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Forni di Sopra, Marcello D’Olivo Pineland, Pagodina al Passo Mauria – Traversoilterritorio
Forni di Sopra, Marcello D’Olivo, Pineland, scheletro, poltrona, al caregon de forni (2025).
Eravamo eccomeno già belli pimpi e traenti in spinta, una sensibilità inossidabile ha sempre idratato ed unto i meccanismi di snodo delle nostre articolate manovre caratterizzandone le tenacie e ablazioni chirurgiche (critica), affilate dolci e generosissime, e allora, dal 2014 al 2016, tornavamo spesso a Forni di Sopra e imparavamo a conoscere il paese e i paraggi e dunque a ingaggiare le sue impavide genti, Timilin in testa con Lino, Gino, Donatella, Gianni, Marino, gli altri, in quelle tre estati ci portammo alcune sensate persone dall’intelletto rubinio, a Forni, a discutere dentro a Paesaggi Contemporanei, e vennero tra gli altri Marc Augé e Giannola Nonino e Pier Luigi Sacco e Antonio De Rossi e Daniela Perco e Simone Sfriso [il Presidente Fontanini ci aveva chiesto roba tipo Sgarbi e Angela, due tizi che proprio non ci potevano nè potrebbero venire, con noi, e infatti non ci vennero, dato che non li cercammo mai, quelli raffermi, mentre spiegavamo dilatando le fessure nello spazio la differenza tra (1) qualità nella ricerca, intellettuale e umana, (2) dialettica da casinò e cabaret da trogolo, (3) educatissima divulgazione sbadigliante], e si parlava come sempre di una Montagna Non Stracca che non si descrive ma si determina nel pensiero attivo, e le facevamo perlopiù in Piazza del Comune, ste chiacchiere, e mangiavamo e dormivamo al Centrale e al Tarandan, con molti amici sopraggiunti, per sentire partecipare frapporre incrinare, anche là, tra frichi sfrigolanti e grappe di loppa, si moltiplicavano le accelerazione cristalline, gli scambi rimescolanti, la circolazione dei fluidi tonificanti, gli anatemi agghiaccianti e le ironie sferzanti tra gli amori sgaloppanti per le cose giuste che rompono gli schemi infami, e così via, e già allora andavamo a fare dei boulder a Pineland, tirando tiranti tondini e gloriosi cementi esausti, performando la ruina (la ruina è una cosa nuova intatta e potenziale, in trasformazione:
non frignare dunque, maldetto nostalgico, e trasfòrmati tu pure, se lo puoi ma non puoi; una cosiddetta ruina è dunque una concreta applicazione anriromantica, che, agìta altrimenti, produce un altrove), ed è precisamente questo ciò che va fatto (performare la vecchia cosa che nuova trasforma), provati dai blocchi rugginosi prendevamo l’ombra tra le fatte fragranti dei cervi nel bosco dietro alla Parulana, al pianterra e piano primo del corpo scheletrito della grande architettura organica troppocurva di Marcello D’Olivo (maledetto il pittoraccio in lui, questa deliberata violenza sull’incolpevole espressionismo andava impedita, l’empia persecuzione di Franz Marc in banalità bucolica demotivante intendo, i progettisti con l’hobby della pittura andrebbero fustigati, tranne alcuni perpendicolarist’igienici, questo non fa eccezione, con le sue prosaiche pedanterie in silhouette, uno svergognato, torniamo dunque all’architetto che è meglio), salendo ai due piani superiori di questa carcassa di vascello sghembo affondato nel verde graminante, come una mandibola di camorzo coi denti schiari sbiancati al sole, le calcine dei laterizi dei solai a pioverci sui capi scostanti, in quelle campate aperte potremmo mettere a dimora specie preziose d’uccelli sassini, una gabbia aperta da cui far scappare per sempre gli animali pazzi o a cui carcerare gli omini estinti, sulle solette invece sdraiati nudi sulla schiena a prendere il sole, te la do io la villeggiatura incompiuta, comunque un villaggio vacanze è sempre un covo di blatte, poi tornado a casa (?)
al Passo della Mauria, ci siamo fermati un attimo a schettinare in panza su una lòža (feriòn, lùia), e l’abbiamo fatto scegliendo come sfondo una gloriosa vecchia baracca metallica di ANAS, questa assai dignitosa e ben moderata costruzione rastremata resistente che, nel suo verde acido sbiadito in fioritura di sbocco del metallo sgargiante, sembra far parte della scenografia sottomarina (lì dentro in acquario) del Nautilus, Oscar 1955 John Meehan, anche Nemo d’altronde non era che un principe ingegnere della qualità morale antagonista, ed è sempre traversoilterritorio che scoviamo e facciamo, a partire o a tornare da cantieri avanti o ndreti, le cose di costruzione in ambiente d’infrastrutturapaesaggio, e avanti.
Foto: Teresa De Toni e alcune Archivio DC