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Coẑolvèr – Traversoilterritorio
Sull’architettura rurale alpina e sugli insediamenti storici dolomitici qualche nozione la possediamo, essendo che qua ci viviamo e che da sempre usiamo studiare in modo sistematico i tipi, le forme, le applicazioni costruttive dell’ingegno, le razionalizzazioni organiche, e così via.
Naturalmente, non studiamo i manufatti rustici e l’edilizia rurale e i tabià e il Block-bau e le fabbriche e i rifabbrichi perchè il Sacro Legno è il materiale da costruzione preferibile alla montagna: non è sacro, non ne è l’anima, e dunque con pari attenzione indaghiamo e sezioniamo i cementi e gli acciai della montagna, e le ghise che spuntano insieme ai funghi, ad esempio, senza generare alcuna puerile contrapposizione, che la montagna non è un ufficio della rivendicazione di naturalità custodite e tradite o di tradizioni che smiagolano nella nostalgia della petutanza nelle psicologie dei retroversi retrivi conservativi, ciechi alla capacità critica interpretativa propria del contemporaneo. Montagna per noi è invece un cantiere a trazione, dove vediamo e osserviamo e facciamo alcune cose: possibilmente quelle meno noiose, evitando di copiar passato, ben sapendolo però.
Proprio come nel caso, guardaunpò, di Edoardo Gellner, che si distinse decisamente quale progettista rinnovativo dei tipi dell’architettura di montagna, proprio grazie alla conoscenza, maturata ed affinata in decenni di accurate indagini tipologiche, della morfologia territoriale, dei tipi abitativi della tradizione, che van presi, aperti, capiti, e, per l’appunto, rinnovati, rispetto alle necessità degl’uomini, che sempre cambiano e si aggiornano, quando elli son capaci di farlo, e questo avviene di solito quando arriva qualcuno che FONDA e SPOSTA qualcosa, invece di accontentarsi di ripetere senza approfondire: un pensiero, un’idea, una forma, le specificità del contesto, l’universalità dei principi e dei sistemi …
Le case alpine di legno non sono facilmente accomodabili dentro alle categorie tipologiche strette, le classificazioni sintetiche tradiscono la varietà della declinazione del tipo. C’è gente, non poca, che passando dice: “varda che bel al Tabià”, assimilando il fienile alla casa contadina de montagna.
La casa rurale, che si associa, in diversi modi e assai vari, nell’articolazione della fabbriche, producendo le forme insediative, e la loro variegata articolazione tipologica. Etcetera.
Rispetto a ciò, ancora consigliamo E. Gellner, Architettura Rurale nelle Dolomiti Venete, Edizioni Dolomiti/Libreria Sovilla Cortina, 1987, ried. 2009, lo trovi alla Libreria Sovilla di Cortina d’Ampezzo o nei bookshop DC al Villaggio Eni di Corte e a Casso.
Visto che abbiam detto tabià, eccone qua una definizione (Enzo Croatto, Vocabolario del dialetto ladino-veneto della Vall di Zoldo (Belluno):
Tabià
m. (pl. -ài) fienile; “tabià de pianìze” fienile con laia di pianìze v.; tabià da mōnt fienile isolato in montagna (erano di solito tabiài de parèi, tabiài a kastèl cioè fatti con trāf inkastelài tipo Block-bau); tabià dópio, cioè composto, oltre che di stalla, di tabià de sót, tabià de sóra (detto anche tabià de mè) e alkēr (soffitta); an tabià al pudéa èse anka de tai paróin e oniùn l aéa la sua part, ma la èra i l’aéa in komùn(e); su le stan-ge dei tabiài i meté(v)a sekà la fava…
Queste case e tabià qui nelle foto stanno a Colcerver.
Coẑolvèr è un paese alto di Forno di Zoldo, oggi conta pochissimi abitanti, così abbiamo spazio.
Anni fa qui siamo venuti, a veder l’amore patetico di Vittorio e Gori fiorire tra le stalle, coppie di donnette ispirate da sudditanza a sospirar sui sedili della BMW di Jack, e avanti.
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Foto: Teresa De Toni