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le fogge delle rocce – prime prese
le fogge delle rocce nella storia dell’arte – studio comparativo per musei con l’iphone. esclusivamente i DETTAGLI, spesso -non sempre, spesso- in cornice fondale, di pietre e montagne, portati a macro, estratti-isolati (scavàti), prim’abbozzo di un progetto di estetica iconografica geologica montana, rassegna di pittogeologia alpina, abaco delle crode oleate, etc.
Pietro del Donzello (?), 1487, La partenza degli Argonauti. (architetture del vello).
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Bramantino, L’adorazione dei Magi, 1500, National Gallery.
e ancora nel ‘500 (quando mai oggi più), l’artista gli era l’architetto della natura pure sapiente (delle nature pure), da cui qua la capanna del bambin, rinata come palazzo di piero e sbrecciato, l’edifizio armato nelle rette geometrie, per aprire dal varco il paesaggio alla colonna-montagna, che le crode all’inizio dell’opera erano vere e proprie ancor più squadrate TORRI, che infatti torreggiano ancora assai, e, appunto dicevamo, questa particolare natura alpina architettata, completa d’archi e contrafforti e corpi in aggetto (e d’un demone) non sottende una perfetta cosmogonia razionale, ma è senz’altro un gratta-zielo, fatto della stessa materia delle cornici: e prima.
mentre dopo, ecco che si congiungono finalmente in ruina, azzerando il divario temporale, le due parti che furon costruite, ricomposte grazie ai crolli, rifuse in un’unica massa coeva, delle ere rampanti (diamine d’un angoletto quantistico, la reciprocità della radiazione rinascimentale).
le fattezze delle rocce.
altro scorcio angolo destro alto .
bartolomeo di giovanni, gli argonauti in colchide, 1487, sempre sul vello, che non ci interessa, come non ci interessa qui il quadro -mai in questo album del dettaglio di croda.
le figure dei picchi azzurrati, come certe figure grafiche di buzzati o quinte (più ardue) magrittiane, nel simbolo totemico in profilo, a destra cala un becco rotto camuso, prominente a spiovere la fronte strapiomba, e la cresta slanciata in quota al giallo dei cieli all’indietro.
poi quindi l’uomo in armatura o altra bestia (d’aria o anfibia) sotto alla coffa sinistra.
ma anche il sasso verdeslanciato in primo piano a destra, porta stagliato profilo antropo-moai, alla foggia rinascimentale fiorentina.
Agnolo Gaddi (1370/96), Il Sogno di Eraclio, Racconto della Leggenda della Croce, Santa Croce, Firenze.
Negli episodi settimo e ottavo del ciclo, Michele Arcangelo sfiora le crode in volo, e muove Eraclio alla Guerra Santa, cosicchè la Croce, che è di legno, viene riconquistata in Gerusalemme.
Nell’ottavo affresco in particolare, ste crode giù dal Monte degli Ulivi ancora più SI FENDONO, aprono, separano, schiudono, calando in terra come panneggi di ghisa, in gruppi o grappoli ridossati, che a loro volta s’addossano alle torri di porta, e in generale si compie un rapporto organico e di trasformazione alchemica colle architetture che si trovano accanto ad esse rocce incappucciate, ma anche sopra di esse in esile composto modello, accompagnate e appoggiantesi, mentre fan la terra e la quinta nei confrafforti tellurici in spinta, e nel portico schiuso stretto le pietre-colonne vanno ancora coi fusti arborei sottili, etcetera.
Poi, per connessioni ardue da introdurre criticamente qui, prendiamo a rimembrare The Monolith Monsters (J. Sherwood USA 1957), ma questo lo riprendiamo più tardi, verso le 3:30.
berto xavinio, monumento ai giocattoli, olio su tela, 80,5×65,5 cm, 1930.
dai, corrotto, diciamola sta oscena banalità coronata: le montagne non sono giuocattoli.
è un’idea incolta e superficiale e assai stratta questa, che inquarta savinio tra gli eclettici: l’aggettivo inglorioso.
era ed è invece lui un classico integrale e basta, come capisce chiunque tranne qualunque, non occorrerà citar sciascia e apollinaire per suffragare quest’affermazione che non è affatto una tesi ma un’intuizione d’evidenza anzi un foglio squadrato d’intendenza (intendere intenzione e tendere). che spesso questo concettazzo prossimativamente speso di versatilità non depone che la confusione dei valiloquenti (pensatori) monocratici distratti e pazzi, per dire singolo-versi (ottusi schematici funzionari delle geometrie primitive o impiegati portatori della subdoleria contraNORMALE), peresempio quelli che quando vedono il farsi di un creare attraverso due ceppi diciamo (dicono) distinti, diciamo (diciamo) la pittura e la letteratura, non riescono a scorgere l’immagine-una restituita nelle quiete agitate vastità del divenire e della sua rappresentazione nel/del mondo, che c’è sempre quella precisa misura e poetica dioscura (dueinuno) in rocco (grecità), che nulla ha a che vedere con la fantasia, [mentre invece] con gli stravolgimenti riferiti condizionati perrieriani böckliniani, nelle manipolazioni giuochincrociate da reinach, olimpichetitaniche ma “posate in natura” e tutti sti volti d’una volta (mito e storia) in volto (architettura d’emergenza marina), volt’oblungo del pesce inviso men sempre della violenta tumorata infezione umana (sempr’involto), più in generale particolare in ogni anellagione o struzzamento o morganatismo, ma anche per gli psichismi rievocazionarii, che tutto concorre a questo, che xavinio è uno solo e intero e xavio nienteaffatto policromo e poliforme né un tesoriere d’ecuba (non è uno scrigno charmes), né guardiano dei fari giocattolo delle deserte isole dell’arcipelago dei ciclopi, ‘somma neanche polidor’o polifemo, e invece l’umano umanista del plastico intendimento riaggrumato nel chiaro costrutto delle variabilità regolare, attributi e funzioni questi che non schiantano gl’alberi spezzano i rami per eccesso di peso, come fa la neve fradicia d’acqua coi rami degli abeti infami.