27 luglio – le fogge delle rocce – casso

le fogge delle rocce
una collettiva di dolomiti contemporanee

nuovo spazio di casso al vajont
27 luglio / 31 dicembre 2024
opening: sabato 27 luglio, ore 17.00

performance inaugurale: Applicazioni ortofoniche per calcari di Fukte+Nodolby
+ zot lukta improvvisazione libera (clarinetto alto)
sabato 27 luglio, ore 18.30

Qui le foto dell’opening
Qui il video dell’opening

Artisti: Nancy Allen, Sara Antonellis, Ilze Aulmane, Emmanuel Awuni, Josephine Baker, Lorenzo Barbasetti Di Prun, Mattia Barbieri, Fungai Benhura, Alberto Bettinetti, Gino Blanc, Max Boyla, Stefano Caimi, Simone Cametti, Iside Calcagnile, Federica Clerici, Stefano Comensoli_Nicolò Colciago, Kristene Daukšte, Nanni De Biasi, Roberto De Pol, Cristiano Di Martino, Bruno Fantelli, Pierpaolo Febbo, Cristiano Focacci Menchini, Gusty Ferro, Adam Fung, Enej Gala, Silvia Giordani, Massimiliano Gottardi, Andrea Grotto, Suleman Khilji, Minji Kim, Evelyn Leveghi, Silvia Listorti, Harry Jones London, Marco Mastropieri, Stefania Mazzola, Monica Mazzone, Philipp Messner, Alessandro Pagani, Sebastiano Pallavisini, Valeria Pin, Nelly Radak, Giacomo Segantin, Caterina Erica Shanta, Alan Silvestri, Norberto Spina, Kristian Sturi, Fabio Tallo, Fabiano Vicentini, Moe Yoshida, Nežka Zamar, Federica Zanlucchi.

Collaborazione scientifica sugli aspetti geologici e interazione ultradisciplinare: Emiliano Oddone – Dolomiti Project

Partners: DB Group, Caffè Bristot, Artecos, Speck Unterberger, Ditta Fregona Renzo, Panificio Marcon, Vini Biasiotto, Birra Dolomititutta la rete DC.

Il Museo della Pietra e degli Scalpellini di Castellavazzo è partner di Dolomiti Contemporanee in le fogge delle rocce, e fornisce punte e subbie a supporto della performance Applicazioni ortofoniche per calcari di Fukte+Nodolby.

La mostra è parte del programma dei Dolomiti Days 2024, iniziativa promossa dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, che si realizza in collaborazione con la Fondazione Dolomiti Unesco, la Magnifica Comunità di Montagna Dolomiti friulane Cavallo e Cansiglio, insieme al Comune di Erto e Casso.

Orari di mostra:

agosto: aperto dal martedì alla domenica, 
in orario 10:00/12:30 e 14:00/18:30
settembre: aperto dal mercoledì alla domenica, 
in orario 10:00/12:30 e 14:00/18:30
da ottobre a dicembre: aperto nei finsettimana quando segnalato, e su appuntamento

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Concetto

Tra i temi principali che informano la stagione 2024 di Dolomiti Contemporanee, c’è la Geologia, quale lente e piccone a scavare ancora le specificità del territorio e della montagna.

Utilizziamo dunque la geologia, innanzitutto, come scienza, per far conoscenza.
Ma anche per entrare nell’estetica della plasmazione e della riplasmazione dell’ambiente, che concepiamo come mobile e non come fossile, raccogliendone taluni riverberi echeggianti, e facendo affiorare in tal modo una serie ambienti binati, combinati, spazi correlati nella sinapsi poietico-culturale, quella pasta che ricopre il complesso mente-materia, in modo che le due parti non risultino tetramente scisse, ma collaboranti.

Ecco dunque gli ambienti linguistici aumentati, gli ambienti del paesaggio critico affermato, la parola espansa, a percolare fuori dal proprio ambito minimo di senso, per afferrare ulteriori possibili connessioni espansive, per suggerirle: i rimandi.
Insomma qui la geologia, con tutta la precisione ispirante ed evocativa del proprio ricchissimo linguaggio specifico, abitualmente utilizzato nel contesto di riferimento per definire gli oggetti della ricerca scientifica in modo puntuale, viene proposta quindi, e utilizzata, in modo versatile, con ciò inducendo la lingua scientifica ad esaltare, espandere, piegare, allargare, il contenuto di senso di alcune espressioni e testi, per riapplicarlo, come un mantello ribollente, al contesto stesso, che è l’ambiente, ovvero il paesaggio, in tal modo illuminandolo con una luce e una prospettiva diversa, incrementali, e questo è un ottimo modo per non osservarlo sempre eguale a sè stesso, quel contesto, concedendogli letture ulteriori, che catalizzano altri fattori della ricerca.


sol lewitt



Il paesaggio, dicevamo, che è un sistema delle permutazioni, una perturbazione, mica un’illustrazione: e questo vale anche per la lingua, e per i linguaggi, quando sono vivi. 


