27 maggio 2017

Cultura in Friuli 3,  Atti della Settimana della Cultura friulana (5-16 maggio 2016) raccoglie gli interventi dei relatori dell’edizione 2016 della Setemane. Edito dalla Società Filologica friulana, il volume è a cura di Matteo Venier e Gabriele Zanello.Si riporta qui il contributo del curatore di Dolomiti Contemporanee, Gianluca D’Incà Levis, al convegno: L’educazione al patrimonio culturale, il ruolo dei musei promosso dalla Magnifica Comunità di Cadore e svoltosi a San Vito di Cadore l’11 maggio
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20 maggio 2016

dolomiti contemporanee ha partecipato a Tasting the Landscape, 53esimo congresso mondiale ifla (International Federation of Landscape Architects), che si è svolto al al centro congressi lingotto di torino,  dal 20 al 22 aprile 2016. TTL intende promuovere una riflessione sul ruolo fondante dell’approccio creativo al paesaggio, che derivi da un rapporto concreto e percettivo con il luogo e che porti ad un’indagine approfondita e alla rielaborazione di quelle immagini, pratiche e segni che possono influenzare l’andamento della trasformazione di regioni e paesaggi. Dolomiti Contemporanee partecipa nel tema Inspiring Landscape, con un
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14 maggio 2016

George microzine è una mini-fanzine a cura di cose cosmiche e pubblicata da Arthur Cravan Foundation. Il primo numero di George tratta le modalità di organizzazione di una resistenza collettiva. If the only way to make an escape revolutionary is to pick up arms, we ask: which weapon would you tuck in your pocket? Qui di seguito il pezzo di Gianluca D’Incà Levis per
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19 marzo 2016

Quotidiana è un progetto per l’arte contemporanea attivo dal 1995, realizzato dall’Ufficio Progetto Giovani del Comune di Padova.è a cura di Gianluca D’Incà Levis il primo seminario di Quotidiana a parole, dedicato agli artisti protagonisti di Quotidiana esposizione, che ha avuto luogo sabato 19 marzo.Qui di seguito un testo che riassume le questioni affrontate durante la
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15 marzo 2016

Giuseppe Vigolo e Antonella Zerbinati partecipano con Santos Dìas alla mostra Index Roma (26 febbraio al 17 aprile 2016), presso la Calcografia Nazionale della Real Academia de Bellas Artes de San Fernando a Madrid. La mostra raccoglie i lavori realizzati dai borsisti della Real Academia de España en Roma nel 2014-2015.in catalogo un testo di gianluca d’incà levis, qui di seguito riportato. — ita (scroll for esp) Santos Dìas – Giuseppe Vigolo/ Antonella Zerbinati la traiettoria circolare del proiettiledi gianluca d’incà levisma che cos’è l’arte, se non questo proiettile sottile del senso, e realmente incisivo a
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6 dicembre 2015

dolomiti contemporanee ha partecipato a Tasting the Landscape, 53esimo congresso mondiale ifla (International Federation of Landscape Architects), che si è svolto al al centro congressi lingotto di torino,  dal 20 al 22 aprile 2016. TTL intende promuovere una riflessione sul ruolo fondante dell’approccio creativo al paesaggio, che derivi da un rapporto concreto e percettivo con il luogo e che porti ad un’indagine approfondita e alla rielaborazione di quelle immagini, pratiche e segni che possono influenzare l’andamento della trasformazione di regioni e paesaggi. Dolomiti Contemporanee partecipa nel tema Inspiring Landscape, con un
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22 ottobre 2015

paesaggi contemporanei: geografie dei paesaggi economici giovedì 13 agosto 2015 forni di sopra (ud) sintesi dell’intervento del professor pier luigi sacco, ospite relatore della sessione pomeridiana di paesaggi contemporanei, dal titolo cultura, sviluppo e territorio: dall’eventificio alla comunità di
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7 ottobre 2015

Contest  Il 1BBDC (First Borca Boulder Dolomiti Contest) è un contest di bouldering in ambiente, che Dolomiti Contemporanee prevede di realizzare nel 2016 all’interno dell’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore, “cantiere di arrampicata culturale” inaugurato a luglio 2014 con Progettoborca. Si tratta di un progetto culturale, che si sviluppa nel PBLab. L’Associazione Party BLock (Belluno) curerà l’evento sportivo. Dolomiti Contemporanee e Progettoborca Nel 2014, l’attuale proprietà del sito (Gruppo Minoter-Cualbu) ha affidato a Dolomiti Contemporanee l’incarico di avviare un programma di valorizzazione culturale e ripensamento
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#pblab0 – Cane a sei zampe, rebranding Quasi ogni oggetto, all’interno dell’ex Villaggio Eni, è brandizzato: il celebre cane a sei zampe, logo storico di Eni, campeggia su ogni piatto, tazza, coltello. E sulle coperte in lana, che allora furono realizzate da Lanerossi, e che ancora utilizziamo nella Residenza di Dolomiti Contemporanee a Borca. Oggi, due giovani artisti e designers di moda, Anna Poletti e Giorgio Tollot, hanno preso queste coperte originali, e le hanno trasformate in cappotti vintage. Rebranding, rigenerazione, e coltivazione rinnovativa del patrimonio storico, attraverso le idee e le arti. E’ questo uno dei primi progetti
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12 aprile 2015

Keeping tensions up: a reflexive analysis of the (strategy)-making-of Dolomiti Contemporanee, short-paper coautorato da Maria Lusiani (Maclab, Cà Foscari) e Gianluca D’Incà Levis, che è stato accettato al call for papers EGOS 2015
 (Sub-theme 30: Fostering Change for Responsibility: Forms of Reflexivity in Engaged
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DC e gli Scarpét

Tu lo sai cosa sono gli Scarpét?

