13 novembre 2019

A novembre 2019, Dolomiti Contemporanee ha partecipato alla Winter Academy T.UN.NA (Academy internazionale sul turismo sostenibile nelle aree naturali UNESCO) della Trentino School of Management. Martedì 26 novembre 2019 – Winter Academy T.UN.NA – Cavalese L’intervento di Gianluca D’Incà Levis (scroll for eng): La costruzione della Montagna e del Paesaggio. Visioni e pratiche costruttive per rigenerare le risorse naturali. La Montagna è un’architettura costruenda, non un fossile inerte, né una cava inesauribile.Il valore (turistico, ricreativo, forestale, culturale) va prodotto, non consumato. Ma per fare questo serve innanzitutto una
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2 ottobre 2019

Tiziano Contemporaneo: avviamento del progetto al Forte di Monte Ricco a Pieve di Cadore (2017/2019)Tutti lo sanno: Tiziano Vecellio nasce a Pieve di Cadore (Bl), negli ultimi anni del quindicesimo secolo.A maggio 2017, dopo lungo restauro eseguito con il fondamentale sostegno di Fondazione Cariverona, il Forte di Monte Ricco, a Pieve di Cadore, è stato riaperto.Gli enti gestori della struttura, Fondazione Centro Studi Tiziano e Cadore e Fondazione Museo dell’Occhiale onlus, hanno affidato a Dolomiti Contemporanee la curatela dei contenuti culturali e artistici, avviando una collaborazione triennale.La prima mostra, Fuocoapaesaggio, conclusasi ad ottobre 2017, è
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8 marzo 2019

Dal 2011, DC compie una ricognizione sistematica del territorio dolomitico, intercettando siti problematici ad alto potenziale, che vanno riconcepiti, ridefiniti, riaperti, rilanciati.Abbiamo cominciato a compiere i primi voli radenti sul Forte di Monte Ricco, a Pieve di Cadore, nel 2014. Nel 2017, concluso un importante restauro della struttura, sostenuto da Fondazione Cariverona, ilForte è stato finalmente riaperto. Il comune, e gli enti gestori, hanno deciso di intraprendere la via sperimentale della rigenerazione attraverso il contemporaneo, accogliendo il progetto immaginato da DC. Questo Report racconta il primo biennio d’attività, la visione, la
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28 febbraio 2019

1. Prologo, per chi non ci conosce: chi siamo, come agiamo, perché parliamo. Dolomiti Contemporanee: un progetto di valorizzazione, rigenerazione, cultura, arti, territorio, fiducia, reti. Dolomiti Contemporanee (DC) è un progetto nato nel 2011 nelle Dolomiti Bellunesi, che negli anni ha operato alla valorizzazione e rifunzionalizzazione di una ventina di siti problematici nel contesto dolomitico, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. L’idea alla base della pratica è questa: alcune ingenti risorse territoriali (siti o manufatti abbandonati o depressi, ambiti territoriali depotenziati, aree marginalizzate), per diversi motivi oggi sottoutilizzate o spente, vanno
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8 novembre 2018

il suono dei boschi schiantati è ora un ruggito meccanicoil suono della pala che cerca di aprirsi un varco tra gli abeti rossi e i pini sradicati, spezzati, sfracellati (grinding: apre/devasta/libera)a centinaia di migliaia, a milioni e la pala carica e spinge e spezza ancora i monconi tronchi di questi corpi torturati metallo su legno sbadabang i fantasmi del bosco che non è più e si cerca il nastro d’asfaltoche sta sepolto lassotto questi alberiche il cataclisma degli scorsi giorni ha gettato, scagliato, a terrasulle strade, sulle case, nei torrenti - in certi punti ce n’è più a terra
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23 giugno 2018

La Residenza di Brain-tooling a Pieve di Cadore.Un discorso semplice. Per chi capisce già, per chi non capisce ancora, per chi non capirà comunque – noi intavoliamo sempre. Che cosa sono l’arte e la cultura. Cos’è una mostra di Dolomiti Contemporanee. Cos’è una Residenza. Cosa sono l’arte e la cultura? Dolomiti Contemporanee sta lavorando alla messa a punto della mostra collettiva d’arte contemporanea che, sabato 30 giugno, riaprirà stabilmente il Forte di Monte Ricco. La mostra, che vede all’opera 25 giovani artisti italiani e stranieri, rimarrà allestita fino al 30 ottobre prossimo (orari su www.dolomiticontemporanee.net e sui websites degli
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2 giugno 2018

