jonathan vivacqua/cr 549



Jonathan vivacqua
cr 549
installazione in ambiente, 15 maggio 2013, falesia di Erto
a cura di Gianluca D’Incà Levis

Tra la Diga del Vajont e il Nuovo Spazio di Casso, si trova la falesia di Erto. Spettacolare anfiteatro strapiombante, questa palestra di roccia è luogo ben noto a chi si dedica a quella declinazione contemporanea dell’alpinismo che è l’arrampicata (sportiva). 549 sono i metri d’aria che separano il centro dell’installazione dallo Spazio di Casso. 500 sono i metri di fettuccia da slackline utilizzata dall’artista, per misurare questo spazio, ricodificandolo. Il lavoro di Jonathan Vivacqua lega queste rocce. Un reticolo, schema costruttivo, poligono funicolare, processazione di spazio. Il disegno ricorda alcuni incroci che fan le corde da arrampicata, sulle pareti verticali, lungo le vie di salita. Un’indagine geometrica. Il tentativo di trovare o stabilire le connessioni minime, elementari tra punti ed oggetti. Una misurazione dello spazio attraverso allineamenti, tensioni, traguardi, convergenze, nodi, fulcri. Il tentativo di creare un apparato spaziale sintetico, semplificando l’organizzazione naturale dei rapporti dimensionali, che è casuale, sovrapponendovi una visione al contempo geometrico-scientifica e organica. La volontà di individuare determinati centri di forza e baricentri, perlopiù aerei, per riportarli poi giù, ancorandoli al suolo, dando in questo modo forza plastica al pensiero misurativo. Questo misurare lo spazio, trovando le connessioni recondite, è una pratica operativa di smascheramenteo della complessità apparente. E’ un principio d’ordine, e sogno. Immaginare linee, è una pratica esplorativa, che accomuna l’artista, che cerca un’immagine, allo scalatore, che cerca la via.

La slackline è una delle pratiche più recenti introdotte nell’ambiente dell’arrampicata. Per cercare l’equilibrio, i climber si esercitano, camminando su sottili fettucce, linee eleastiche tese tra due punti. A chi ha costruito quest’equilibrio senza difetti, fragile, fugace, sembrerà di possedere la densità del granito. E’ così che si raggiunge la calma relativa, l’equilibrio serrato e, raramente, il breve attimo d’immobilità assoluta (pp). Ma la slackline, nell’ambiente montano, non è solo un sistema d’allenamento. Similmente all’arrampicata, essa assume una fisionomia propria, diviene ricerca di un rapporto sintonico tra sé e l’ambiente. In questo senso l’highline è cosa ben diversa dalla trickline (l’una introspettiva e intima, l’altra ginnica e giocosa). E, forse, l’installazione di Jonathan Vivacqua, depurata dell’elemento performativo, è il primo esempio di rockline, dove l’uomo è interessato a determinare la linea, percorrendola con la mente, e non con il corpo. Le slack, gli spit, gli ancoraggi, come le corde, sono gli strumenti ordinari di chi arrampica. Il lavoro installativo si compie, su quella stessa roccia abitualmente utilizzata da chi scala, attraverso questi stessi strumenti. Il reticolo geometrico, connettendo una serie di punti, genera una figura, che l’artista prefigura e svela. Le relazioni geometriche sono calcolo, disegno, intuizione, sintesi, progetto, ricerca, rapporto, contatto. È uno sguardo verticale. Dritto come sono linee, ripensate in una geometria dell’istinto. Questa tensione artificiale (A0) non replica nulla, e nasce invece nel punto in cui le linee in tensione, forze applicate (le idee sono sempre direzioni), trovano il proprio centro complessivo d’equilibrio.

L’opera è stata realizzata grazie alla collaborazione di un gruppo di climber bellunesi. Sponsor tecnico, Tecnobelt Chieri (To).