DC || 21 marzo 2012


Dc in KunStart 12 (& around)

di ritorno da KunStart 12, la Fiera d’Arte Contemporanea di Bolzano, ecco le impressioni, quel che abbiamo colto;
lassù in quelle terre un po’ frigide d’alto adige, dove alcuni, come l’ottuso portinaio del werth, stanno dritti, o si piegano a scatti, nella custodia scricchiolante dell’involucro;
lassù, ce ne son pure di vivi; ed ecco infatti che lì fraulein nina stricker, nuova direttrice della Fiera, ha scaturito una scintilla, che ha attraversato le membra di questo cadavere insepolto (la fiera d’arte contemporanea stessa, di cui a quanto pare molti lassù, già paghi delle loro buone cose ordinarie -lo statuto speciale/ordinario- che vanno, imburrate sul pane nero, non sentivano alcun bisogno), scuotendolo per un attimo, e generando, nel moto galvanico, la possibilità di una ri-esistenza, l’ipotesi di una rinascita;
perfino il clamoroso refuso topografico che ha interdetto la Provincia nostra (Sass Muss è finito in Alto Adige nella carta inserita nello speciale Artribune pubblicato in 50.000 copie) noi lo interpretiamo come sintomo (pur goffo) di uno spirito culturale d’annessione che è, per una volta, visone d’apertura, e non anschluss o sopraffazione;
l’obiettivo primario per Nina Stricker e Valerio Dehò (il curator) era in effetti questo: superare l’emergenza; dare una scossa; mostrare la possibilità di un progetto di rilancio, cambiamento, sopravvivenza, superamento, rinnovamento, apertura;
il colpo si è sentito, per la tepida valle, e questo conta; ecco perché parrebbe cosa miope il soffermarsi ora su alcuni aspetti a proposito della qualità e del livello, inevitabilmente non ineccepibili, della fiera, che nasce oggi, e quindi non è Artissima (e d’altro canto nemmeno Artissima è Basilea, e nemmeno il Fiacre, e tutti prima si nasce, poi si cresce, tranne forse alcuni poveri beoti ipnotizzati dai profeti del rebirthing);
aggiungo poi che, se invece si decide di soffermarsi, entrando in merito delle cose vista, è meglio farlo con attenzione: se uno segnala, rispetto a quanto detto sopra della fiera, lo stand artigiano di Unika come presenza stimolante (questo nel redazionale web di Franz), quell’uno non sa guardare, o cogliere la scintilla; la speranza della Fiera sta nell’ammazzare i clichè e la pratiche arcaiche e tradizionali, quelle dei bei legnetti, ad esempio, per proporre qualcosa di NUOVO, forme-pensiero, non sculture-arredo, pur ben eseguite; quelli da citare sono Goethe, Cattani, Boccanera, Es, Kooio e Art Depot di Innsbruck, Transart, Museion, e DC.
la Fiera a Bolzano non c’era più; era un morto steso stecchito; ora c’è una creatura in bozzolo, rianimata seduta, che già non pare uno zombie, che non poteva esser da subito un angelo; e dunque, avanti, guardando a modelli, anche recenti, di rinnovamento intelligente, come ad esempio Independents di Fuoribiennale ad ArtVerona; e chi crede che la Fiera debba essere solo commercio (o che il commercio possa venire solo dal commercio, e non, ad esempio, da un progetto culturale aggressivo che ROMPE-GLI-ARGINI, rimodula e rilancia, cavando linfa e scuotendo le inerzie), chi lo crede, è una capra o un rigattiere e pigro e acefalo;
azione redente, diciamo sempre; (e meglio le calze pop-comics-garden dei beati blu di prussia, e pure di quell’inflazione di palchi cromatici di corna);