Batteria Castello  sta sull’altura sopra a Pieve di Cadore, a pochi metri dal Forte di Monte Ricco. Anticamente, qui si trovava il Castello di Pieve di Cadore, prima fortificazione cadorina: numerosi i documenti, anche molto antichi, che vi si riferiscono. Pare (forse) che il Forte Monte Ricco e Batteria Castello fossero collegati direttamente da una poterna: dalla copertura verde (e irrisolta: come irrisolto è, ad oggi, haitutti, il rapporto tra il Forte e il paesaggio) del Forte, volgendosi a Nord-Est, la facciata della Batteria Castello appare tra gli alberi, assai vicina (cinque minuti a piedi). Quando, nel 2017, Dolomiti
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16 maggio 2018

campo di curva: curvaturaquale curvatura (ribadisci sempre, ripeti)questo spazio è un fondo piatto, ribaltato, emerso, inastatoarcipelago eploso verso l’alto la connessione dalle pratiche ai luoghi, la totale connessione, nel presente, di spazio (i siti) e azione (la pratica nel tempo, oltre i nodi sclerotici della storia – la storia eventistica, non processuale)lo spaziotempo, nella sua continuità mobile, eccolo nella curval’unione tra paesaggio e moto generativola coincidenza, nel valore, tra senso e spazio ancora: lo spazio, che è il senso nel tempo (moto) la montagna curvamontagna in curvaturaisolacurva, atolli connessiquesta forza applicata,
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28 gennaio 2018

Gli atti del convegno alpi, architettura, patrimonio, svoltosi a novembre 2015 tra politecnico di torino e di milano sono stati pubblicati da Mimesis editore a gennaio 2018, per la cura di Davide Del Curto, Roberto Dini, Giacomo Menini. qui il saggio di gianluca d’incà levis presente nella pubblicazione, titolato cura e rigenerazione di paesaggio e
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31 dicembre 2017

Gli atti del convegno strategie di rigenerazione del patrimonio industriale, svoltosi il 30 e 31 marzo 2017 presso l’ex lanifico maurizio sella di biella, sono stati pubblicati da Edifir Edizioni Firenze a dicembre 2017, per la cura di Cristina Natoli e Manuel Ramello. qui il saggio di gianluca d’incà levis presente nella pubblicazione, titolato dolomiti contemporanee: inessenzialità del budget, concretezze
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DC e gli Scarpét

Tu lo sai cosa sono gli Scarpét?

Qui ci abbiamo fatto un workshop a Casso, a dicembre 2022, e da lì abbiamo avviato la ricerca applicata, trovi altri link utili in quel post.

Gli Scarpét, o Skarpét, in bellunese, o le furlane, in Friuli. Ste scarpe o “… pantofole rustiche artigianali, tipiche e abituali calzature montanare d’un tempo, costituite da una suola di pezza fittamente trapunta (strapônta) con filo di canapo incerato e da una tomaia scollata, in panno o velluto nero, orlata o foderata, molto resistente … (Enzo Croatto, Vocabolario del dialetto ladino-veneto della Val di Zoldo, Belluno)”.

Dolomiti Contemporanee, con la sua abituale tenerezza culturale, propone un altro saggio di attenzione alla cultura del territorio, e di intereazione con essa.

