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Replica ad una falsa interrogazione
quale professionista incaricato del rilancio e della gestione dell’Ex Scuola elementare di Casso da parte dell’Amministrazione comunale di Erto e Casso, replico alla letteruzza del consigliere comunale Filippin, visibile nell’immagine. La presente replica è agli atti. Codesto consigliere comunale, dimostra in poche righe di non saper di cosa parla, come si evince facilmente dalla seguente confutazione. Innanzitutto una notazione logica sul concetto di Interrogazione: si interroga nel caso si desideri effettivamente conoscere: la condizione necessaria è che ci sia qualcosa di presumibilmente ignoto da conoscere. Se invece, per moventi personali, si vuole esprimere un qualche risentimento, lo si può legittimamente fare, ma si abbia allora il coraggio di chiamar la cosa con il suo nome: insulto, invettiva, sfogo, conato. E, soprattutto, lo si faccia a quel punto all’osteria, da privato cittadino, e non nel ruolo pubblico di consigliere, il cui stipendio è pagato dai contribuenti, che egli dovrebbe rappresentare. Qui non siamo in presenza di alcuna Interrogazione reale, perchè non c’è nessun dato da accertare, essendo i fatti e gli atti ben noti (a tutti gli uomini di buona volontà). I Consiglieri partecipano alle Giunte, nel corso delle quali si deliberano i provvedimenti. Interroghiamo ora noi il consigliere: era egli presente in Giunta, ed ha quindi assistito e partecipato alla deliberazione dell’affidamento dell’incarico di gestione dello Spazio di Casso e del contributo economico a favore di Bilico? Era presente e dormiva? Oppure era assente, o si è dimenticato di esserci stato? Ammettiamo che fosse assente (come quando scrive), o che se ne sia dimenticato: un Consigliere comunale ha accesso agli atti nel suo Comune, dato che vi lavora, o almeno dovrebbe (hailoro). Quindi, mi domando, come mai questo consigliere non è capace di documentarsi, prima di interrogare? I documenti relativi all’incarico di gestione dell’Ex Scuola di Casso, e alla mostra Bilico, sono a sua disposizione in Comune, devo essere io a dirglielo? Sono addirittura pubblicati sul sito web del Comune, accessibili a chiunque. Il consigliere saprà più o meno leggere, immagino. Non avrebbe potuto allora egli condurre una semplice ricerca, prima di parlare a sproposito? Certo che avrebbe potuto, Anzi, avrebbe dovuto, se si fosse comportato in modo responsabile. Perchè, se non ci si documenta prima di parlare, si parla male, e a vanvera. E questo è ben più grave qualora lo si faccia quali rappresentanti di un’istituzione pubblica. L’interrogazione, quindi, non esiste, e il documento presentato dal consigliere è già così destituito di ogni fondamento. Ma c’è dell’altro, purtroppo (per lui). C’è, ad esempio, l’ignoranza di una funzionario pubblico che non conosce la differenza tra arte moderna e arte contemporanea (e quindi, farà fatica a capirne il significato). Ciò è forse meno grave di quanto già sopra evidenziato, ma, anche in questo caso, sapere di cosa si sta parlando sarebbe comunque una buona regola. Altrimenti, sono sempre parole dette a caso. Forse, se il consigliere, oltre a leggere la Delibera che non ha letto (o dice di non aver letto), avesse letto anche qualcuno degli articoli usciti su Bilico sui media locali e nazionali, avrebbe capito qualchecosa di più, e avrebbe potuto parlare a ragion veduta. Dato che si sta al mondo, se possibile, anche per migliorarsi, e non solo per fare Interrogazioni senza interrogare, cercare di capire cosa succedeva a casa sua sarebbe potuta esser magari una prova di presenza intellettuale, o di curiosità culturale. Ma forse qui andiamo sprecando parole e concetti un tantino inadeguati al suo spessore. Le “parole a caso” (moderno per contemporaneo) sono, a loro volta, pericolosi sintomi o prodromi di decadenza: e infatti ecco che ad esse seguono dei “pensieri a caso”. Secondo il consigliere, l’arte è fuori luogo in un simile luogo. Secondo me, invece, è la sua ignoranza ad essere fuori luogo, e l’arte è esattamente dove deve essere. Forse per il consigliere l’arte è una pratica vuota e inutile, come le sue interrogazioni e il suo pensiero (ma quale mai pensiero?). Secondo la maggior parte degli esseri senzienti, invece, l’arte è un metodo attraverso cui si compie una ricerca di senso, è curiosità, stupefazione, intelligenza, sensibilità, apertura. Se il consigliere avesse fatto il suo dovere, e si fosse informato, saprebbe che l’incarico di riapertura e gestione dell’Ex Scuola di Casso non è stato affidato a Dolomiti Contemporanee perchè noi, non sapendo cosa fare, appendiamo scarpe, ma perchè questo progetto ha dimostrato e dimostra, a livello nazionale e attraverso delle azioni concrete, che l’arte sa e può riaprire luoghi chiusi, che