Disciplina scientifica, specificità del sapere? Certo, altrimenti saremmo dei superficiali.
Ma ancora: Campo degli Uncini, e delle corrispondenze, per aggrappare realtà, e reimmaginarla.
Dato che, senza le funzioni creative, quelle conoscitive diventano compilative, e crollano esangui.
Ecco dunque, e lo vedrete, che gli Ambienti di Formazione, attraverso le rimodulazioni semantiche, possono condurre al Metamorfismo Culturale, che è quel che ci interessa, come ogni sommovimento della Crosta Stanca, come ogni trasformazione della terra e della lingua piatta, e così via.

diciamo che in questa peculiare configurazione dell’esplorazione dello spazio e della ricerca produttiva che cerchiamo, le reazioni si avviano a partire da un composto eterogeneo, che include sia la materia indagata che lo strumento indagatore, ovvero l’uomo, misuratore e sperimentatore.
oggetto e soggetto della ricerca si fondono, è così che si creano le forme nuove.

la dolomia, ad esempio, in questo nostro composto critico di base, è aumentata di un altro fattore di sedimentazione, che possiede natura intellettuale, ovvero capacità di scavo. la successione stratigrafica non si limita per noi alle rocce carbonatiche del pre-Paleozoico, ma procede fin qui, affidando alla caldera psichica la codificazione di altre funzioni reagenti, per ricavare nuova energia di attivazione e facoltà integrate d’architettura trasformativa, periodizzate nel presente, come in una sorta di neolitico culturale contemporaneo, che consiste in una reazione anticontemplativa, che dice questo: la natura, come la ricerca, organiche per costituzione, fanno il salto.


Sol LeWitt

dolomia, calcare, calciti, assoni e una precipitazione chimica di liquido cefalorachidiano poi servito tepido sulla portata dura di cristallo, una salsa metasomatica iniettata (dolomitizzazione critico-calcarea; non è precoce) a guarnizione.
insomma, l’uomo è l’integratore, psicometabolico, di calcio e magnesio.
lui stesso realizza salamoie interstiziali, utilizzando a tal fine le concentrazioni anomale, e innescando meccanismi di risalita, per capillarità, delle acque subaracnoidee, e nuove strutturazioni plastiche.

ancora, parafrasando il bardo, dato che non cerchiamo protocolli ma le fratture insinuanti, e quindi amiamo tempesta: we are made of the same substance (of dreams); siamo fatti della stessa sostanza (di calcio, di magnesio, di sogno), tuoni e nuvole fanno parte del processo.
e però, la sostanza cambia, quindi non è mai la stessa, e ciò che conta è il reagente.
ah, poi sempre, per compiere una buona ricerca, e ancor più per immaginare altre ricombinazioni e ricristallizzazioni diagenetiche estetiche, ci occorre un assistente.

qualcosa volendo afferrare, occorre una postura dell’essere: stare dritti, spalancare i dotti, registrare le piste, convogliare le tracce.
capire montagna: si passa anche attraverso lo studio del ciclo petrogenetico: la formazione delle rocce, ricombinare quindi i minerali nativi, irrorandoli.

altre domande, senza le quali non esistono risposte.
cos’è una roccia, cos’è montagna?
i diversi metodi dello scavo, gli approcci compatibili all’indagine del sottosuolo.
quali sono i caratteri fisici, e intellettuali, che caratterizzano gli strati sedimentari?
quando una roccia è fatta?
cosa e come stratifica l’uomo?
si tende in tal modo, favorendo le connessioni e le interazioni, nella descizione come nella produzione, all’eteropia di facies, alimentando e mescolando ambienti sedimentari diversi, ecco la formazione della nuove faglie, e pieghe.


Albrecht Dürer, Malancholia 1, incisione a bulino, 1514, Staatliche Kunsthalle, Karlsruhe.

Gli artisti dunque, al lavoro, all’opera, accanto ai geologi appercettivi, che attraversano i territori come rabdomanti scientifici, continuamente colpiti, bombardati, dalla straordinaria ricchezza delle crode e delle loro definizioni, queste crode che sono concentrazioni fisiche di processi ancestrali, macchine del tempo, ed anche sculture fantastiche, colle loro durezze policrome, che sono il contrario di una grigia mollezza, queste arche evocative, arche perché se le apri e le carichi si spalancano e si mostran gravide nel loro recare il senso delle cose, e così via.

poi l’uomo mentre, nella caverna delle risonanze ortogonali, rettifica il massiccio, ne riforma la scala, come viollet-le-duc sul bianco, applicandovi le proprie (a sè recate) proiezioni canonizzanti, ovvero una misura, ed in ciò egli dell’oggetto-montagna fa uno specchio, ecco il cubo conglomerato (il cubo è per noi in questo momento la manifestazione di una formazione), la cui geometria spezzata ricapitola un volto, le dodici facce del ’34 per giacometti, niente affatto astratti però, dobbiamo dire in realtà, questi suoi cristalli di paragone di huberman, ma le facce drizzate proiettate del muso di roccia, e questo non è forse l’uomo che preme nel gran cono d’ombra dell’idea prima, che è una parete nord, con una pressa schuler? ecco che questa stagliatura del boulder, che sempre centra lo spazio come navatta astronave, lo trovi fin dalla melancholia di karsruhe Dürer 1564 (cantiere panowskyano) e sempre anche da prima insieme alle sue brecce, le brecce delle rocce, ed al suo motivo lineare scatenato, che in sol lewitt in 122 casi non vuol completarsi oppur sì, a stampo, e così via.