Abbiamo iniziato a dicembre del ’22 nel Nuovo Spazio di Casso con un workshop che portava donne da diverse valli dolomitiche a incontrare artisti da tutto il mondo. Queste donne esperte che salvano il mestiere antico che si sperde, e che però non son fertme, ed infatti hanno accettato subito l’idea della “necessità della distruzione della tradizione (nell’assetto pago replicativo) attraverso la rivoluzione affidata alla trasformazione, ovvero non andare a rifarla sempre eguale, la cosa, scarpa o altro che sia, che non basta, la si ha da far corretta e diversa invece. Prima inventi una cosa (salto culturale), poi la difendi (il mestiere tenuto), poi la rinnovi (un salto non basta, non sedertici, fanne altri). Ricordi cosa diceva Nietzsche di Goethe e Leopardi? Incameravano il passato, certo, questi ultimi poeti-filologi.
Ma, anche semplicemente nel riprenderlo, quel passato (Eraclito o lo Scarpét qui è uguale), lo ricreavano. Ma di questo parleremo meglio presto altrove.


Maria Teresa Agnoli
, che va per gli ’80 e si è dimostrata un’ottima capocordata (volenterosa e aggregativa), sa come si fanno a mano. Ci vogliono dita d’acciaio, climber da strapazzo. Ha un laboratorio produttivo e formativo a Perarolo di Cadore.
Ci aspetta lì. Cosa aspettiamo? 
Ha capito subito, assieme alle colleghe, il senso della nostra azione, il modello propulsivo e non descrittivo delle cose belle ed efficaci che van prese e smembrate (la critica, il lavoro dell’artista) e rimontate; ha capito subito ad esempio le meraviglie di Anna Poletti, le coperte di Pblab e lo Scarpet da arrampicata, ed è qui che è fiorito il dialogo tra i diversi, che è già come un forte patto affermativo, un’intesa profonda, un fiore esplosivo (e aspetta di vederli, i nuovi fiori incendiari sugli scarpét riletti dagli artisti: botanica fantastica rinnovativa).
La tradizione infatti non è importante se viene semplicemente (acriticamente) trasmessa e salvata, ma se viene esposta ad altri contagi e trasformata. Nutrila. Attenzione ai fanatici della conservazione.


Come lo si fa/ceva:

Fare gli scarpet era un tempo un’attività di trasformazione dello scarto. L’unione di vecchie stoffe permetteva la realizzazione di suole solide e resistenti, in grado di durare nel tempo. A questa stratificazione di scampoli veniva poi aggiunta la tomaia che, spesso, era di un materiale più pregiato (velluto o tela). L’accoppiamento permetteva la facile sostituzione del materiale più fragile (pregiato ma fragile) potendo così mantenere la stessa suola. Tirar i Scarpet. Eh, duravano. 
Mai indossarle su terreni bagnati, di preferiva star scalzi piuttosto che rovinare quelle suole costate molte ore di lavoro. Poi, la gomma (che era sempre uno scarto) consentì di affrontare qualche umidità.
Cuciture, forme e ricami cambiavano di valle in valle e di paese in paese. 
Ogni paese quassù porta, da secoli, un fiore distintivo a decorare lo Scarpèt?
Ne faremo degli altri, ecco che vengono i fiori DC.

Qui un minimo di bibliografia

 Le foto quissopra sono di Giacomo De Donà e Teresa De Toni

Settembre 2023, un altro passaggio della ricerca:


Gli Scarpét (in Veneto: in Friuli Venezia Giulia si chiamano le Furlane, storicamente gli Scufons) sono stati lanciati, come tema culturale legato all’interpretazione e rigenerazione di questa tradizione manufatturiera artigianale, così caratterizzante, così interessante, così trasformabile (DC è un soggetto attivatore trasformativo), a dicembre 2022, con il primo workshop.

Interpretabile vuol sempre dire trasformabile. Si trasforma un oggetto di cui si voglia conservare l’essenza, al tempo stesso rinnovandola, cosicchè la tradizione non diventi una determinazione immota, ovvero un sacello conservativo, ma uno stimolatore, ovvero un suggerimento alla rinnovazione del tipo, e della sua estetica.

Lo Scarpèt possiede un grande potenziale di riprocessazione: estetica, ma anche funzionale, poi ad un certo punto vedrai come.


Diciamo che la trasformazione è una lettura, e quindi è una forma di traduzione. Ogni rilettura di un testo (un oggetto è un testo, se lo studi) è una sorta di traduzione vivificante del testo originale.