l’arte può fornire uno stimolo ad un territorio, che l’arte ha senso soprattutto in luoghi critici, difficili, problematici, chiusi. Anche qui, il consigliere non è documentato, e la sua ignoranza ha il sapore di un gretto pregiudizio. Faccio un esempio: il raggio di luce di La Fine del Confine, la performance del 5 marzo scorso sulla Diga del Vajont, è stato visto da quasi 200.000 persone, attraverso la piattaforma digitale. Decine di articoli sono usciti sulla stampa locale e nazionale. Il significato dell’opera è stato sufficientemente spiegato e compreso, non mi soffermo ora su questo. Ognuno l’ha inteso come ha creduto. A molti è parso un messaggio nuovo, che doveva venire. Per altri si è trattato di una banalità. Uno piccoletto ci è inciampato sopra. Eccetera. Il consigliere filippin, anche allora, come adesso, ha criticato l’operazione, pur senza possedere argomenti di sorta. Vediamo un po’. Il consigliere filippin non sa, evidentemente, parlare ai vivi, che gli pagano lo stipendio, ma ritiene in compenso di saper parlare ai morti. Solo così si può spiegare la sua affermazione che “quelli che hanno perso la vita nella tragedia sicuramente avrebbero preferito essere ricordati e commemorati con un fiore, una preghiera, un’opera di bene. Sicuramente non avrebbero capito dei grandi copertoni…” Questa affermazione è grave e presuntuosa. Come può permettersi questo consigliere che non sa documentarsi, che dichiara la propria ignoranza in fatto d’arte e cultura, che non studia i progetti che critica, che si muove in modo tanto trasandato e approssimativo, che procede per banalità e luoghi comuni, arrogarsi il diritto di decidere ciò che altri, che non sono più, “sicuramente avrebbero preferito”? Perchè crede di poterli rappresentare? Non li rappresenta in alcun modo, e, pretendendo di farlo, li strumentalizza addirittura. A mio giudizio egli rappresenta, piuttosto, un’inerzia del pensiero, e dell’anima. Bilico non ha mai inteso essere una mostra commemorativa delle Tragedia del Vajont. Il consigliere non ha letto un bel nulla e nulla sa di Bilico, testimoniando, anche qui, tutta la propria formidabile ignoranza e supponenza. Il tema di Bilico era un altro, fili a studiare. C’è di peggio. Far confusione tra il significato e il valore di una mostra e l’intimo ricordo privato di un dolore o di una preghiera, è un drammatico indicatore di latitanza del pensiero, o un altro banale e stucchevole pregiudizio, e, ad ogni modo, una cosa al tempo stesso infantile e volgare. Cosa c’entra infatti la preghiera privata con la mostra pubblica? Chi avrebbe mai impedito al consigliere, o a chiunque altro, di pregare, di accendere una candela, di posare un fiore? Cosa c’entra il dolore privato con il Capitolo della Cultura di un Comune? Perchè egli volgarizza la memoria privata e intima di quel fatto? Perchè annulla, in un istante, tutta la pretesa intimità del proprio sacrosanto e intoccabile dolore, recitando una falsa preghiera all’interno di un documento pubblico? Si prega in Chiesa, o nel silenzio di sé. Non in una falsa Interrogazione. E nemmeno in un Museo. La mostra è un’occasione di riflessione culturale. L’arte è una delle pratiche che contraddistinguono l’uomo, e lo fanno diverso dalla scimmia (e da taluni consiglieri). L’arte è necessaria. E, dal mio punto di vista, essendo che l’arte è vita, essa è quanto mai appropriata in un luogo segnato dalla morte, in quanto porta un messaggio di reazione, che si oppone alla rassegnazione, ma non certo perchè essa intenda “insegnare a pregare”, o intenda sostituirsi ad una preghiera, cosa questa che non verrebbe in mente nemmeno ad un bambino letargico. L’arte è vita, ed è giusto che essa venga, anche in un luogo in cui si è consumata una terribile tragedia, perchè l’uomo comunque vive, ha il dovere di vivere, ma non può vivere esclusivamente commemorando la morte, altrimenti vivrebbe in un cimitero, diverrebbe egli stesso un cimitero, mentre invece la memoria, anch’essa, si coltiva vivendo, e agendo. Un artista è semplicemente un essere umano aperto, motivato a comprendere, scambiare, rappresentare. Se è bravo, il suo lavoro può diventare qualcosa di significativo. Credo poi che alcuni non imparino mai nulla, non solo dall’arte, ma in generale. Credo che chi non capisce che la cultura, e l’arte, sono manifestazioni vitali dell’uomo, e in tal senso indispensabili strumenti di crescita e confronto, sia chiuso in modo pericoloso, la sua mente un cimitero, le sue morte parole una lebbra. E che la chiusura aprioristica di chi non cerca mai di capire l’altro sia volgare, e in ciò sia, essa sì, meschina e vergognosa. Ecco dove sta la vergogna, consigliere. Su questo punto almeno, c’è sufficiente chiarezza, e non occorrano interrogazioni di sorta. Gianluca D’Incà Levis, direttore del Nuovo Spazio di Casso