ah: da uno studio selvaggio commissionato da Sua Altezza Cranio di Rupe d’Isola ai Disegnatori dell’Incùbo già stretti in cella, studio condotto nella giungla delle circonvoluzioni a tubo, studio delle traslazioni aggioganti ammissibili (uomo aratro compasso), tra cui le rotazioni a vite (si trasla il senso usando un linguaggio come una liana metallica), apprendiamo che alcune categorie applicate dell’ordine trasformativo fisico e organico di base, presentano analogie di sistema che vengono balzachianamente approfondite, in un formalismo teleologico o zampillo, analogie con la lettura evolutiva del complesso mente-mondo, che è un boulder masticante, e quindi alle trasformazioni fisiche, chimiche e nucleari, della materia, viene corrisposta le triade delle trasformazioni psichiche (ambiente di formazione cognitivo, ontologico), intellettuali (ulteriore formazione attraverso il successivo corrugamento encefalico, ontologico), ed estetiche (manitestazioni e plastiche echeggianti; gnoseologico).

Veronica De Giovanelli, Litogènesi, frottage di rocce di Casso, grafite su carta minerale Repap, 102 x 72 cm, 2015.



tornando ai tipi compatibili con le ricerche di tipo intubatorio: Emiliano Oddone è un geologo cosiffatto, ed infatti eccolo qui con noi, a seminare.

Il geologo cercatore è un altro tipo del cacciatore-raccoglitore, e, sempre, un conoscitore implicato, persino innamorato ma attivo (ovvero non avvinto; non affascinato sino allo smarrimento di sè stesso: il sentimento del sublime, ad esempio, deve venire canalizzato, a meno di non voler giacere in contemplazione dell’habitat – così sottraendosi alla partecipazione, ovvero alla co-generazione, dello stesso habitat).
Questo uomo-geologo che insieme ama e misura, mentre fronteggia empatico gli orizzonti sbeccati delle ere e li martella, ci ricorda anch’egli, naturalmente, nel suo slancio, il Wanderer über dem Nebelmeer, il cui petto cerebrale sempre si gonfia a Casso, quando, dal ponte in copertura dello Spazio, si fronteggiano il Toc e il Vajont, questo ponte che ancora ci mena al wanderer, che in quel caso inquadrava i picchi del massiccio boemo dell’Elbsandsteingebirge, e avanti.

al quale geologo la conoscenza del dato mai inibisce la fruizione conoscitiva dell’oggetto intiero, che per lui è sorprendente sempre, questo concentrato delle ere, testimone dell’essere e del suo trasformarsi, questo duro incanto fertile della pietra parlante, come nucleo atomico che irradia, e che spesso assume forme estetiche stupefacenti, ecco perché ora, senza affatto farci vagolatori esteriori, parliamo di Estetica geologica, e di Tettonica Critica.


La morfologia carsica di un cranio di Alessandro Pagani. Cranium, olio su tela, 50×70 cm, 2011.

Che da sempre poi, gli artisti e i filosofi, queste antenne (Goethe), sono onnivori intelligenti, e si nutrono della Natura e delle sue trasformazioni, e l’ingegno trova un canale ampio nelle Scienze della Terra, una mostruosa e/o celeste potenzialità di creatività dispiegata, che da sempre (dai presocratici) nutre la riflessione sulle realtà prime (della natura) e sulle loro cause, nella physis, nelle Filosofie della Natura, e così via, e nel giudizio estetico; e chi mai in effetti, chi mai tra quelli seri, ha mai potuto opporre dicotomicamente Natura a Scienza, percezione estetica e nomos (con le relative relatività), isolandole negli angoli opposti della ricerca e della creatività  e dell’ingegno umani? qui insomma alcune vaghezze percepite possono farsi finalmente, grazie all’oggetto sperimentato denso, chiare e distinte, in ordine ad alcuni dei propri materiali ed atomi costitutivi, ed è ancora da qui che la conoscenza sensibile può aprire le vie all’intuizione estetica, e all’estetica trascendentale.
la ricerca poi, volendola aprire tutta, non conduce al bello, o a normare altre specifiche categorie necessarie, ma alla ricerca stessa. la ricerca (il processo) è tutto. la vetta non è l’apice, ma uno strumento del processo, ovvero della progressione. la lumimosità e lo splendore delle nicchie fisiche del reale? un fiume poetico di persuasione (Pindaro), di cui indagare la proporzione, per non subirla.
oppure: la poesia e la scienza, l’immaginazione e il raziocinio, l’invenzione e la legge, devono a loro volta unirsi: ed è proprio, e precisamente, tra di loro, che van favoriti, che possono compiersi, gli unici matrimoni legali non debilitanti (Bacone), che se non si cercassero tra loro i diversi non avremmo psiche, nè relazione, nè anima, nè precisone, nè amore.

