26 dicembre 2011
le persone avanti alle cose / Nino De Nardin riconosce Gio Cadorin
le persone avanti alle cose
(essendo che di continuo il mondo ci appare e ci si mostra per quel che è, zeppo di mezzepersone sconce che s’affannano a valer meno delle cose, cose di cui comunque codeste mezze mai riescono ad intendere il valore).
4 agosto 2019
Nino De Nardin riconosce Gio Cadorin
Dopo l’Opening di ieri al Nuovo Spazio Di Casso, opening che ci è piaciuto abbastanza, con varia gente e un poco di stigma-cabaret, e ne son successe delle belle e le diremo e mostreremo nei prossimi, ecco che oggi siamo andati via, a desaturare un poco, dopo i cicli di carico intensi vorticosi delle ultime settimane, e domani si ricomincia.
Siamo andati per prati a trovare le greggi (le vacche ci eccitano, son brave, tengono dignità), a immergerci nel sole e nel verde (che è parte di noi), stravaccarci per le terre calde sulle erbe croccanti, circondati da ‘ste montagne impietosamente e impudicamante belle e sovrane, fuori la lenza lenta del benstare.
Ogni tanto occorre respirare, riporre il piccone insanguinato e andar liberi, cogli occhi spalancati: si ride, e ci si commuove davvero. La nostra apnea quotidiana non è un lucido scrigno di gioie istantanee. Son vie dure, queste del nostro alpinismo culturale.
Insomma, dovevamo rifiatare.
Eccoci dunque a Malga Fontanafredda, in Staulanza. E mentre arriviamo, ci si para innanzi questo uomo sottile, cavalletto e tela piantati nel prato, in faccia alla Civetta col Pelmo alle spalle, a dipingere en plein air, santolsuodio, anch’egli bene immerso in corroborazione nel paesaggio: e siccome ci colpiscono la sua estetica, l’assetto pacifico e determinato, ci fermiamo, scendiamo, lo interroghiamo: gli domandiamo di dov’è – Taibon agodino, ammette – e come si chiama.
Spiego meglio: ci ha colpito subito, questo tipo così combinato, perchè sembra finto da quanto è vero. S’intuisce che non è un uomo in posa. Capiamo subito che non si tratta di un astante domenicale, nè del tipo canonico del dilettante in trasferta (forse quello l’avremmo tirato sotto).
Sembra invece un uomo in casa propria, uno che ha scelto dove stare. E’ distinto. E’ eretto, una postura assai dignitosa la sua. E’ quieto e determinato, ed a proprio agio, pare in comunione universale, spande aria d’armonia cosmica: o siamo noi, ultracompressi, a volerlo veder così? Lavora ed è in pace: la pace che abbiamo deciso di venire a prenderci oggi. Il nostro recettore di pace è finalmente inserito, sensibilissimo. Ed è naturale questo, dato che, per campare e spingere, lo escludiamo costantemente. Siamo costretti alla battaglia che vogliamo. Altrimenti, non potremmo far sprizzare le idee. Noi siamo abituati ai clangori del maglio.
Ma lui è in una pace, ed a quella oggi aneliamo (per questo piangiamo: due volte all’anno, liberiamo la pietà).
Insomma, la vista di isto soggetto peculiare, così intrinseco al paesaggio che riporta sulla tela, è forse già la breve cura che ci somministriamo.
Arriva come un morbido ceffone bucolico boschereccio, vampa d’aria calda in faccia. Apriamo la bocca, i polmoni, tutta la mente. Il cervello s’acquieta.
Ma, nel giocoso riserbo suo, non c’è verso di cavarglielo, il nome benedetto, che infatti non esce, nè da una tasca del giacchetto blu tagliato diritto, ben pulito e in ordine, nè da sotto a quel suo cappel d’alpino, nè da dietro alla barba piccola o alle lentironiche.
A Taibon fummo nel 2012, riattivando l’ex fabbrica Visibilia (Taibon BLOCCO) – se ne ricorda bene ello, ci venne tre o quattro volte. Uomo attento.
Dopo un poco ce ne andiamo, ci tocca lasciarlo senza averlo stanato, identità sconosciuta, non possiamo forzarlo, ma c’è piaciuto, pensiamo a lui.
