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Infrastruttura Paesaggio
Penetrazione territorio. Il Ponte Cadore, visto dalla Cavalera. Il viadotto si trova tra Perarolo e Pieve di Cadore, sotto scorre la Piave, che va alla confluenza con il Boite.
Si procede ora (primavera 2024) all’adeguamento statico sismico delle strutture, il cantiere Anas durerà ancora almeno diciotto mesi, forse di più. Nel 2025, saranno quarant’anni dalla realizzazione di quest’opera. Foto Teresa De Toni.
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Il Paesaggio si costituisce grazie all’interazione tra il contesto ambientale e il lavoro (le opere) realizzato dell’uomo.
Quando l’uomo realizza infrastrutture o grandi architetture, ciò ha un impatto sulla definizione e nell’aggiornamento dello stato del paesaggio, che in realtà è un moto, dato che il paesaggio antropizzato si modifica di continuo.
Le infrastrutture legate alla viabilità, come il Ponte Cadore, interagiscono con l’ambiente e lo modificano sensibilmente.
I cantieri delle varianti sulla SS 51 di Alemagna, attivati per l’Olimpiade invernale di Milano Cortina 2026, sono altri fulcri della trasformazione del territorio, che dovrebbro concedere ad esso servizi migliorati (viabilità ottimizzata, traffico di scorrimento spostato all’esterno di alcuni centri abitati e paesi).
La conoscenza del territorio è continuamente alimentata dallo studio e dall’analisi di tali trasformazioni, in relazione con le preesistenze e con le esigenze degli abitatori dei luoghi. Anche la conoscenza dunque cambia e si accresce di continuo, mentre concorre a determinare, o si limita a rappresentare e a commentare, i nuovi oggetti prodotti.
L’adeguamento delle strutture logistiche e l’inserimento di nuovi manufatti, vengono valutati dal punto di vista dell’adeguatezza funzionale rispetto a determinate esigenze e da quello di una congrua modificazione degli assetti del pasaggio, ovvero dell’impatto su di esso e sulla sua percezione.
In tal modo, la pianificazione, l’ingegneria, l’architettura e la difesa del suolo, che devono produrre indagini di impatto ambientale preventive, si relazionano di continuo con il contesto, di cui progettano la griglia d’uso, razionalizzando trasporti e servizi, concorrendo a determinare (modificare) la forma e l’immagine urbanistica dei territori.
Opere complementari connesse a Milano Cortina 2026. SS 51 di Alemagna. Il tunnel bypass di Valle di Cadore. Foto Teresa De Toni.
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Dovrebbe essere buona regola, quando si realizza una nuova infrastruttura, condividere la sua progettazione con i territori e con chi vi abita.
Non sempre questa discussione viene cercata e favorita: questo è un errore umano, sociale, politico.
In tal modo (insufficiente condivisione), spesso il dibattito assume toni concitati, con una contrapposizione diretta tra i pragmatici favorevoli e i tutelatori conservativi che si oppongono alle nuove realizzazioni, spesso giudicate superflue o poco sensibili rispetto agli equilibri del Paesaggio.
Naturalmente, se si vuole essere realistici, e non preorientati ideologicamente, bisogna riuscire a contemperare le due istanze: quella di sviluppo e adeguamento delle logistica d’accesso e fruizione dei territori da parte di chi vi risiede e di chi vi transita, e quella della protezione e conservazione dell’ambiente, che costituisce un patrimonio che va preservato.
Ognuno ha diritto alla propria legittima opinione, naturalmente.
Ma le opposte posizioni totalizzanti (infrastruttura imprescindibile; natura intoccabile), in quanto contrapposizioni cristallizzate, sono entrambe incongrue, e non consentono un dialogo e una mediazione intelligenti.
Se un uomo ama prevalentemente il cemento e l’ingegneria, ad esempio, potrà tendere a valutare come fattori preminenti la necessità strategica e la qualità del manufatto realizzato, accettando, insieme al ruolo della nuova struttura, anche il suo inevitabile impatto, spesso apprezzandolo, anche esteticamente.
Se un uomo ama o dice di amare prevalentemente la natura, potrà egli tendere a non apprezzare, a non volere, a rifiutare in parte o in toto, la realizzazione di opere che sottraggano spazio alla natura, privilegiando scelte più leggere, e immaginando di riuscire un giorno a regolamentare gli accessi al territorio e alla montagna, in modo tale da non edificarla ulteriormente, rendendola percorribile secondo modelli di rispetto e compatibilità ecologica.
Le ex Scuole elementari di Casso, dal 2012 Nuovo Spazio di Casso al Vajont, un Centro per la Cultura Contemporanea della Montagna e del Paesaggio. Foto Giacomo De Donà.
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Semplificando e generalizzando possiamo dire, dato che lo vediamo ogni giorno: spesso chi ama il sentiero non ama il viadotto.
Chi ammette e conferma la necessità dell’infrastruttura tecnologica, e chi, per ridurre le emissioni di co2, usa poco l’automobile e non prende più l’aereo.
Ma le due posizioni, quando così nette, così contrapposte, sono ottuse, perchè impediscono la mediazione, e quindi non possono essere nè imposte nè accolte.
Tenendo conto del fatto che i flussi turistici sono sempre più ingenti, e volendo ragionare in modo realistico (prospettiva della demografia terrestre), dovremmo sapere che è impossibile impedire talune trasformazioni e adeguamenti funzionali di infrastutture viarie e altre opere ingegneristiche.
E’ impossibile dunque, in questa fase storica, la conservazione integrale di ogni contesto vissuto dall’uomo, che è, nel bene e nel male, il più laborioso agente trasformativo della terra.
Allo stesso modo, non dovrebbe essere mai consentito l’avviamento di un cantiere-territorio rilevante senza avere condotto nel modo più approfondito possibile le indagini preventive.
La contrapposizione manichea delle visioni, o delle politiche di azione derivate da sensibilità e orientamenti personali (le inclinazioni: stiamo diritti: non incliniamoci), sono pericolose, non di rado egoiste.
Non dovremmo infatti pensare di salvare o rammodernare i territori secondo la nostra inclinazione personale, ma secondo una visione pubblica del bene, del valore pubblico della migliore potenzialità del bene, del suo esercizio, della sua protezione.
E una visione pubblica predeve sempre la considerazione responsabile delle istanze degli altri, e una fatica intelligente nella negoziazioni complesse.
Il Forte di Monte Ricco e Pieve di Cadore, con le marmarole sullo sfondo. Foto Giacomo De Donà.
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L’interazione tra natura e infrastruttura (natura e cultura), dà spesso luogo a interazioni frizionali.
La frizione interessa sopratutto chi non ambisca immergersi, fisicamente e intellettualmente, in un contesto vergine, perfettamente pacificato, o pacificante.
Per chi osservi il Paesaggio come un luogo delle trasformazioni e non della pura conservazione dell’habitat, le logiche trasformative, in parte inevitabilmente frizionali, sono interessanti, e però, naturalmente, vanno concepite e modulate correttamente.
D’altro canto, siamo ben consapevoli, a questo punto dell’antropocene giunti, che non esiste più alcun ambito vergine o quasi sulla terra, e comunque non certo nelle Dolomiti, arrembate dall’approssimazione turistica. Sappiamo che, se si vuole essere persone responsabili, bisogna saper considerare criticamente l’opera dell’uomo, entrando in merito dei singoli casi, e che nessun Paesaggio vissuto può essere trasformato in una riserva.
Le riserve sono pericolose, e noi non siamo qui per contemplare la pace della natura, ma per verificare, studiare, immaginare e cogenerare, processi ecologici di interazione tra i sistemi complessi, e quindi, possibilmente, per produrre delle scaturigini.
Questa relazione costruttiva del progetto e della visione del futuro del Bene, che consideri e integri le funzioni essenziali alla vita dell’uomo e degli altri animali, è alla base di molte delle ricerche condotte da Dolomiti Contemporanee, che sviluppa ragionamenti proiettivi lagati al riuso di strutture problematiche o sottoutilizzate, nella logica di una rigenerazione delle più rilevanti tra esse.
I siti di cui si occupa DC sono selezionati tra molti, e accomunati dunque da una serie di caratteristiche, qualitative e problematiche, formali e relazionali rispetto al contesto che contribuiscono a modificare, e del quale costituiscono singolarità integrate, ovvero comunicanti: niente monadi nè monumenti, ma un connettivo enzimatico.
Ci occupiamo di architettura e di scultura. L’architettura è una funzione di modellazione del Paesaggio, che produce elementi plastici, spesso di grande rilevanza e talvolta perfettamente relazionati al contesto ambientale, storico, sociale.
E’ questo ad esempio il caso dell’ex Villaggio Eni di Corte di Cadore, dello Spazio di Casso al Vajont, del Castello di Andraz a Livinallongo del Col di Lana, del Forte di Monte Ricco a Piave di Cadore.
Manufatti plasticamente e storicamente rilevanti rispetto al territorio, che pongono una relazione di forza, che modificano un ambiente naturale e umano, integrando il costruito alla preesistenza di contesto.
Le architetture e le infrastrutture sono di diverso genere, a seconda della funzione che esse debbono svolgere: le funzioni basilari non possono essere rifiutate, a meno che non si voglia isolarsi in un refrattario anacronismo.
E comunque, l’uomo è interessante, e buono risulta talvolta il suo lavoro, quando vede qualcosa e inclina all’eterogeneità costruttiva, non quando si tricera dietro agli apriorismi.
Pericolosa dunque questa novella sacralità della natura, patetici non di rado gli abbracci agli alberi, una gran noia la contrapposizione fossile di chi non sa considerare le altre possibilità del reale, come anche la critica intransigente ad un valore plastico da parte di chi il valore plastico non lo ammette, non sa intenderlo: in questo modello della chiusura, la critica non è concepita nè ammessa (per essere critico devi confrontarti, per confrontarti devi essere sensibile e formato al tema in oggetto).
Quindi può parlare di architettura chi conosce architettura: ecco perchè ne parliamo.
Può parlare di natura chi vive in natura e la conosce: ecco perchè ne parliamo.
Non veniamo in natura durante i finsettimana o le vacanze. Non veniamo il montagna perchè la città è disseccata e ci ha stancato e cerchiamo di rinfrancarci in un magico regno protetto. Viviamo in montagna, quindi non siamo estemporanei mentre ne parliamo e vi agiamo, e contrastiamo le logiche indegne di gestione di questo spazio-risorsa, ed anche le piccinerie conservative dei paladini acritici.
La città poi sta benissimo, ed è una meraviglia, non esiste alcuna contrapposizione, esiste una dialettica, quando esiste la dialettica.
L’architettura e la plastica di qualità, certo, nessuno può permettersi di ricusare qualità, questa sarebbe la morte della formazione, dell’evoluzione, del bene.
Ma ci sono altre cose, altri generi di focolai, d’altro canto qualcuno è acceso e vede tutto, altri camminano a testa bassa, mica sempre per il peso di ciò che portano in capo.
Tra i focolai, nelle visioni, c’è l’installazione pura. Un frammento costruendo di una macchina-fabbrica che è sempre un’arca, i suoi muri bianchi nel sole ardono disseccano lo sguardo, come improvvisa quieta astronave in radura al crepuscolo, le geometrie del vincolo vengono e s’inghiaiano ceppaie, e quel momento che per una felce gli è tremendo, per noi è alle volte (potenziale del nocciolo) stupefacente, o intelligente, o interessante, o intermittente (radioattivo), non sempre eccellente, ma stagliato transeunte, ovvero non previsto nè automatico ed in ciò in qualche msura finalmente scotente, e questa dimensione intermedia, presto superata (opere durante la costruzione), apre all’estetica dell’ingegno ed ai sentimenti, perchè mai no? qualcuno pur romantico si commuove per ruina? Non ti disturba tant’apatica stagnanza?
n’altro sente solo mentre palpa il torace di un alto fusto: non masturbarti sulla pianta, facile amare albero e animale: provaci con l’uomo, se ci riesci, tipo pigro (anche moralmente).
Quindi, stiamo, dicendo, non c’è solo la qualità della ricerca plastica ad animare l’attenzione per la presenza. ci sono le frequenze installative, le invasioni aliene, le temporaneità monumentali, le griglie di costruzione, e così via.
Patrimonio nel Paesaggio. Borca di Cadore, l’Aula Magna della Colonia dell’ex Villaggio Eni di Corte, sul quale dal 2014 è attiva la piattaforma di rigenrazione di Progettoborca. Sullo sfondo la Sud dell’Antelao (aprile 2024). Foto Teresa De Toni.
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Tra i tipi di strutture da considerare, sempre nel loro rapporto con il contesto, vi sono:
- il paesaggio stesso: è già infrastruttura
- le architetture significative
- le architetture abbandonate (tema di smantellamento e/o riuso)
- l’organizzazione e la pianificazione dello sviluppo territoriale (piani paesistici)
- le infrastrutture viarie (strade, viadotti, ponti, ferrovie)
- le infrastrutture tecnologiche (ripetitori, tralicci, lineee elettriche e delle telecomunicazioni)
- le fabbriche (abbandonate, in funzione, in trasformazione)
- le opere connesse alle vie d’acqua (centrali, dighe, sbarramenti)
- le opere connesse agli eventi franosi e alla loro mitigazione
- i rifugi
- piccoli manufatti significativi, rurali o industriali (micrositi, tema di smantellamento e/o riuso)
Infrastruttura Paesaggio indaga questi oggetti complessi, e le loro modificazioni nel tempo.
Qui di seguito, una serie di link relativi ad alcuni di essi, con schede monografiche dedicate ed aggiornate periodicamente.
Rifugio Visentin al Nevegal (Belluno). Ripetitori e parabole. Foto Teresa De Toni.
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Un esempio d’indagine accurata su un progetto già avviato da alcuni anni: Anatomia e Dinamica di un Territorio è un programma plurinnale che, dal 2020 al 2027, monitora le modificazioni del territorio legate all’Olimpiade invernale di Milano e Cortina 2026, attraverso una serie di seminari fotografici e la costruzione di un vasto archivio di immagini. Il Programma viene sviluppato attraverso una rete di ricerca che include la Scuola di Fotografia Bauer di Milano, Dolomiti Contemporanee e Progettoborca, l’Università degli Studi di Padova con il Dipartimento Tesaf, una serie di amminstrazioni locali e partner, un gruppo di curatori e decine di giovani fotografi che lavorano sul territorio attraverso le residenze dislocate.
Attualmente, l’archivo fotografico include circa 15.000 scatti già realizzati, in Valle del Boite e sulla SS 51 di Alemagna, che trovano posto nelle edizioni e nelle mostre dedicate.
Tai di Cadore, una delle variandi di Milano Cortina 2026 sulla SS 51 di Alemagna. Demolizione della Colonia di Montagnana, settembre 2023. Foto Teresa De Toni.
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Milano Cortina 2026, SS 51 di Alemagna.
Il tunnel bypass di Valle di Cadore.
Qui trovi la scheda dedicata, aggiornata perdiodicamente.
Opere complementari connesse a Milano Cortina 2026. SS 51 di Alemagna. Il tunnel bypass di Valle di Cadore. Foto Teresa De Toni.
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Il nuovo depuratore di Borca di Cadore.
Qui trovi la scheda dedicata
Il nuovo depuratore a Salieto, Villanova, ora in costruzione (aprile 2024). Foto Teresa De Toni.
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Ponte Cadore, SS 51 di Alemagna
Qui trovi la scheda dedicata
Ponte Cadore, foto Teresa De Toni.
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Cortina d’Ampezzo
Qui trovi la scheda dedicata (aggiornata a giugno 2024)