Una cava con un innesto: è un ambiente di neo-formazione. Fabrizio Prevedello, Longarone, 4° innesto in cava, 2011, courtesy Cardelli e Fontana artecontemporanea, foto A. Montresor.



Solo i tipi sciagurati superficiali fan così, ovvero non rimescolano, assennatamente, gli elementi, compenetrandoli, ricaricandoli, riformulandoli; fan così quelli tirchi nel rilasciare come nel cogliere. Mentre le due cose vanno da sempre insieme; Natura è l’opera prima, la seconda (Letteratura, Scienza), il suo studio; la prima ispira, coi suoi misteri, sondabili, scalabili; la seconda è essenziale, dato che siamo gravati dall’encefalo (ma non sempre è lui a possedere noi, predandoci: ordinare lo strumento; téchne ed epistéme), e possediamo la capacità d’attenzione, e taluni possiedono persino l’impulso intellettuale alla comprensione e alla costruzione, che sarebbe a dire l’impulso alla sedimentazione e all’architettura, in un senso organico e generale e produttivo, ovvero l’impulso alla comprensione e organizzazione dei sistemi, quindi l’architettura come schema aperto del cervello e dei suoi alloggiamenti, che sono terrazzamenti a cascata e non compartimenti a paratia, terrazzi pensili del paesaggio sono, lussurreggianti; ne immagini i cascami fertili che spiovono da capo a suolo, conferendo i nutrimenti liquidi alle radici, e così via. 

Da cui, gli ordini e i canoni, le regole e le espressioni precise, la sapienza intesa quale inesauribile spinta della ricerca che è un rigoglio: e non sarebbe questa forse una delle principali tra le migliori inclinazioni dell’uomo, dell’uomo non ignavo?
Perchè l’unica cosa che conta nell’uomo che cerca è la miccia che esso sa far scaturire quando muove l’animale nella mente, luce della mente, luce dello spirito: ecco, cozza due pietre l’una sull’altra, forse ne scaturirà scintilla.

Naturalmente, dacchè DC esiste, gli artisti han sempre captato montagna, utilizzato la roccia, raccolto pietre, scavato massi, scalato e calcato e segnato e frottato pareti, pestato ghiaie, stampato cime, mutato montagna, raccolto frana, innestato gemme, e così via, questo è naturale, almeno quanto è artificiale, un’azione trasformativa, alle volte alchemica, rinnovatrice.
Quante volte l’artista ha riesplorato le vie di salita o le cave sprofondate, installandovi i propri costrutti litici elaborati, o rampicherecci.
Mille volte le crode son state prese, carotate, liberate e riformate, basta scorrere gli archivi, son zeppi di boulder e di tracciati disegnati.

Da anni coltiviamo un campo, di queste immagini colte, della montagna presa e rappresentata: l’abbiamo chiamato le fogge delle rocce, ed ora lo portiamo avanti, ne cambiamo la posizione, rimescoliamo, focalizziamo, produciamo nuove forme, senza timore di alterare la stratigrafia del crogiuolo.

Delle Fogge delle rocce. Pietro del Donzello (?), 1487, La partenza degli Argonauti (architetture del vello).

questo campo esplorativo delle potenzialità delle pietre e delle scorze (Alberti, de re aedificatoria, 1452), le fogge delle rocce nella storia dell’arte – uno studio comparativo andando per musei, che ripropone e amplifica esclusivamente i DETTAGLI, spesso in cornice fondale, di pietre e montagne, dettagli esaltati e portati a macro, estratti-isolati, il prim’abbozzo di un progetto di estetica iconografica geologica montana, rassegna di pittogeologia alpina, abaco delle crode oleate, etc.


In questo campo, che ora allarghiamo, coltiviamo le vene, come han fatto già prima in molti, ecco ad esempio le bioturbazioni di Mantegna, son le strutture biogeniche della pietra dell’unzione, ed anche in quel caso un animale cunicolante (simile al Bostrico? Simile all’uomo? Allo s-minatore?), metabolizza il sedimento ichofossile, nel Cristo Morto e nella vergine delle Rocce, morfologie edibili, masticazione dei grani pestati, e così via.

