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6 febbraio 2023
artissima dc rete
Dc torna dalla settimana di artissima con diverse cose, e idee, immagini, proiezioni. Oltre agli incontri con artisti e galleristi, molti sono stati i contatti extrafiera. Con il museo nazionale della montagna ai cappuccini, con cui si immagina una possibile collaborazione. Con leapfactory, dal cui incontro sono scaturite alcune libere considerazioni che riportiamo qui di seguito. alla fondazione merz con alfredo jaar, che si è interessato alla storia e al progetto di casso, dove lo si vorrebbe portare. E poi con altri enti, artstici, pubblici e privati, con i quali si è cominciato a ragionare. Il modello viene dunque ribadito: l’arte contemporanea, che è specifica, ma non stolidamente ultraspecifica; una propulsività, non un segmento; e il contesto (tutto è contesto, ancora jaar), nel/sul quale lavorare; contesto culturale, e spaziale; contesto d’aperture, sempre, nel quale s’incrocino le specificità, in modo da non esser mai settorialità, settarie, sartoriali (quel che s’introverte, è decoro).
formidabile l’impatto di leap sull’elbrus, e in generale di questo progetto di rifugio. l’architettura, come l’arte, come la ragione, l’intelligenza e il sogno, sono sempre e solo contemporanee. naturalmente, e solo traverso l’apertura mentale, e una disposizione proiettiva al nuovo, è possibile coltivare assennatamente l’identità di un luogo, di una cosa, di un’idea, senza imprigionarle ad un clichè, metterle in catene, in ciò negandone la genesi e l’identità creativa (esplorativa). chi pensa che la tutela di un luogo, di una storia, di una memoria, possa essere affidata esclusivamente, a tutela, alle immagini del passato, è un poverello nostalgico, spesso inconsapevolmente pericoloso (ad esempio: chi retoricamente predica la virtù del solo passato, imbonendo gli acritici, è corresponsabile di gravi stagnazioni, delle mancate elaborazioni, dei mancati superamenti ed evoluzioni: la retroversione sistematica è una tara). la fissità, colpevolmente inchioda (mentre smaschera timori e abulie). non si tratta di non saper cos’era una cosa, un fatto, una storia. l’esatto contrario. sapendolo, aver la capacità, l’impulso, il coraggio e l’idea, per uno spunto ancora esplorativo, per non ristagnarvi (sapere non è ristagnare; sapere non è abitare l’idea, ma riplasmarla, donarle altra vita: la vita è plastica, non vetro), e l’impellenza poietica all’operarvi, portando senso, portando azione e conoscenza propositiva. la cultura è interazione deliberata, non rassegnazione celebrativa (le figurine, quadretti e libruzzi, le canzonette, l’arte che adorna). la differenza tra il voler conoscere (conoscere il nuovo, o un’immagine nuova del sempre uguale, responsabilmente rideclinato, per istinto d’impresa -intellettuale) e l’accontentarsi di riconoscere (la tranquillizzante immagine nota). la differenza tra conoscere e riconoscere (cocteau) è quella tra lo scienziato e lo scimpanzè, tra il poeta e il dattilografo, tra il progettatore e il compilativo, tra il guardiano della prigione e l’evasore. o l’immaginazione, che è un potere generativo, anche a star fermo, e la vile barbarie in cartolina (mezze immagini, sempreuguali, poste da altri – o da nessuno- e per nulla pre/sentite, ma, semplicemente spiccate, come pomo da un ramo basso, perchè prossime, facili, fattuali, esperienziali). ma poi, infatti, c’è chi vuol star tepido in una baita, contando la balla di un vernacolo che è tremor vacuo. sonno li coglie (o letargia li tiene), mentre si va. in quota. tra le nubi. dietro gli occhi, e tra le orecchie (ma quali trombe d’ardimenti/dannunziani: solo, importante no esser nani).