Qui ci abbiamo fatto un workshop a Casso, a dicembre 2022, e da lì abbiamo avviato la ricerca applicata, trovi altri link utili in quel post.

Gli Scarpét, o Skarpét, in bellunese, o le furlane, in Friuli. Ste scarpe o “… pantofole rustiche artigianali, tipiche e abituali calzature montanare d’un tempo, costituite da una suola di pezza fittamente trapunta (strapônta) con filo di canapo incerato e da una tomaia scollata, in panno o velluto nero, orlata o foderata, molto resistente … (Enzo Croatto, Vocabolario del dialetto ladino-veneto della Val di Zoldo, Belluno)”.

Dolomiti Contemporanee, con la sua abituale tenerezza culturale, propone un altro saggio di attenzione alla cultura del territorio, e di intereazione con essa.

Abbiamo iniziato a dicembre del ’22 nel Nuovo Spazio di Casso con un workshop che portava donne da diverse valli dolomitiche a incontrare artisti da tutto il mondo. Queste donne esperte che salvano il mestiere antico che si sperde, e che però non son fertme, ed infatti hanno accettato subito l’idea della “necessità della distruzione della tradizione (nell’assetto pago replicativo) attraverso la rivoluzione affidata alla trasformazione, ovvero non andare a rifarla sempre eguale, la cosa, scarpa o altro che sia, che non basta, la si ha da far corretta e diversa invece. Prima inventi una cosa (salto culturale), poi la difendi (il mestiere tenuto), poi la rinnovi (un salto non basta, non sedertici, fanne altri). Ricordi cosa diceva Nietzsche di Goethe e Leopardi? Incameravano il passato, certo, questi ultimi poeti-filologi.
Ma, anche semplicemente nel riprenderlo, quel passato (Eraclito o lo Scarpét qui è uguale), lo ricreavano. Ma di questo parleremo meglio presto altrove.


Maria Teresa Agnoli
, che va per gli ’80 e si è dimostrata un’ottima capocordata (volenterosa e aggregativa), sa come si fanno a mano. Ci vogliono dita d’acciaio, climber da strapazzo. Ha un laboratorio produttivo e formativo a Perarolo di Cadore.
Ci aspetta lì. Cosa aspettiamo? 
Ha capito subito, assieme alle colleghe, il senso della nostra azione, il modello propulsivo e non descrittivo delle cose belle ed efficaci che van prese e smembrate (la critica, il lavoro dell’artista) e rimontate; ha capito subito ad esempio le meraviglie di Anna Poletti, le coperte di Pblab e lo Scarpet da arrampicata, ed è qui che è fiorito il dialogo tra i diversi, che è già come un forte patto affermativo, un’intesa profonda, un fiore esplosivo (e aspetta di vederli, i nuovi fiori incendiari sugli scarpét riletti dagli artisti: botanica fantastica rinnovativa).
La tradizione infatti non è importante se viene semplicemente (acriticamente) trasmessa e salvata, ma se viene esposta ad altri contagi e trasformata. Nutrila. Attenzione ai fanatici della conservazione.


Come lo si fa/ceva:

Fare gli scarpet era un tempo un’attività di trasformazione dello scarto. L’unione di vecchie stoffe permetteva la realizzazione di suole solide e resistenti, in grado di durare nel tempo. A questa stratificazione di scampoli veniva poi aggiunta la tomaia che, spesso, era di un materiale più pregiato (velluto o tela). L’accoppiamento permetteva la facile sostituzione del materiale più fragile (pregiato ma fragile) potendo così mantenere la stessa suola. Tirar i Scarpet. Eh, duravano. 
Mai indossarle su terreni bagnati, di preferiva star scalzi piuttosto che rovinare quelle suole costate molte ore di lavoro. Poi, la gomma (che era sempre uno scarto) consentì di affrontare qualche umidità.
Cuciture, forme e ricami cambiavano di valle in valle e di paese in paese. 
Ogni paese quassù porta, da secoli, un fiore distintivo a decorare lo Scarpèt?
Ne faremo degli altri, ecco che vengono i fiori DC.

Qui un minimo di bibliografia

 Le foto quissopra sono di Giacomo De Donà e Teresa De Toni

Settembre 2023, un altro passaggio della ricerca:


Gli Scarpét (in Veneto: in Friuli Venezia Giulia si chiamano le Furlane, storicamente gli Scufons) sono stati lanciati, come tema culturale legato all’interpretazione e rigenerazione di questa tradizione manufatturiera artigianale, così caratterizzante, così interessante, così trasformabile (DC è un soggetto attivatore trasformativo), a dicembre 2022, con il primo workshop.

