10 agosto 2011

signore onde sonore selezioni musicali di Guido Beretta sabato 13 agosto 2011 dalle ore 18.30 playlist >Joy Division The Cure The Smiths This Mortal Coil The Cult Wall of Voodoo Tears for Fears The Church R.E.M. The Psychedelic Furs Devo And also the Trees Durutti Column Sad Lovers & Giants Wolfgang Press The Clash Tuxedomoon The Dance Society Suicide Wire Echo & The Bunnymen Bauhaus Can Talking Heads Japan New Order Siouxsie & The Banshees Sex Pistols Simple Minds Julian Cope The Stranglers Cocteau Twins Dead Can Dance The Sisters Of Mercy Depeche Mode New Model Army Sound A
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Sabato 30 luglio ha inaugurato Dolomiti Contemporanee, dando forma al concept di questo progetto, e incarnandolo nei nuovi spazi di Sass Muss. Questo luogo è un centro. Un centro, o un distretto, o un dispositivo. Inaugurate le prime tre mostre DC, a cura di Bruciati, D’Incà Levis, Zanchetta. Nell’arco della giornata, sono passate più di 1.500 persone. Per la prima volta dopo trent’anni, questi spazi sono stati mossi, con l’arte contemporanea. Intervenute autorità, patrocinatori, sponsor, molto pubblico. Persone non addette ai lavori, incuriosite da un’operazione nuova, da una visione, annusavano l’aria e alzavano la testa e guardavano gli edifici
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26 luglio 2011

sabato 30 luglio ore 18:30 apertura del nuovo complesso espositivo di sass muss lancio del progetto dolomiti contemporanee inaugurazione delle prime tre mostre, a cura di andrea bruciati, gianluca d’incà levis, alberto
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27 giugno 2011

il bunker. una piccola costruzione geometrica di cemento a due vani nell’area scoperta tra l’edificio pavione e l’edificio sass de
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dc e carrozzeria margot insieme ad artissima

in occasione di artissima lido, dolomiti contemporanee e la collezione di carrozzeria margot daranno notizia dell’avvio di una collaborazione che porterà alla prima produzione co-mmissionata dell’opera Il mio mezzo spazio di jonathan vivacqua già parte della collezione. la vetrina DC/CM, e farà parte della produzione A SHOP IS A SHOP IS A SHOP IS A SHOP di hanna hildebrand, e sarà allestita all’interno della casa della tuta, galleria umberto I, torino. la costruzione (del pensiero e della sensazione) dello spazio intero non è certo un’afflato cosmico, nè nostalgia romantica d’anima mundi, nè credenza d’integralismo organico, o reminiscenza sublimante (non è come caspar wolf che guardiamo qui alla roccia), o la mitizzazione o venerazione di certi cosiddetti maghi (o glabri o barbuti anacronistici stregoni montani, che si son cotti ormai tutti, marinati, è evidente, nel brodo grasso della storicizzazione autologa, l’ennesimo crepuscolo dei mezzi idoli -idoli stinti, profeti esiziali) a far dire qui che nello spazio (fisico e mentale) del salire, che non è libero né lieto, soprattutto all’inizio, ma necessario, per chi sa farlo, il mezzo spazio possa/debba aprire confluire sfociare nello spazio aperto, che non coincide affatto con un infinito universo beatamente libero e placidamente indifferenziato (un prato di cielo), in estasi o penia (nella gioia o nel vuoto), ma nemmeno in un elemento suddivisibile o partizionabile; lo spazio è aperto in quanto mobileplastico, come l’azione, libera e vincolata, dell’uomo che sale, verso l’alto, per la roccia, nell’aria; tracciando linee individuando percorsi modellando lo spazio ed imprimendo la propria forma nella roccia, sé stesso a plasmarsi nella roccia, improntandosi, e prendendo simultaneamente la roccia in sé (il doppio stampo), nelle scariche come negli attimi immobili; dunque salire come azione deliberata e diretta, scontro/incontro, durezza e naturalità, la decisione e la sensazione (intelletto che sente, a spazzar via l’idea triviale del festino endocrino) di un itinerario nuovo, la via che è una strada pulita, sgombra, limpida, nuda, difficile, da cercare fluendovi, che trapassa, s’instilla, cattura, separa da tutto il resto -la presa delle prese- lima via l’inessenziale, lima via, se la li lascia entrare, ogni altra modalità dell’esistere, dell’essere, ogni frattura, ogni frammento; un’altra realtà colta nel flusso del suo mutamento (le pensée et le mouvant); e una struttura dunque, da pensare, progettare, fare, che sta già in nuce nella guglia greca bianca di marmo, candido modello, con un crinale di cresta e il doppio liscio apicco angolare (due nord) e, infissa, la prima presa-scultura geometrica (la presa non è un’istantanea, non la si vede quando le si giunge davanti; vi si passa -d’intuito- per accuratezze cinestesiche, senza tichismi), primo buco, primo segno per un moto, l’inizio della progressione verticale (axiologica) della radice-corallo, ridisegna lo spazio il nuovo organismo e lo popola quindi di brulichio vitale; e l’ambiente, in sé, non è responsabile di alcuna induzione; si progetta (proietta), grazie ad un sacrosanto artificio, un rapporto nuovo, di senso, un’addizione significante, non l’integrazione automatica (naturale) ad un contesto dato; e infatti a sass muss non c’era un bel niente, di dato, da cui indurre alcunchè; solo la determinazione di un nuovo fare eversivo; ed ecco allora un altro viaggio dell’aguglia migrante, per iniziare la prepararazione che sarà poi di questo corallo-radice, che è una struttura insieme organica e artificiale, che sale al cielo per i suoi bracci larghi di croda mgca(co3)2 e acciai, sale al cielo come un’altra scogliera decisamente corrugata, che vien fuori e su dal terreno, ed è scultura, ma la si popola ed agisce, e ridisegna lo spazio, ed è un connettivo, porta la linfa e riferisce e parla, una colonia poetica ramificata, di e da quei massicci lì attorno parla, delle cime a cui si giunge traverso questo processo del salire che esclude i pigri, pesanti/leggeri, per queste vie stesse, qui concentrate ed accorpate, eccole, in questo gran ragno sospeso, sospeso, che non è totem nè salmo nè feudo, ma scala, e ponte. le vie. gianluca d’incà levis