Casso (e Erto) InCanto, le foto


Tales? Ma se siamo contrari ai plot. comunque:
Sabato 17 ottobre 2015, a Casso, le persone hanno letto e cantato e camminato i libri, le persone sono i libri, nessun libro esiste fino a quando una persona non lo legge: scriverlo, è già leggerlo. 
Dolomiti Contemporanee ha partecipato dunque a Un Erto inCanto, maratona di 24 ore di lettura nell’area del Vajont, bravi Silvia e Kevin (questo l’evento).
E si è iniziato alle 19.00, e si è letto in ogni angolo del Nuovo Spazio di Casso, in piedi o seduti, da soli o a gruppi. 
Ha iniziato Marcello Mazzucco, cassano e storico locale, leggendo storie dal suo libro “Cas de na ‘olta”, seduto a terra, sui gradini della scala, all’ultimo piano. In dialetto. 
Intanto, di sotto e fuori, Francesca e Brando giravan le castagne, grazie a Vanni per l’ormai storico cestello della lavatrice, daghe oio. 
Ed a quel punto erano pronte, e quindi le abbiamo mangiate, col vino e il salame e la birra. 
Poi dentro e su tutti, e una lettura tripla: davanti ai sassi di carta di Nico in “To’nòn”, che vomitano le loro parole-a-corda su per la scala nera, Gianna Barzan, Gian Antonio Filippin e Elena Bellitto (tutti originari dell’area del Vajont), han letto lo stesso libro, e un libro diverso: “Il Ponte dei bambini”, di Max Bollinger e Stepan Zavrel, è una storia illustrata, ed i capitoli son venuti a tre voci, in cassano, ertano, italiano.
E così le forme del contemporaneo e le storie della terra si sono incontrati un’altra volta qui a Casso, in questo Spazio delle relazioni aperte, che tutto include, tranne quel (e colui) che è immobile. 
Poi siamo andati via, che appena uno trova un agio, è già nell’abitudine, e quella va subito rotta subito, e l’agio va tolto, che lo Spazio è il muoversi nel senso, e non adattarsi ai confort, e SPOSTARE.
Così, in cammino nel buio, tutti in una piccola vecchia stalla del paese, dove Marta e Gervasia, un’artista e una cassana, hanno letto brani tratti da “Walkescapes: camminare come pratica estetica”, di Francesco Careri, “Piante Medicinali e Velenose della flora italiana”, di Viola Severino, e “Il mantello”, di Dino Buzzati. Con la candela. 
E poi giù di nuovo per gli stradelli erti di Casso (ma pensa), e di nuovo allo Spazio, perfettamente illuminato, ogni finestra un rettangolo di luce gialla a spaccare la notte, fanatica nel suo nero, e dall’esterno vedi questo blocco che esplode la luce, e sembra un motore d’energie, e lo è.
Ed è stato il turno di Pamela Breda, la famosa. 
Pamela aveva lavorato già dal pomeriggio. Alle 15.00, la sua performance The music room era andata in scena, con la ballerina Cristina, nella vecchia casa di famiglia, ora rudere, rotta il 9 ottobre del 1963. Nella casa son tornate le musiche che suo nonno ogni sera sentiva, lì. E Cristina le ha danzate, nella stanza piccola, ripulita, con questo cielo azzurro roso a lacerti d’intonaco tiepolesco tra i sassi rotti e umidi, e la casa era ancora lì, e la sua storia risonava. 
Pamela, in piedi davanti al proprio lavoro in mostra in “To’nòn ignà”, ha letto da la “Storia dell’arte e anacronismo delle immagini”, di Didi-Huberman.
Quindi (accompagnata dall’uomo dell’orso, l’amico Umberto del Rifugio Marcesina), è venuta Lucia Pasqualon, con “Le mura di Anagoor”, ancora Dino Buzzati.
