DC, mario tomè || 20 giugno 2012


questa sosta non è un orto / mario tomè / performance

palazzo crepadona, belluno, 16 giugno 2012

a cura di gianluca d’incà levis

 

la performance sospesa di mario tomè nel Cubo dura quasi tre ore. dopo aver condotto la cassa, due metri per unoecinquanta, ad alcuni metri d’altezza, pilotandola dall’interno, trazionata su la coffa sospesa, con sta t-shirt a rigoni (marinaio! per un attimo quasi bivacco nautico), trazionata su attraverso un sistema a paranco, tomè vi si è accomodato, scomparendo al suo interno, e tacendovi a lungo, bello fermo, quieto (forse).

avrebbe dovuto parlare (forse), si pensava. interagire parlando, leggendo. di montagna, del salire. invece zitto, quasi immobile nel ventre della cassa inchiodata grezza imbragata sospesa (due fettucce verdi smeraldine da tue tonnellate, un golfaro da 5KN, piastra distributrice e diversi aggeggi distributivi e bloccanti e ascensori e discensori), zitto e fermo, a lungo.

e sotto, diverse reazioni, atteggiamenti, modalità d’attesa, aspettative e frustrazioni e agi e spazientimenti, nella pubblica arena (alcuni giudicanti stanti: sveglia gente, sveglia).

ad un certo punto, una rada pioggia: tomè lascia cadere una serie di bigliettini, sui quali ha scritto alcune parole. non sta dormendo quindi, sta lavorando. alcune persone raccolgono i bigliettini, li leggono, scambiano (alcune persone scambiano qualcosa; altre scambiano sguardi circospetti, due si offendono per la procedura inusuale, cercano un suggeritore a ferssura). tomè scrive dall’interno della cassa, e disegna, da sotto invisibile. scendono alcuni piccoli acquerelli, con i profili di montagne e costoni e creste e diedri, o situazioni specifiche di roccia ed ambiente. le parole descrivono alcuni frangenti particolari, o scenari, spesso problematici, che si incontrano salendo, scalando, o temi, o aree o campiture fisichementali (alcune delle brevi frasi, in stampatello: ESCURSIONI NATURALISTICHE; CHIODI A PRESSIONE PER SICUREZZA; ROCCIA MARCIA; GOLA BLOCCATA; RIPIDISSIMA FRANA). le persone nel Cubo reagiscono in vari modi. alcuni corrono ad accaparrarsi foglietti e disegni, e metton via, voraci concupiscenti, le tracce griffate d’artista. uno pare un collezionista sceso adesso da basilea, ghiotto, ne intasca dieci. altri, meno possessivi, leggono, e poi rimettono a terra, a disposizione. c’è chi vorrebbe rubare, e chi ruba, e chi si lamenta della lentezza della performance. chi si siede a terra, guarda/pensa/beve il prosecco, e chi sta in piedi ritto, ad aspettare qualcosa. chi sa cosa fare. chi non sa cosa cazzo fare, come e cosa guardare; la performance infatti, in generale, che cos’è? è una proposta di ritemporalizzazione, libera, non un esame attitudinale o uno spettacolo a gettone, cristoillorodio. cosa c’è mai da attendere, messianicamente? un esito? una conclusione? un’affermazione? a qualcuno sorge imbarazzo, invece d’un flusso personale, perchè NON SI SA LA FINE, e per alcuni non sapere la fine è una paura (gli ancestri anticontemporanei). e invece nessun plot. non c’è nessun petardo da esplodere. mica uno spettacolo: una performance sospesa. forse tomè si addormenta per 10 minuti, e questo è bene. a un certo punto, intuiamo, col piede urta una bottiglia d’acqua sul fondo della cassa: un esile rivo irrora la moquette del Cubo, l’arco composto cattura un poca di polvere sospesa nell’aria.

il tempo è fluido, nello spazio del Cubo. paolo, che ne ha già bevuti diversi, inizia a diventar molesto. non avendo una bottiglia da far cadere, vuole lanciare un bicchiere su, al performer poco sintomatico (paolo sta facendo il video: vuole più azione). gli spiego che lui non è un iconoclasta, bensì un rivoluzionario, e che come tale non lancerà un bicchiere vuoto, ma un messaggio (da una bottiglia), perchè ogni rivoluzionario ha un messaggio da comunicare, e la performance è interattiva. allora paolo scrive, appallottola, lancia su il suo messaggio su carta. e chissà che diavolo c’era scritto, nel messaggio di paolo. lo sa tomè. tomè lo sa.

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