francesco zanatta/If you have a knot you can not undo…
francesco zanatta
If you have a knot you can not undo…, olio su tela, 200 x 230 cm, 2018
Francesco Zanatta è salito a Monte Ricco. Anche lui, come tutti gli artisti in Residenza a Pieve, è
stato condotto in Batteria Castello, ed ha scoperto l’universo di Romano Tabacchi, ovvero ciò che
rimane della dimora e della testimonianza di vita di quest’uomo, la cui storia e presenza sin dal
principio abbiamo giudicato molto interessanti, come stimolante – una miniera – è la collezione
detritica di oggetti e resti in Batteria. La storia di questo fabbricatore originale, così diverso dal tipo
del borghese “magnacarte” (così son detti in valle gli abitanti di Pieve di Cadore, antico centro di
potere culturale e amministrativo del Cadore), ha preso il campo (mentale, pittorico) di Zanatta,
che gli dedica questa ricostruzione stratigrafica, infiammando ancora una volta la Batteria
decrepita, portandovi un’enorme quantità di aderenza mentale, concentrata nel processo pittorico.
L’impegno creativo e compositivo di Zanatta è venuto a sovrapporsi alla traccia della vita dell’uomo
che fu qui: nutrendosene, ne ha riattivato una parte. E questa luce forte ricaccia l’oblio, e
riprocessa un passato vivo.
La batteria Castello-Tabacchi, che un giorno dovrebbe ospitare una foresteria e un’officina. Per
potervi ospitare i viaggiatori e gli artisti. Ripristinando i forni per la ceramica e la fucina fabbrile di
Romano, per produrvi ancora nuove cose, per ampliare la strategia di rigenerazione del Colle, a
cui i pensieri e le forme degli artisti nuovi, contribuiscono, assai responsabilmente: come sempre fa l’arte.
Ho respirato l’aria spessa e tagliente della Batteria Castello, dove Romano Tabacchi ha speso anni
della sua vita a proteggere le sue convinzioni e quindi quello stesso luogo. Mi interessa la sua
figura di “guardiano”, “protettore” di un luogo in decadimento. Ha rivitalizzato la batteria, si è
inserito nel suo circolo vitale.
Sono affascinato dal modo in cui noi influenziamo un luogo, soprattutto se diventa la nostra dimora
o il nostro luogo di lavoro, e viceversa. In certi casi avviene una sovrapposizione, un
identificazione. Noi e quel luogo diventiamo un sistema chiuso. E’ il nostro cervello che aderisce
all’interno: si spalma e si aggrappa. Quanto è grande il nostro cervello? Dov’è esattamente?
Quando dipingo il mio cervello è soprattutto nella mano, essa costruisce la visione, permette di
vedere a me per primo quello che nelle prime fasi di osservazione della realtà posso solo intuire.
Questo processo continuo di scambio e di relazione con la superficie pittorica è simile, sebbene su
un piano differente, alla relazione dinamica con un luogo. Permette l’invenzione di un posto prima
inesistente, o di una modalità nuova di vedere un posto.
La mano filtra il reale, che si allunga o si accorcia. La rappresentazione, pur imitando la natura e i
suoi flussi, è così iper-costruita da rendere quasi alieno il quotidiano.
Ci sono un unico sguardo, un’unica immagine, un mondo concluso. E al contempo molteplici
visioni sovrapposte, il tempo necessario ad intravederle e permettere di generare nell’occhio
movimento e attrito.
opera in:
brain-tooling
a cura di gianluca d’incà levis, riccardo caldura, petra cason
forte di monte ricco
30 giugno – 30 ottobre 2018