Un’altra volta abbiamo detto, allora riferendoci al peso della parola e quindi alle sue gravità (Khunrath, Amphitheatrum sapientiae aeternae):
ma per noi che non siamo psicopompi (né speleologi, in senso stretto), dove si vuol portare le ragioni e le cose è all’alto, che è opposto naturalmente al basso, per chi intenda scalare.
verum, sine mendacio certum et verissimum, apre la tabula smaragdina, ma il mondo è qui ed ora, non soprasotto e sempre, e il nostro crampo è quello di ridiscuterne alcune regole e alcune parti, insufficienti, sballate, pigre: hinc erunt adaptationes mirabiles, quarum modus HIC est.
e però, come ben seppe e fece nell’illustre immagine sua della tavola khunrath, ermete è dio della PAROLA, e thot per sapienza, oh la parola, scrittura, letteratura. 
e quindi, l’immagine dominante di una montagna-di-parola, è l’immagine di una montagna pensata e detta e in tal modo generata dall’uomo, e non da sé stessa (che la geologia non sa guardarsi; che un fatto puro e di materia fatto non esiste, e se esiste è risibile: un fatto solido è d’una solida idea la forma -giacchè forma è struttura, sostanza) né dal solo dio (che non è solo mai, né sopra, ma dentro): una montagna di solido pensiero, il cui corso di lettere può scivolare giù, calare, franare anche, perchè l’idea ha prima condotte le parole (in stormo) alla cima, e ancor più dentro tutto, a fare l’intera forma massiccia. perchè la parola è l’atomo di pietra e cielo, la parola è il corpo dell’idea, unica realtà, armata, nella densità ferma, di cielo e di fuoco.
e poi, come scalare o leggere, parole e verbo? (solo il permaloso isterico teme il verbo) 
agostino commenta giovanni: ‘voi infatti non avreste la minima idea di tali cose, se le montagna non ve le avessero rivelate’…


Heinrich Khunrath, Amphitheatrum sapientiae aeternae, Tavola di smeraldo, 1606.

Il 15 aprile 2024, alla Scòla di Borca di Cadore, questa Casa della Cultura Ladina del Boite, Emiliamo Oddone, che è cofondatore di Dolomiti Project, ha tenuto una prima lezione, agli studenti di fotografia che con DC e Giorgio Barrera fanno Anatomia e Dinamica di un Territorio, e ad altri convenuti, artisti e curatori e così via, e la lezione, dal titolo Un approccio geomimetico alla realtà dolomitica, ha introdotto al alcuni aspetti della geologia e del paesaggio.
E questo è stato un primo passaggio d’innesco e compenetrazione (ma Oddone era già venuto con noi e con gli artisti nel Vajont nel 2015, insufflando in To’non Ignà, la mostra di quell’anno a Casso, e anche quest’anno viene una mostra a Casso, questa, a luglio, e la mostra è sulle catturazioni estetiche della geologia e ne stiamo dicendo), che ha consentito alle discipline di ingaggiarsi, perché i catturatori-raccoglitori vanno introdotti al Paesaggio e alla sua Fisica, ed anche alle potenzialità rielaborative della Fisica Fantastica, e così via.


oddone sta guidando alcuni artisti di le fogge delle rocce nella materia, e nelle sue pieghe elettriche.

In tutta codesta ed aggrappante costruzione, che hai appena fatto risuonare nelle tue camere cerebrali, qualcuno forse anche una qualche corda dell’anima in vibrazione, noi sì perlomeno, ammesso che fin qui tu sia riuscito ad arrivare, e di solito non ci arriva chi vuole mettere a dimora i boschi monospecifici (una purezza poco associativa è debilitante), perché questa qui è invece una foresta intersinaptica e una fusione percettiva-estetico-cultuale di slancio in rampa di foreste litificanti, che disturba i fisiatri delle corporalità del pensiero stagno che son sempre bige e cattivate, in tutta questa costruttività estroversa e agglomerante, non c’è nemmeno un’oncia di intellettualismo aereo, perché la radice è quella d’un medium spugnoso e dunque una polpa lievita e non una teoria, dove, possiamo dire, la terra tira giù il cielo mentre scaglia le sue zolle tumide negli spazi (calamita catapulta), e questo è il discorso di una pratica del tutto fattiva (pratica), che è il pensiero articolare, oppure, possiamo dire anche ed ancora con Lauss, l’opera, coadiuvata, sversante, linfatica, risponde, come ogni altra letteratura, interfacciando produzione ricezione e comunicazione, questi momenti di poiesis, aisthesis e katharsis, e tutte le parti concorrono all’instaurazione del testo che non è un regno ma un traforo stillante in pressione (setaccio atomico), mentre poi con Dufrenne tendiamo all’amplificazione dei nessi, la potenza cosiddetta del possibile sversante risorsa del complesso arte-natura, e la verità è una forma che nutriamo con le considerazioni pragmatiche e funzionali di Flaubert, perché ciò che conta (Bloom) è la componente eversiva della verità critica inscritta nella poesia, in cui l’ermeneutica interpreta il potenziale d’infinità della cosa e dei suoi rimandi capillari nelle forme, stagliate e interstiziali e diverse e conglomerabili in assonanza e vibranza (è lo stesso: lo spazio è la connessione), e il finito se lo rimesti risulta infinibile e così via. una pratica igienica, tra l’altro (mirella).

geologia estetica:

didi-huberman su giacometti
la passione di mantegna per la geologia
per kirkeby

link di zona:

museo della pietra e degli scalpellini di castellavazzo
museo paleontologico rinaldo zardini cortina d’ampezzo
museo vittorino cazzetta salva di cadore
muse trento, gelogia delle dolomiti
museo geologico delle dolomiti a predazzo



LE FOGGE delle ROCCE – La Geologia e l’Arte
Emiliano Oddone (geologo di Dolomiti Project) – controcanto a DC (9 luglio 2024)

Le pietre posseggono un non so che di solenne, di immutabile, e di estremo, di imperituro o di già perito. Sono seducenti per un’intima bellezza, infallibile, immediata, che non deve nulla a nessuno. Una bellezza necessariamente perfetta, che peraltro esclude l’idea della perfezione, proprio perché non ammette approssimazioni, né errori, né eccessi. In tal senso la bellezza spontanea delle pietre precede e supera il concetto stesso di bellezza. Ne offre al tempo stesso garanzia e sostegno. (Roger Caillois)

Calcare, varietà toscana detta Verde d’Arno Alta Valle dell’Arno (Firenze, Italia) blocco segato e levigato su un lato
15,1 x 5,9 cm Donazione Caillois, 1984-1985 MNH, INV. 188.94.



Rispetto alla foggia delle rocce si possono dire tante cose ma mantenendo il punto di vista geologico sul tema si deve scomporre il quadro almeno su due dimensioni. Una che esplora il tempo spingendosi in profondità non facilmente scalabili dalla mente e della percezione umana, l’altra che esplora il contemporaneo connettendosi con la struttura di un paesaggio, in Dolomiti unico al mondo, dato da un’incredibile eredità geologica.

Partendo dalla prima, la foggia è la maniera in cui una cosa è fatta. Una cosa fatta in un certo modo, sembra una questione definitiva, ma se vogliamo andare in profondità una roccia è fatta così perché così è stata fatta, rimestando materiali, alimentando processi biologici, dalla notte dei tempi, in molti contesti mai perenni. Si indaga dunque un processo lento di formazione, che è sempre trasformativo. Parlando di rocce non si riesce ad eludere l’enormità del tempo dove i processi formativi e trasformativi hanno agito lungamente in assenza dell’uomo. Ecco che la foggia di una roccia è più complessa della foggia di un bicchiere o di qualunque altro oggetto prodotto dall’uomo. L’uomo fa partendo da un pensiero, un progetto, una selezione di materiali, una tecnica applicata, un perfezionamento che escluda il più possibile l’errore, una memoria che diventa sapere, una rievocazione che diventa pratica e azione; in epoche moderne sembra non aver fatto se non ha anche firmato, brevettato e finanziarizzato. Le rocce sono invece fatte in assenza apparente di progetto, in un processo estroso di continua approssimazione ultimativa, mai ultimato in quanto ciclico e perenne, da ambienti condizionati da una chimica e una fisica apparentemente gratuite che diventano plurali nell’equilibrio dinamico, in assenza della ragione (almeno apparentemente), a definire un disegno leggibile solo a posteriori quando le cose son fatte ma ancora non fisse, non eterne.  Nel ragionare di foggia per le rocce si dovrebbe introdurre l’immagine di una forgia assoluta che contiene la genesi, non data esclusivamente dalle alte temperature. Più una fabbrica come intendevano i latini. Quindi un luogo pervaso da dinamiche che determinano una sorta di creazione, quasi un’utero da cui si nasce in simbiosi cristallina.
Se parliamo di rocce dolomitiche, carbonatiche e terrigene, vulcaniche e vulcanoclastiche, metamorfosate, scomposte e disgregate in depositi sciolti a volte cementati, si noti che tutto è pervaso da dinamiche e ambienti deposizionali. A tutti compare un mondo abiotico che contiene di fatto l’insieme delle rocce, ma molto spesso non ci sarebbero rocce se non si fossero infinite relazioni fra mondo abiotico e mondo biotico. Genera (forgia) la roccia dunque un’infinità di processi o di azioni produttive che rispettano equilibri diluiti nella profondità del tempo e che hanno certamente a che fare con la biologia, con la vita, col fare, più con l’acqua che con il fuoco, ma anche col fuoco, ma non solo. La chimica e la fisica degli ambienti si “fonde” in un complesso di materiali che diverranno rocce, intervengono gli organismi biologici a sostegno delle mineralizzazioni, la crosta del pianeta continua a rimescolarsi generando terremoti e attività vulcanica, rifondendo le rocce ormai presenti e trasformandole in altre rocce diverse, riemesse in superficie, affioranti per essere risucchiate dal ciclo, ancora delle rocce. Processi che stoccano o rilasciano carbonio, in favore agli equilibri atmosferici, in uno scambio continuo che nei milioni di anni ha regalato gli assetti dai quali dipende la vita. Se non ci fosse il ciclo delle rocce e la presenza di rocce carbonatiche e silicatiche, se non ci fosse stato il ciclo del carbonio, il nostro pianeta avrebbe oggi condizioni simili a quelle di Venere e la vita, se davvero fosse pensabile, non sarebbe nemmeno parente di quella che conosciamo. Possiamo dire che la nostra presenza, il “qui ed ora”, dipende da quella delle rocce carbonatiche come diciamo che le stesse rocce sono anche la base della scenica e dell’estetica del Paesaggio Dolomitico (ovunque e sempre).

Le qualità intime, la geometria specifica del minerale non sono in tal caso i centri di interesse. La loro perfetta integrità non è più l’unico e neppure il principale fattore d’eccellenza. La nuova bellezza dipende assai più dalle strane alterazioni della natura del corpo per l’influsso di depositi metallici o d’altro, oppure dalla forma assunta per effetto dell’erosione o di una felice rottura. Un disegno, o un profilo insolito appare. Il Sognatore si compiace di riconoscere in esso il calco imprevedibile, e dunque stupefacente, quasi scandaloso, di una realtà estranea. (Roger Caillois)

La seconda dimensione riporta alle rocce oltre alla fase della loro formazione, ma non fuori dal loro perenne ed antichissimo ciclo, riporta alle rocce deformate e modellate, vecchissime in fogge contemporanee, percorribili concettualmente e fisicamente. Trattasi di fogge e rocce di intere montagne o di porzioni da esse staccatesi a formare sassi di diversa dimensione, poggiati più o meno lontano dalle zone di origine. Arrivate ad essere cime divise da valli solo dopo essere state esumate dalle forze endogene che innalzano le catene montuose: ecco finalmente le Dolomiti. Si dice che affiorano, ma le fogge di questi fiori sono scavate, svuotate lungo precise direzioni. L’erosione guidata da diversi processi (Glaciali, Alluvionali, Gravitativi, Eolici, Chimici) segue nell’approfondimento le geometrie specifiche date dall’immagine delle fatiche che questa parte di rocce e, quindi, di crosta terrestre hanno subito nel tempo geologico, quando enormi porzioni di crosta hanno iniziato a comprimersi comprese fra le spinte e endogene derivate dal moto di Africa verso l’Europa. Questa mappa delle strutture di taglio (zone indebolite meccanicamente dalla presenza di faglie) condiziona gli andamenti delle valli e delle incisioni che vanno a definire elementi verticali, orizzontali ed obliqui che guidano alle geometrie monumentali delle Dolomiti. Questa specifica geometria o meglio, queste associazioni di geometrie, sono composte in una varietà di forme non riscontrabile in altri complessi montuosi. Il resto dell’eredità geologica completa le ragioni di certe forme. Si tratta ad esempio della contemporaneità delle deposizioni bacinali e carbonatiche, chiamata eteropia di facies, che condiziona l’alternanza di forme dolcemente modellate (rocce bacinali generate in ambienti di mare profondo) giustapposte, attraverso geometrie isocrone, alle verticalità improvvise (rocce carbonatiche costruite in ambienti di mare poco profondo); le pile di rocce quando stratificate in banchi sono spesso capaci di riportare ciclicità che ci parlano di equilibri astronomici antichi. Equilibri dati da moti che facevano respirare i mari. Le fluttuazioni del livello marino triassico sono oggi fossilizzate nel sistema di cenge orizzontali presenti dalla base alla cima dei giganti dolomitici; presenza di molte rocce, molto differenziate fra loro, che generano una grande geodiversità e che presentano, oltre gli effetti derivati da cangianti contrasti cromatici, diverse capacità di resistenza all’erosione lasciando esprimere in modo molto caratteristico il modellamento da parte degli agenti meteorici e gravitativi.



Ecco che escono fogge di rocce che influenzano la percezione umana non solo geologica, sono l’insieme delle rocce che da questa prospettiva diventano le montagne che oggi guardiamo, interpretiamo, agiamo, percorriamo, dove è possibile vivere e morire. La geologia qui diviene centrale, questa volta sull’impianto impressivo e psichico che deriva dall’osservazione al monte, dell’individuo o del gruppo. Cosa genera questa dimensione geologica che chiama ad essere geomimetici, presente anche se non manifesta ai più? Quali impressioni rilascia sull’essere umano? Cosa può apprendere qui un abitante o un visitatore temporaneo? Cosa può creare qui un artista? Cosa può esprimere qui un corpo? E un cervello? Non tutti i luoghi sono uguali e queste montagne, permettono associazioni monumentali (guglie, campanili, torri, bastioni…) in danza con la luce. Voglio credere che se connessi nel disordine delle cose, queste rocce de facto e potenzialmente saranno una forgia uterina per lo sviluppo del genere umano.
Fra queste montagne in particolare ci si deve venire Preparati. Solo così, attraverso un processo geomimetico, si ridurrà implicitamente il fenomeno dell’over tourism e gli effetti del turismo di massa superficiale, e si potrà godere collettivamente dei benefici che possono scaturire dal confronto con questa plurima e contemporanea architettura di rocce, fatta da plurimi ambienti del passato geologico, conservati e “fossilizzati” nel paesaggio attuale a darne una struttura unica, di dichiarata bellezza. Un balzo di creatività simbiotica deve derivarne per osmosi, a continuare a nutrire con responsabilità il potere estetico del paesaggio dolomitico.

Pietra di Makapansgat, diaspro bruno-rossastro, Johannesburg, University of the Witwatersrand, Fotografata da Pieter Hugo, Jean de Loisy © Adrien Thibault



Passare attraverso le Dolomiti metaforicamente diventa un passare soglie del sé dove non ci si voleva metter piede, dove il passaggio stesso concesso dall’eredità geologica permette prospettive di confronto che portano a vivere in maniera unica il limite fra natura e presenza umana, accompagnati dalla bellezza universale, fino ad indagare le propensioni contemporanee che fanno ruotare gli approcci alla gestione territoriale e che vedono espliciti sbilanci fra la visione e la tecnologia (studi, inserimento, soluzioni in progetto o in realizzazione) e il rispetto dei limiti e dei tempi in confronto a corpi geologici complessi e preziosi come sono le conseguenti e geologiche fogge delle Dolomiti… in pratica si auspica un profondo confronto relazionale con l’ambiente, fatto di equilibri che vanno rispettati e dunque conosciuti. L’arte per le Scienze della Terra in Dolomiti può essere un mezzo superlativo nel diffondere significati e quindi comprendere il messaggio che queste montagne e chi le guarda hanno per l’umanità.

In Val di Fassa, la dolomia si erge verticalmente in pareti lisce di un biancore abbagliante fino a diverse migliaia di metri di altezza. Forma montagne coniche e appuntite che si ergono in gran numero l’una accanto all’altra senza toccarsi. Il loro disegno fisionomico ricorda l’incantevole e fantastico paesaggio montano che Leonardo da Vinci utilizzò per decorare lo sfondo del suo dipinto della Gioconda.
(Alexander Von Humbolt)

La terza e non introdotta dimensione in realtà è la dimensione “0” in quanto permea il tutto anche se con significative differenze nel corso del tempo geologico. La dimensione “0” è condizionata dall’astronomia, o meglio da elementi che riguardano gli assetti fisici del nostro pianeta rispetto anche a quelli degli altri pianeti del sistema solare. Eccentricità della nostra orbita attorno al sole, Inclinazione (o obliquità) dell’asse terrestre, Orientamento dell’asse di rotazione terrestre (precessione), sono tutti elementi che riescono a condizionare profondamente meccanismi fisico/chimici della crosta terrestre e che riescono ad influenzare addirittura il clima sulla Terra (cicli glaciali e interglaciali). Ogni variazione climatica condiziona gli ambienti, facendo variare i rapporti fra produzione biologica e abiotica (o minerale), i tassi di sedimentazione, i tassi di produzione. Così vengono lasciate tracce dei trascorsi nelle successioni di sedimenti che oggi scaliamo litificati nelle rocce, fatte da banchi di strati che si inspessiscono o si affinano, o si susseguono geodiversificati e conseguenzialmente colorati, con logiche sequenziali e cicliche. I moti astronomici variano nel tempo con pulsazioni cicliche e funzionano come una enorme “meccanismo di sincronizzazione”, che muove terre e mari, che innesca cambiamenti climatici, facendo susseguire ambienti diversi che ospitano fenomeni e deposizioni di sedimenti diversi, che rispettano tassi di sedimentazione congruenti e riferibili alle curve rappresentative delle variazioni di eccentricità, inclinazione, orientamento… posizioni astronomiche che fanno respirare il mare (un respiro polisincrono, fatto di diverse frequenze e più respiri) e che in qualche modo si “fossilizzano” nelle rocce. Nella roccia si iscrive dunque anche la distribuzione e la variazione della radiazione solare che invade il nostro pianeta sfogando la variazione climatica sulla superficie. Maggiore è l’inclinazione maggiori sono le differenze stagionali (radiazione solare ricevuta alle diverse latitudini e durante le diverse stagioni). Un ciclo per l’inclinazione dura 41.000 anni. La precessione data dall’orientamento dell’asse, influenza invece il ritmo delle stagioni componendosi di componenti assiali (variazioni cicliche periodiche di 23.000 e 19.000 anni) ed orbitali (un ciclo 112.000 anni). Si verifica perché man mano che l’asse terrestre procede nella sua rotazione oscillatoria, cambia la posizione nello spazio da cui la Terra è più vicina al Sole (perielio) e più lontana dal Sole (afelio), perciò tempi e modalità delle stagioni cambiano sui diversi emisferi. Infine, i cambiamenti nella forma dell’orbita terrestre alterano la distanza tra la Terra e il Sole, influenzando la radiazione solare totale ricevuta. Una maggiore eccentricità dell’orbita porta dunque ad una maggiore variabilità della radiazione solare stagionale. Si individuano due cicli per le variazioni di eccentricità corrispondenti a 400.000 e 100.000 anni.



Gli strati di una sequenza di rocce si sono depositati lentamente, nell’ordine di millimetri o centimetri per millennio, e nelle Dolomiti sono costituiti per lo più dall’accumulo di gusci e resti di organismi marini che compongono il “plancton”. Il fattore principale che regola la produzione di plancton – e dunque anche del suo “cadavere”, il calcare – è il clima. Con il caldo il plancton si riproduce copiosamente, se fa freddo invece la sua produzione rallenta. Dunque le variazioni climatiche sono un fattore decisivo nell’interpretare e rendere espressiva una determinata serie geologica.”

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#DCGeologia #GeologiaDC #lefoggedellerocce

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