Giungiamo così alla Malga bella, dove da un mese è di stanza il Mario Tomè: si parlava parecchio di lui ieri a Cas: il suo canto propiziatorio, peana dei campanacci, ha portato bene a tutti (gliel’avevamo espressamante chiesto noi, che sappiamo connetter gli spazi: cure d’aedo).
A quest’ora Mario è su in Lastie con le sessanta vacche dei gentilissimi De Nardin: profittiamo per saggiare formaggio salume e birra.
Conosciamo le donne e alcuni dei ragazzi del clan De Nardin, che portano avanti il Belot (Melia, Nada, Mirko, Denis, Ermes, Alessandro, Giovanni).
Nino è il capofamiglia; nato il dieci febbraio del 1945, a quattro mesi era già in malga.
Il decano.
Mi ascolta, senza scetticismo nè eccessiva sopresa (aperto), mentre spiego che il loro vaccaro Tomè è un forte artista, che la sua valenza esubera la stalla.
Poi diciamo al Nino sanguigno del pittore ritroso de Taibon che ci ha colpito, glielo desciviamo, riesco a incuriosirlo: così che in un istante con un tuono si leva dallo sgabello, e lo carichiamo in auto, il Nino, e insieme a lui torniamo di repente indietro a identificarlo, il laconico paesaggista.
E’ ancora là.
E insomma, altrochenò, si conoscono eccome, i due barba: saluti e affetto e vigorose allegre crepitanti interiezioni a scroscio.
L’artista si svela: è Gio Cadorin, godetevi il suo biglietto da visita, e imparate qualcosa, artisti contemporanei tutt’intenti agli Opening del sabato.
Subito dopo l’agnizione, spartiti i flyer DC, che ora rutilano per le valli su ali sottili e taglienti, torniamo in malga, e saliamo il colle.
Troviamo Tomè con Walter sedutinterra all’ombra, tra i serafici bovini ruminanti.
Si parla e si fuma.
Mario coglie un mirtillo selvatico e me lo offre (Ieri ho visto da Teza che a Borca han preso a buttare finalmente i porcini: ma qua in Staulanza sono i za’etti ad abbondare).
Poi dopo un paio di sdraiamenti, brevi sonni ristoratori, sogni vividi, trazioni a traliccio, si torna giù, e li seguiamo nelle attività, lor pastori.
Pòrtale a bere (un cubo d’acqua al dì), e scendile dal pascolo.
Bloccale dunque, che prima le capre (sessanta) van messe in stalla.
Contale, lega i becchi.
Ora le vacche in stalla, leccornie in mangiatoia, le vitelle nel recinto.
Via a mòlder le capre con le mani, si fa in quattro.
Poi la mungitura delle vacche.
Il musso cerca d’ingroppare la madre, càpita.
Coppia di falchetti in hovering: più stabili d’un drone, immobili: poi picchiano, sopra il bosco scuro sentiamo il vento vivo nell’ala, sentiamo il caldo e il sole, come iniettati, tutto si muove.
Un turista col le merdose crocs modula orrende canzonette da baita che ha imparato in città: purtroppo ho lasciato la roncola in auto.
Altri animali frombolano attorno, si spazza il cortile dalle deiezioni dei transiti di mandria e gregge.
Fuori al tavolo vino e birra e formaggio e birra e salame e vino e si fuma e si parla ancora, tra tutti: in questa malga c’è gentilezza d’animo, e una grande ospitalità, e il cibo lo fan loro, ed è buono e molto: il casaro è Walter.
Bene, finiamola qui ora, che non c’è tempo e volevamo dare solo l’idea e segnalare: ma siamo stati davvero bene, e ci torneremo presto.
Il consiglio: andate a Malga Fontana Fredda, conoscetela.
Ad esempio: ogni lunedì d’agosto, alle 10.00, c’è un dimostrazione: “Scopri come si fa il formaggio di capra”. Partecipazione gratuita, prenotazione obbligatoria il giorno prima: 338.3805043.
Andate a camminare.
Non morite grassi in ufficio.
Al diavolo andate pure, se pensate ai rimborsi.
Animo, gente.
Sarà un piacere sentire altre canzonette da baita: stavolta portiamo la scure.