Abbiamo iniziato a conoscere le custodi di questo lavoro: in ogni paese del Cadore, c’è una maestra, che conosce e diffonde il mestiere, insegnando la tecnica realizzativa degli Scarpét a chi se ne interessa: molti se ne interessano.

Il martedì, a Forno di Zoldo, presso l’ex Scuola elementare Panciera Besarel, si riunisce il gruppo guidato da Loredana Lazzarin, con l’Associazione Made in Zoldo, e si portano avanti gli Scarpèt.

L’abbiamo visitato, insieme a Beatrice Pra Floriani, che ci ha condotti in visita al laboratorio.

Qui di seguito, riportiamo anche un testo.

E’ stato scritto da Gigi Pra Floriani, nonno di Beatrice, nel 2006, ed è comparso allora sull’Alpino zoldano.



Fà scarpet in Zoldo

Fà scarpet in Zoldo nel secolo scorso era una necessità, un’usanza, un rito.
 Li facevano le donne, era un’arte che si tramandava da madre in figlia e si svolgeva in tempi programmati, era proprio un avvenimento dei lunghi mesi invernali.
 Mentre per la confezione, l’imbastitura e soprattutto la trapuntatura “straponze le solete” ogni spazio di tempo libero era buono. 
Ad esempio, quando le donne andavano ad accompagnare le mucche al pascolo, sedute sull’erba con in mano la pallina di cera d’api, il gomitolo di filo di tela, ed una piccola pinzetta (quest’ultima rudimentale, fabbricata nelle Fusinele di Zoldo), lucide per l’uso le pinzette, servivano per estrarre la gusela dalla soleta.
 Per ore e ore fabbricavano i “sciop de fil” doppio lunghi circa 60 centimetri. Questi, ben ritorti, fattoli rotolare fra i palmi delle mani e poi incerati scorrendoli sula palina di cera, quindi per ultimo facevano, i nodi all’estremità usando una sola mano con destrezza.
 La materia prima per le “solete” consisteva nell’ultima fase di riciclaggio di vecchi panni.
 Ad esempio la giacca del vestito nuziale, che per vari anni veniva indossata i giorni di festa e per altrettanti nei giorni feriali, poi, quando oramai lisa si usava per il lavoro. 
La cosidetta tomaia, veniva fata con veluto nero socelto e foderata allintemo con tessuto di tela ed orlata con spighetta nera.
 La parte posteriore sul tallone veniva rinforzata con più strati di tela perchề non si deformasse.
 Per i più giovani che consumavano vari paia di Scarpet all’anno, si fabbricavano con materiale meno costoso come “frustagno” liscio o rigato e rinforzato con un puntale sulla parte anteriore.
 Per i piccolissimi la tomaia aveva le “regele” che facevano il giro alla caviglia abbotonandosi alla sola sul col del pè per non perderli.
 I più esigenti, Tornavano con fiori sul puntale fatto da ricamatrici provette, fiori da sembrare veri. Il ricamo prediletto era la stella alpina, e i non ti scordar di me.
 Nella frazione di Pra di Zoldo, non si sono mai posti il problema di fare due forme (destra e sinistra).
 I Scarpet, si facevano con un’ unica forma dritta lasciando che fosse il piede mediante l’uso a dare la forma anatomica. 
L’ attaccatura della tomaia alla soletta veniva eseguita introducendo la forma di legno e cucendo a mano la “zentina”, già attaccata alla tomaia.
 Dopodichè, con forbici o coltello da calzolaio si regolava la sporgenza della “soleta” e si rifiniva con la “radisela”, prima di levare la forma con la mazzetta di legno, si batteva tutt’attorno per ovviare alle piccole irregolarità di sporgenza. 
I Scarpet per il materiale con cui sono costruiti sono una calzatura da tempo asciutto, suo peggior nemico è sempre stata la rugiada.


Gigi Pra Floriani, Pra di Zoldo, 19 settembre 2006


Una curiosità: Egidio e Florio Lazzaris si ricordano di “Scussel Giòbatta dei Locanda’ sposatosi con Maria Calchera, questi, nei primi del 1900 si trasferirono a Belluno per aprire un Scarpetteria che con gli anni si trasformò nel mobilificio “Scremin”.