DC era in KunStart con due stand; lo stand madre, dove abbiamo presentato il prototipo di CR6, lavoro di Jonathan Vivacqua; CR6 è un progetto/processo a fasi che si realizza grazie alla collaborazione tra Jonathan Vivacqua e Dolomiti Contemporanee, ed alla collaborazione iniziale di Carrozzeria Margot, che dopo l’avviamento lascia ora il progetto; il prototipo presentato a KunStart è stato realizzato grazie alla sfavillante tecnologia Dinitech/D-Shape, nuovo partner di DC, insieme a cui già si prospettano nuove spettacolari avventure; la macchina litografica 3D dei fratelli Dini ha prodotto questo stampato poetico di roccia sedimentaria; il disegno di Jonathan è stato sviluppato e ingegnerizzato da Mirko Forti Industrial Design; nello stand madre abbiamo parlato per tre giorni sempre, aperto canali, come chirurghi aortici, stipulato contratti di nuvola riflettente, dato fondo a tra casse di Birra Dolomiti (grazie anche ad Acqua Dolomia, Partesa, Trasporti Da Rold); le tre casse, insieme ad erwin seppi, christian martinelli, federico lanaro, massimo simonetti, elisa decet, mauro e brigitte vendruscolo, laurina paperina, lucia uni, annelie bortolotti, piero casagrande, paolo ariano dal pont, bea, fabiano, alessandro e minji, jonathan e valentina e francesco e jacopo, andrea e falluja e demis, maf, camilla, lotta, agathe, romina, e gli altri che son passati e hanno parlato e pensato e innescato insieme a noi;
il secondo stand, inserito nel Focus Korea, ha ospitato invece i lavori di MinJi Kim e Alessandro Dal Pont; questo stand è stato concepito come una mostra, in cui gli artisti hanno messo in dialogo due microcosmi di senso, creando una serie di relazioni poetiche e plastiche tra le opere, entrambe di matrice scultorea, entrambe portatrici di molti spunti e riflessioni.

Stand KunStart Focus Korea MinJi Kim/Alessandro Dal Pont

MinJi Kim, a blue pill, 2010, marmo, 29 x 39 x 18 cm.
Alessandro Dal Pont, Love song by Armstrongs, 2012, legno, stampa plotter su carta, dimensioni variabili.

MinJi Kim (Seul 1975) e Alessandro Dal Pont (Feltre 1972) sono marito e moglie, e vivono entrambi a Berlino. Nel dialogo instaurato tra due opere scultoree presentate, risultano subito evidenti le reciproche contaminazioni culturali, ovvero la naturale ed inevitabile influenza della cultura dell’uno sull’altra e viceversa. Vari stereotipi risultano rovesciati…dal loro accostamento scaturisce un universo semantico ricco quanto ambiguo.
Entrambe le sculture sembrano esprimere la volontà di elevarsi; entrambe sono costruite su una struttura dicotomica.

Il lavoro di MinJi, a blu pill, riflette in termini critici/clinici sulla scentratura di un certo sguardo contemporaneo, che sembra ormai incapace di attivare da solo una corretta modalità ricettiva rispetto all’opera, ai suoi valori e significati intrinseci.
“Questo marmo, come simbolo di una lunga tradizione dell’arte, difende, anche se con un aiuto artificiale, la propria posizione all’interno del recente trend dell’arte contemporanea che appare piuttosto effimero sia nella forma che nei contenuti.” (MinJi Kim).

In Love song by Armstrongs, Dal Pont accorpa due diversi punti di vista sul satellite terrestre. Quello da terra, rappresentato dalla romantica veduta notturna della luna attraverso i rami di un albero, e quello dalla luna stessa, registrato dall’obiettivo fotografico degli astronauti. I due approcci, quello letterario/artistico e quello scientifico, non sono chiaramente in contraddizione tra di loro ma piuttosto si ispirano e alimentano a vicenda. Il titolo dell’opera fa riferimento ai due grandi Armstrong del Novecento, Neil e Louis, l’astronauta e il musicista jazz, figure emblematiche di questi due differenti approcci che sembrano incontrarsi nell’opera.