Interpretabile vuol sempre dire trasformabile. Si trasforma un oggetto di cui si voglia conservare l’essenza, al tempo stesso rinnovandola, cosicchè la tradizione non diventi una determinazione immota, ovvero un sacello conservativo, ma uno stimolatore, ovvero un suggerimento alla rinnovazione del tipo, e della sua estetica.

Lo Scarpèt possiede un grande potenziale di riprocessazione: estetica, ma anche funzionale, poi ad un certo punto vedrai come.


Diciamo che la trasformazione è una lettura, e quindi è una forma di traduzione. Ogni rilettura di un testo (un oggetto è un testo, se lo studi) è una sorta di traduzione vivificante del testo originale.


Abbiamo iniziato a conoscere le custodi di questo lavoro: in ogni paese del Cadore, c’è una maestra, che conosce e diffonde il mestiere, insegnando la tecnica realizzativa degli Scarpét a chi se ne interessa: molti se ne interessano.

Il martedì, a Forno di Zoldo, presso l’ex Scuola elementare Panciera Besarel, si riunisce il gruppo guidato da Loredana Lazzarin, con l’Associazione Made in Zoldo, e si portano avanti gli Scarpèt.

L’abbiamo visitato, insieme a Beatrice Pra Floriani, che ci ha condotti in visita al laboratorio.

Qui di seguito, riportiamo anche un testo.

E’ stato scritto da Gigi Pra Floriani, nonno di Beatrice, nel 2006, ed è comparso allora sull’Alpino zoldano.



Fà scarpet in Zoldo

Fà scarpet in Zoldo nel secolo scorso era una necessità, un’usanza, un rito.
 Li facevano le donne, era un’arte che si tramandava da madre in figlia e si svolgeva in tempi programmati, era proprio un avvenimento dei lunghi mesi invernali.
 Mentre per la confezione, l’imbastitura e soprattutto la trapuntatura “straponze le solete” ogni spazio di tempo libero era buono. 
Ad esempio, quando le donne andavano ad accompagnare le mucche al pascolo, sedute sull’erba con in mano la pallina di cera d’api, il gomitolo di filo di tela, ed una piccola pinzetta (quest’ultima rudimentale, fabbricata nelle Fusinele di Zoldo), lucide per l’uso le pinzette, servivano per estrarre la gusela dalla soleta.
 Per ore e ore fabbricavano i “sciop de fil” doppio lunghi circa 60 centimetri. Questi, ben ritorti, fattoli rotolare fra i palmi delle mani e poi incerati scorrendoli sula palina di cera, quindi per ultimo facevano, i nodi all’estremità usando una sola mano con destrezza.
 La materia prima per le “solete” consisteva nell’ultima fase di riciclaggio di vecchi panni.
 Ad esempio la giacca del vestito nuziale, che per vari anni veniva indossata i giorni di festa e per altrettanti nei giorni feriali, poi, quando oramai lisa si usava per il lavoro. 
La cosidetta tomaia, veniva fata con veluto nero socelto e foderata allintemo con tessuto di tela ed orlata con spighetta nera.
 La parte posteriore sul tallone veniva rinforzata con più strati di tela perchề non si deformasse.
 Per i più giovani che consumavano vari paia di Scarpet all’anno, si fabbricavano con materiale meno costoso come “frustagno” liscio o rigato e rinforzato con un puntale sulla parte anteriore.
 Per i piccolissimi la tomaia aveva le “regele” che facevano il giro alla caviglia abbotonandosi alla sola sul col del pè per non perderli.
 I più esigenti, Tornavano con fiori sul puntale fatto da ricamatrici provette, fiori da sembrare veri. Il ricamo prediletto era la stella alpina, e i non ti scordar di me.
 Nella frazione di Pra di Zoldo, non si sono mai posti il problema di fare due forme (destra e sinistra).
 I Scarpet, si facevano con un’ unica forma dritta lasciando che fosse il piede mediante l’uso a dare la forma anatomica. 
L’ attaccatura della tomaia alla soletta veniva eseguita introducendo la forma di legno e cucendo a mano la “zentina”, già attaccata alla tomaia.
 Dopodichè, con forbici o coltello da calzolaio si regolava la sporgenza della “soleta” e si rifiniva con la “radisela”, prima di levare la forma con la mazzetta di legno, si batteva tutt’attorno per ovviare alle piccole irregolarità di sporgenza. 
I Scarpet per il materiale con cui sono costruiti sono una calzatura da tempo asciutto, suo peggior nemico è sempre stata la rugiada.


Gigi Pra Floriani, Pra di Zoldo, 19 settembre 2006


Una curiosità: Egidio e Florio Lazzaris si ricordano di “Scussel Giòbatta dei Locanda’ sposatosi con Maria Calchera, questi, nei primi del 1900 si trasferirono a Belluno per aprire un Scarpetteria che con gli anni si trasformò nel mobilificio “Scremin”.