nella sua collezione, che in questo modo si è mossa.
Questo risultato rappresenta già in sé un’evidenza della buona riuscita di “Chiavi di Accesso”: infatti, la domanda basica “i musei sono aperti o chiusi? fruibili o fermi? attivi o polverosi?”, trova risposta in quest’atto.
Se un Museo tematico acquisisce un’opera d’arte contemporanea, significa che tale Museo non è fermo, e che la coltivazione della propria collezione, della propria storia, della propria funzione, avviene attraverso prassi attive. La storia è un moto, e i luoghi che conservano parti ed oggetti di essa, devono essere luoghi attivi, dove scambiare, e non cenotafi commemorativi, memoriali delle immagini fossili di una storia passata, disconnessa dal presente.

Allo stesso modo, il laboratorio de I legni umidi ha inteso trasformare, per una giornata, il museo-luogo-della-conservazione-ed-esposizione del museo-macchina-delle-interazioni. All’esterno del “Pojat” c’è una fontana, acque fresche, ora gelide, sgorgano perennemente dalla sua doppia canna, mettici sotto la manina.
Con questo Lab, si è voluto riprendere uno dei temi già individuati precedentemente dall’artista, proponendo una riflessione, non ideologica ma concettuale, sul tema generativo dell’acqua, il suo valore di risorsa, la sua importanza per il territorio e per l’uomo. La riflessione concettuale, i tematismi legati all’acqua, sono gli strumenti d’analisi attraverso cui i partecipanti al workshop hanno potuto affrontare fisicamente la fontana: l’obiettivo pratico infatti era quello di costruire un sistema di canalizzazione dell’acqua, per movimentarla, e portarla altrove, attraversando altro spazio.

qui le foto nel Pojat:

 

Si è deciso di non riservare il laboratorio ad un pubblico specifico, per tipologia, per età.
Aperto a tutti.
E così son venuti in molti, e tutti diversi.
Lapo e Noa, ragazzini. Camilla e Alan, dalla Germania. Lara e Feltrin, due architetti. Mario, scuole medie. Tania, istruttrice di nuoto. Alessandro, studente del classico. Luca, aspirante giuida alpina e scultore. Leonardo e Cecilia, i più piccoli. Enrico ed Irina. Anny, postina.

Alla mattina, nonostante il gelicidio (pioggia la sera prima, le strade una lastra, e Zoppè non è una piana, 1465 m.s.l.d.m), tutti puntuali.
Ad accoglierli, il Barelon in persona (così è chiamato Tomè nella sua valle nativa, agordina), Alice e Sara, insieme ai rappresentanti della comunità locale (il Sindaco Renzo Bortolot e Giulio) e del Gal (Iolanda Da Deppo).

La mattinata è stata dedicata alla progettazione: tutti al pianterreno del Pojat, matite e fogli, bimbi, ragazzini, architetti, persone di diversa provenienza ed esperienza. Tutti hanno disegnato e scritto. Pensieri, schemi di macchine idrauliche, immaginarie o realizzabili, mille cose e idee han riempito le carte.

Alle 13.00, altri abitanti di Zoppè son giunti, brandendo una polenta fumante, i formaggi e i salumi locali, vini, spritz.
E si è mangiato, bevuto, parlato, mentre tutti si conoscevano, e il Museo era davvero la stazione degli scambi reali, il luogo in cui la cultura incontra e mangia (così nutre), e non la vetrina delle mute, asettiche ostensioni.

Subito dopo, si è proceduto a leggere e guardare insieme i materiali e le idee prodotti da ognuno.
E poi, si è usciti: il pomeriggio infatti è stato dedicato al laboratorio di costruzione vero e proprio.

Strumenti: motosega e trapano, il manarìn da festìl per scavare i tronchi e ricavarne le canale per convogliare l’acqua, molto legno, sega, chiodi e bulloni.
Ogni bimbo, ragazzo, adulto, uomo e donna, ha tagliato, battuto, segato, incollato, avvitato.
I tocchi di legno han cominciato a muovere l’acqua, ci si è bagnati le mani. Una canalizzazione è stata approntata, una piccola protopala di mulino, l’ingranaggio ulteriore, è stata allestita.
E i legni si son fatti umidi, come s’era detto.
E il Museo s’è fatto vivo, come bisogna ch’esso sia.
E l’arte non è servita per generare un prodotto, ma per attivare relazioni, di senso, e tra le persone.
E le persone erano presenti, ed attive, l’artista era uno di loro, il Barelon, coperto di segatura.

E ci si è chiesto, e si è detto, tra le altre cose:
elo aiva su la luna?
Polenta = acqua e farina.
Du kannst drei wochen ohne essen leben, aber keine drei tage ohne wasser.
Che feo artisti? Son qua che matedon.
Al saanc elo ros o blu? Sun zopè l’è blu come l’aiva.
Acqua alta a Venezia? Si son fregati le passerelle.
La coca cola mangia le ossa.
Eccetera.

E insomma: è stato bello.
Lo rifaremo.
Grazie a tutti.
Avanti Savoja

qui alcune degli schizzi e note prodotti: