Kristian Sturi/In The Mood Version #197
Kristian Sturi, In The Mood Version #197 (2023), resina epossidica, acciaio, pigmenti, smalto e glitter. Courtesy l’artista.
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Non so perché un giorno sono apparsi i leoni. Lo hanno fatto un po’ per gioco un po’ per curiosità e in questo felini, bambini e artisti si somigliano. Dapprima come elemento discordante poi in modo preponderante, si prendevano tutto, anche il caffè, quello di battiatiana memoria. La loro insistenza si accordava ad un aspetto personale o personalizzato, forse per influenze zodiacali o ancestrali mi rivedevo nelle loro fogge, sentinelle inamovibili dei battiporta, simbolicamente catalizzatori prodigiosi in grado di vanificare le influenze più nefaste mentre la loro estetica glitterata e glamour ammiccava alla volubilità e a quel senso frivolo di leggerezza. Sembrava un autoritratto e una cosa sola si può fare degli autoritratti: scomporli e distruggerli. Naturalmente non l’immagine abbozzata delle proprie fattezze, no, quella di solito non somiglia mai al suo fautore e ha vita autonoma; intendo quella presa di coscienza, intima e conturbante,
dalla quale si cerca di fuggire ma contemporaneamente si è terribilmente attratti. È il pianto del leone, il suo sacrificio. E la materia, maestra indiscussa della sussistenza e le sue leggi, fagocita ogni tentativo egocentrico, così i leoni sono inglobati in un geoide atemporale, perenne e sordo alle tentazioni esterne. Le fascette in tensione sono la manifestazione fisica dell’energia che attraversa la superficie mentre la grafite di cui è composto la resistenza e la stabilità del blocco. Al suo interno rivela il lavorio incessante delle stratificazioni, costellazioni immobili eppure mutevoli alla luce, agate stellari e bagliori lontani immersi in paludi lacustri, universi reconditi che attendono di essere ri-esplorati, gemme opalescenti che indicano un percorso. Ed è proprio l’abbaglio, la cangianza epidermica ad essermi più cara rispetto alle retoriche
assurdità di certezze, essa suggerisce quella mancanza di collegamento momentaneo, mette in discussione e fa riflettere, anzi, riflette ma non emana. È forse quella volontà di cominciare a parlare di profondità attraverso la superficie?
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l’opera è inserita nella mostra le fogge delle rocce, spazio di casso al vajont, dal 27 luglio al 31 dicembre 2024.
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foto: teresa de toni