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Di come si assumono e non si assumono i riferimenti letterari
Di come si dovrebbero assumere, si assumono, si trasformano, si rinnovano, i riferimenti letterari, che non son cocuzze ma campi dell’intreccio, mentre invece snocciolare e risnocciolare rosari non equivale affatto a possedere, metabolizzare, radici e principi e funzioni.
Ciò che c’è sempre e ciò di cui nemmeno più la parvenza, a Firenze (non) come a Forlì.
I Preraffaelliti a San Domenico e Kiefer a Palazzo Strozzi (alcuni accenni e strali), 30 aprile 2024.
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Kiefer a Palazzo Strozzi (s-caduto)
Forse, se da qui non avessero Strangolato La Strozzina, oggi sarebbe diverso, e in questa città saprebbero ancora un poco il contemporaneo, la cui comprensione, la cui azione, non sono intermittenti, e van calcolate.
Ma siamo a Firenze: c’è il Rinascimento, questo straordinario Mostro Malombradore splende e sogghigna mentre imprigiona da secoli la città e mai la lascerà, Aureo Constrictor, la spira nel guanto delli fini e comodi pellami, interno cachemire. Dopo di esso, in questa terra opulenta, dei commerci e dei banchieri, è venuta, inevitabilmante la sazia reazione, e dove prospera l’impresa del mantenimento raramente si genera uno spazio per quelle del sommovimento.
Per parte nostra, nel 2009, qui portammo una policroma compagine intelligente, la prima fu Gabls.
E ora, nessun epitaffio, vediamo invece come va la cosa nuova, che è Museo Novecento.
i tedeschi li aveva già bell’e inquadrati nietzsche e lo sappiamo. anche in questo caso e non è l’unico diciamo: meglio i poeti certi di certi pittori alemanni disidratati a cui balla la dentiera. li primi sanno tenere la pesantezza. in realtà conosciamo quelli tra loro che han scritto “alcuni buoni libri” dai quali lo spirito (non lo spirito tedesco: lo Spirito) si eleva e per sempre (non bismarck! ma nietzsche non è tutto e la sua aggressione lì era sacrosanta – ma il martello eccede alle volte nel giudizio, come quando, senza capirlo, nei risibili testi della fine e superficiali e macellati, attacca una religiosità tutta, perdendo l’acume del suo scalpello necessario, e usandone un’altra, di religione, per piegarla a volgare strumento d’offesa, così tradendole entrambe, e sarebberoro il cristianesimo e il buddhismo – lontani, lontani, i tempi di Die Geburt der Tragödie aus dem Geiste der Musik), e bastasse per dire dei poeti e solo in questo istante, bastasse il Malte anche se non basta, ma quella sì che lo è, una pietra bagnata, quella che occorre levar di tasca sovente e adesso, mentre altri irrinunciabili eran venuti primi ed è evidente e alcuni dei migliori vennero dopo rücken, ma lo tenevano ben presente in sé, eccome se lo tenevano, quel riferimento della scossa, ma qui noi non parliamo dei padri nostri e di tutti ma dei loro, e non occorre esibire la lista: basta però e bisogna avercela, la lista giusta, altrimenti sono ancora salve di padrenostri, ovvero n’altro rosario di sassi leggeri, pietre di carta, citazioni rafferme, echi tristi di un cercare sepolto, e così via.
i secondi (quei pittori sopraffatti dalle gravità) sono i carnefici dell’estetica, e, come in questo caso, non può bastare la rassegna delle matrici intellettuali e letterarie (rosario abbiamo detto: contrizione?) se l’applicazione è pedante (l’arte solo di rado E CONSAPEVOLMENTE coincide con il fondo irriflesso della pietra nera che non ne è affatto il cuore, e che di norma è staticamente repellente: un cancro immobile privo d’increspo), e quindi non risulta sufficiente (ma opportunista) nemmeno germanie lacerteux, per vangare l’eleganze apocrife del kitch, per avere il quale pagano soltanto i turisti boccaloni dell’arte cantata nella voce tardiva, e poi quando un barabba è fritto è fritto, e kiefer lo è da un lustro quasi due, esisteva ancora di quel forestale nel 2012 il pesante paesaggio panneggio, vivo nell’equilibrio tensionale, tragico e poetico, come abbiamo detto qui, allora vedendolo a londra, e potevi ancora trovarvi sentimento e misura e servono entrambi.
ma ora appunto kiefer non c’è più, e chi ancora lo cerca o dice di trovarlo è in ritardo, ovvero si palesa acritico, insomma cieco e calcaterra.
dicevamo dei goncourt perché è ancora evidente come certo brutto risulti di fatto incluso nel bello e da sempre, a meno che tu non sia maldestro o frettoloso nell’intendimento, anche prima del naturalismo quindi, e solo un fesso sensista di superficie vuole inchiodare platone, perché bello e vero e buono è giusto, per chi davvero cerchi il bello, il bello che è una macchina, altro non è il bello che la ricerca della qualità sintetica, punto, e quindi esso corrisponde all’intelligenza, in sostanza, l’intelligenza che è una sensibilità completa, quando ci arriva, e mica solo un acuto del pensiero, piuttosto una densità di fondazione, potremmo dire, che tiene sia la regola che la sua frattura nell’intuito, che scalza e rincalza, non una delle due azioni: entrambe.
a ‘sto punto, per chiarire come possa risultare pretestuosa e banale ‘sta ennesima filza di nomi ch’è sempre la stessa e mai nulla aggiunge all’elenco (palilolia), che si manifesta in una mera lista sperata e stinta di avi, ed è poi da vedersi se tali padri reputati riconoscerebbero mai come un omaggio questa grama anelanza filiale, e io credo invece che alcuni di loro potrebbero nemmen disprezzarla ma irridere o sorriderla, potremmo portare dunque a qusto punto un altro esempio, e dire invece dei preraffaelliti che a forlì san parlarci, coi maestri primavenuti.
Da Forlì siamo andati a Firenze per la Statale 67 Tosco-romagnola, 109 chilometri a stringere e salire sinuoso l’Appennino, traversando il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, e trovando il freddo (5 gradi al Passo del Muraglione) e sei auto contrate in tutto il viaggio, e nessuna persona (nemmeno un assassino; nemmeno un cinghiale) non una ma l’uggia profonda dei boschi antichi immersi nella nebbia silenzio nell’aria gravida d’umido battente, e questo è stato un buon modo per giungere all’Arno, i verdi eran cupi e pesanti lì in alto, poi di nuovo quell’intensità crepitante dei verdi accesi distesi, e il caldo eccessivo dopo un gran vento (24 gradi in città).
A Forlì ci siamo cavati gli occhi. Un tipo esperto, storico dell’arte, un poco arrotatino e noioso, farsi sentire non gli dispiaceva e lo si sentiva, era lì per recensire, e, davanti alle Esequie di San Girolamo di Filippo Lippi – la pala viene dal Museo dell’Opera del Duomo di Prato – diceva (ne vedi quassotto l’insegna del Monte: Dei Paschi): “è illuminata male, ma questo non si può dire”. Minchione, lo si deve dire invece: San Domenico è un posto serio, dove in passato abbiamo visto mostre serie: ma non tiene la luce ‘sto sepolcro. Ah, mica tutti possono avere il Moma (NY) in casa. Ebbene: dovrebbero. Se vuoi le opere, devi avere la luce naturale. Puoi anche fare le mostre in cripta, in grotta. Ma non è quel che va fatto. O si intende forse, in questa scelta buia, riferirsi alla vista in quanto indipendente dalla percezione? Ma quel cieco lì di Diderot mica doveva lumare il cielo. Lettre sur les aveugles à l’usage de ceux qui voient, 1789. Detto questo, la mostra a San Domenico è ampia e ricca, anche il catalogo è buono.
E dunque, cosa cerchiamo, cosa troviamo nei quadri dei Preraffaelliti, forse il fatto che vi campeggiano, trattati con dovizia, i temi arturiani?
Da sempre ricusiamo il principio d’esornazione, ed anche, in genere, la narrazione nell’opera, eppure. C’è una faccenda legata alla formazione intellettuale e letteraria degli uomini, di quegli uomini che han deciso di darsela, come abbiamo fatto noi, prima di fare le altre cose nella vita, compresa l’arte, che talvolta è lo specismo acrobatico, timoroso, di un ambizioso gregario. Prima dunque è venuto il concetto, ed i suoi ordini (assumere, criticamente, selezionando, ferocemente, ovvero, scientemente, che vuol dire: sensibilmente). Questa faccenda non è una tenzone col mondo, è invece alimentazione, ovvero coltivazione della fame, che è inestinguibile, per chi non giaccia animale in superficie al punto da volersi saziare, soddisfare, premiare, e così via. Questa faccenda del chiarire i metodi dell’approvigionamento, psichico, mentale, e di costruire la macchina, per i non esanimi, cognitiva, razionale, intuitiva, questa faccenda di Formazione è la vita attiva nelle lettere e nelle arti, o la loro premessa fondativa (ma coessente) contro i reflussi e la cultura da pic-nic, e quindi non è una Giostra, te lo do io il lancillottismo rotariano, e infatti prevede l’isolamento prolungato, e noi ce lo siamo dato, questo tempo, il tempo di generarci, ci siamo presi, con le cattive dal consorzio farneticante, la generazione-gestazione che è l’autocostruzione intellettuale, dell’edificazione della quale ognuno è responsabile, per sè stesso (e poi anche per altri, se si decide, ad un certo punto, di utilizzare l’armamentario a favore di una “cosa pubblica”. E qua lo facciamo).
Nessun riferimento è superfluo, superato, fermo dal passato, qualora esso venga ben colto ed a fondo e sussunto, e ciò avviene nelle temperie [forzando un pò engelisticamente potremmo dire: un portato del tempo? Ma no, non lo diciamo di certo, e però certi tempi di azione e reazione sono pieni, fertili, espliciti, esplosi (ma han preteso l'approvigionamento, il migliore approvigionamento possibile); in quel caso, nemmeno i grandi solitari sembreno più inattuali, ma insomma], perché senza studio accurato non vi è la possibilità di radice e attecchimento e rinnovazione e tettonica trasformativa e proiezione alcuni, né di cultura tagliacarne (in alternativa: ci sono le sue forme inerti, a tagliacarte), ma solo supponenza ignurante, lo sappiamo benissimo noi, che su questo potremmo perfino venire fraintesi forse, da certuni, noi che ogni giorno vogliamo riscuotere passato e proiettarlo avanti, e invece, per l’appunto, noi diciamo e possiamo far questo (in DC), perché il passato, come la cultura e i pensieri, l’abbiamo studiati a fondo e introiettati e masticati e riplasmati in un nuovo bolo elettrico agente, reagente, rianimante, ancora Herbert West. In tal modo, senza ombra di approssimatività, che mai va ripetuto stolidamente, questo captato metabolizzato, come un Tirra Lirra, mai (The Lady of Shalott).
E invece molti lo fanno, e costoro di cultura non dovrebbero mica occuparsi, c’è un errore, hanno frainteso, se ne baloccano, non c’è alcun balocco: pertinenza culturale invece, già dallo slancio, dato ch c’è chi legge Maraini e non conosce Miller (H.), certe abituali vergogne confuse, metti via il libro, quello non è un libro, disgraziato, e occupati d’altro. Un tempo, quando si dovevano assumere le basi della ricerca, non si era teneri con le opulenze a traforo, perchè Malevich riordiva gli Spazi, e quindi non v’era alcuno spiraglio per un arazzo, e nemmeno per l’artiere. Si mantecava secco, in purezza concettuale, si introiettavano i cardini, non le boiseries, nemmeno le migliori. Di Wilde, per dire, mai ci è mai interessato il giuoco dandystico, il teatro, per dirla un pò schematica, che ognuno ha i suoi tic, e la moda ad esempio preferivamo trattarla con Simmel. Di Wilde ci interessava il cianuro critico, l’intuizione estetica, la sferza, la qualità ed il giro logico screziante del ragionamento, ovvero la qualità della prosa, che è l’unica cosa che conta, se uno è un narratore, e però nel caso suo anche alcuni strali antiretorici del saggista risultano necessari, e lo stile della sferza era tutto in quanto sferza, non in quanto stile, perchè la qualità dello scrittore non è il suo stile, ma il suo sangue, l’ordinata invenzione del logos, ed in ciò si ha da esser sanguinari, sappi dunque cosa leggere che questo viene prima del guardare, ma quando hai letto puoi perfino guardare perfino, ed eccoci dunque sui Preraffaelliti, che allora non avremmo potuto, nè dovuto mai, guardare, come nessun edonismo, nemmeno di temperie, non lo devi fare, quando sei intento a delinerare i sistemi entro cui impostare l’azione, radente.
Ci interessa dunque, rispetto al multiplo cronico e-stinto del riferirsi al riferimento (i maetri) di Kiefer, il metodo invece dei preraffaelliti di San Domenico.
Prendi The Seeds and Fruits of English Poetry, 1845-53, Oxford, The Ashmolean Museum, di Ford Madox Brown. Questo convenzionale (D. G. Rossetti) paesaggismo naturalistico araldico medievalista del trittico chauceriano porta John Milton, Edmund Spenser e Skakespeare (a sinistra). Lord Byron, Alexander Pope e Robert Burns (in galera, al buio, Milton perse la vista), come li seppero portare questi dicannovenni imbibiti che aprono il Rinascimento Moderno, traverso l’umanesimo, per ricavarne qualcosa di diverso da sagome e cartoni opportunisti (ancora Kiefer), perchè i maestri erano attivamente ed attentamente sussunti, lì, compreso Raffaello, vedi un pò Blake.
Un germe contro una maschera mortuaria. thoughts towards nature in art and literature.
Citare a memoria non equivale a porsi in collegamento simpatico (condividere, consentire, sprofondare, riemergere, annegare, riflettare l’annegamento).
Non pensiamo alla spontaneità all’immediatezza alla naturalezza, mai, neanche qui. Stiamo solamente sottolineando una buona applicazione dei fondamenti imprescindibili, che non puoi mettere in cantilena.
come anche per l’arenaria compatta della falesetta di maiano, che ci s’è sfarinata in mano, d’altro canto. serve sempre un canone a scalare: la qualità della croda.
Insomma, occorre saper citare canoni e maestri, senza stracciarli via dalla temperie, e sempre per procurarne un’altra, anche solitaria, ma guai all’artista che non si vede e persiste nell’esser pustumo, anche il documentario di Herzog, persino quello giunge in ritardo dunque, perchè ciò che di male copre ciò che è di bene ne elide una parte, se l’edificio non è saldo, se non è un battistero.
se vuoi guardar qualcosa quindi, guardalo sempre, il prisma cristallino con i corsi del candido lunigiano alternati al verde di prato, accanto a quella storia di mosè stiacciata sulla formella quadrata e finalmente la lastra pannello d’oro paradiso, che su quella che ancora rapisce l’eliogabalo cadendolo abbiamo già smugugnato i nostri rilievi, accanto a ghiberti e giotto e brunelleschi, e infatti l’abbiamo messo in apertura, questo eterno romanico sub specie Florentiae, con il corinzio trabeato e decorato, un perfetto ordine e rigoroso, ma non statico, e insomma, ci vuole una forza ferma per potersi dire policromi, mira arte fabricatum, metti giudizio.
dai, attaccami
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Ma ora, quando vorremmo dire di alcune altre opere-urna che portano addentellati plastici, ci fermiamo, torniamo più tardi, tuona e piove, andiamo nel bosco.
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Foto: Teresa De Toni non è Elisabeth Siddal