A lei ha fatto seguito Farook, rifugiato pakistano a Casso, dopo la fuga da Peshawar, che ha recitato, ha cantato, alcune Sure dal Corano, e le persone attorno hanno ascoltato le modulazioni armoniche della sua voce, e, senza conoscere il senso dei versetti del Libro di Allah, hanno sentito Farook, e l’han visto, e questo è quel che occorre, non la traduzione (ogni cosa è già traduzione), ma l’integrazione (di chi sa cercare). E Farook era commosso, e alcuni altri pure, perché stavamo facendo sul serio, e quando si fa sul serio lo si avverte.
Dalla postazione video all’ultimo piano veniva la lettura registrata di Cristina Calderoni, inviata dalla Spagna., 
Poi Laure Keyrouz, curatrice libanese, ha letto in arabo “Noi siamo esseri umani” una poesia scritta da pochi giorni, una poesia sull’amore e sulla sofferenza, e Sara l’ha recitata poi in italiano, e ancora le voci e le prole e le lingue e le persone e le culture si son mescolate: e le sensazioni erano simili, ma guarda: è l’uomo (l’uomo non è sempre quel cane di bracconiere che è spesso). Ed eravamo sulla passerella che si slancia verso il Monte Toc, ecco dov’eravamo. E, contemporaneamente, Romina, giovane cassana in forze a DC, ha letto brani del “Piccolo principe” in traduzione giapponese, dentro alla camera-bivacco creata tempo fa da Andrea Grotto, e ancor viva (già cantata dai tarli).
Tutti eran calduzzi a ‘sto punto, e siamo usciti ancora, per veder se si sfreddavano (e invece no).
Luigina ci ha aperto il bar, che aveva chiuso da ‘n’ora (il K2 è l’unico bar di Casso), e siamo entrati, ancora in trenta, perché si era deciso di leggere anche nel bar, perché è il bar è il bar, come la Chiesa è la Chiesa, e ci si trova lì.
E Gianluca Brando ha letto un brano del “Robinson Crusoe” di Dafoe, quello in cui, all’inizio, si parla d’acqua, e dell’onda, e della sofferenza, ed a narrare è quello che diverrà l’uomo solo, sopravvissuto, capace di sopravvivere: e tutto ciò è stato sentito con forza da ognuno, perché siamo a Casso, e l’onda è in ognuno.
Poi è stato il turno di Felice Manarin, che è sindaco di Vajont, e originario di Casso: ha letto due pagine de “Il mio Vajont”, di Osvaldo Martinelli, uno dei primi libri-verità del Vajont.
Anche qui, erano con noi, il regista Alessandro Negrini e la sua troupe (tra cui il montatore di Inland Empire di Lynch, che ci eravamo visti l’ultima volta giusto un paio di settimane prima, viva Mike Buongiorno), ed han ripreso tutto, e queste nostre storie di pensiero, ideazione, incontro, relazioni di senso, entreranno nel suo film su Erto e su Casso, così finalmente ci sarà un buon film su questa terra (perché Alessandro è bravo), dopo tante indecenze. 
Quindi non prendetevela troppo se in qualche foto compare il Boom.
Ci siamo girati, a quel punto, e siamo tornati allo Spazio, sempre acceso, sempre stagliato contro alla notte nera, sempre una dichiarazione di guerra agli oblii, del passato, e del presente (questi oblii sono spesso nemici, negli stupidi). 
E qui le ultime letture sono andate simultanee: e Alice, Miriam, Anna, il Prode, e Hsing-Chun han letto tutti insieme, camminando nello Spazio, in italiano, mandarino, inglese, e le voci, ancora, si sono mescolate, e quel che si sentiva non eran le parole, e quel che si riconosceva non erano le storie, e quel che si vedeva, ancora, erano uomini e donne che parlavano, mescolavano, comunicavano, c’erano.
Infatti, ci siamo stati. 
Perché ci siamo.
E avanti.

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