26 dicembre 2011

con questo giuoco intendiamo dire che: dato che il tendere (infinito) della volontà non è in alcun modo soddisfacibile, essendo ogni evento troppo esiguo per racchiuderla, ogni evento essendo fenomeno, ed ecco infatti che ogni raggiungimento ogni aspirazione ogni CIMA svaniscono solo un attimo dopo la loro presunta conquista, e come non c’è alcun motivo, NON C’E’ ALCUN INIZIO, alla volontà (infatti schopenhauer non ha saputo concepire alcun big-bang), volontà che, come, pur senza desiderarlo, sa bene ogni osservatore lucido e sano di mente, porta inevitabilmente alla GUERRA (saper che c’è, che è inevitabile, non significa anelarvi), allo stesso
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that dc nigger

il tono nella dedica, dedica tonante (come il cannone del negro).
ecco dunque, finiti i fiaccanti caroselli del 31/1, anedonizzanti, salve a vuoto perlopiù, d’auguri, contrauguri, antiauguri (quelli che si rifiutano, e lo decretano -come se a qualcuno interessasse questo loro punto di vista, che forse, chissà, essi han l’ardire ciondolante di un giudizio financo critico? -di far gli auguri, più numerosi del solito quest’anno: alcuni, stucchevoli e banali più degli altri, mai stanchi della propria voce-ritmo-di-zoccolo, come sempre, a ribadirlo alle greggi del proprio mutile pubblico), ora di nuovo buoni i cieli carichi e sgombri, d’aria pulita e nuove fulische, e dunque nel raptus di questo negro che spara’lpupazzo (sempre si spara a pupazzi e pupazzetti) consiste la veloce (?) dedica che scocchiamo, alle persone per bene, che son quelle, buone o cattive (inclini al moto), ed in ciò quindi platonicamente belle, e mai invece a quelle chiuse, che inorbite in coffa (altrochè vetta) al tristo orticello proprio (privi di fotosistemi di sorta, non sanno assorbire e trasmettere, figuriamoci emettere, luce ed energia), propugnano, senza alcun tono nè mezzo artistico, la virtù dell’inerzia che li nutre (quella mangiano); il negro, questo negro, perchè di certo esso è in linea, e consonanza stilistica, con alcuni toni nostri giocosi e beffardi (le ricreazioni), in quest’ambiente a lui alieno, contrario colore (nero su bianco), nel quale è posto, che val la pena sempre di porsi sensatamente in contesti alieni (con la pistola spianata anche, e la guerra-per-amore -la sua è la croce della guerra-per-amore, non vendetta, ma necessità), contesti sovente predati dai retori, per smuoverli infine, e qui il negro spara, e questo sparo non è un fuoco d’artifizio, del genere di quelli che incendiano michil costa, che avrà pur le sue pacifiche ragioni (millesimate), questo è un botto di sparo che scioglie le orbite e allena l’amore e la sua difesa e giustizia, non è, quindi, messinscena, spettacolo, pagliacceria, ma impulso guerriero del cuore, che riprendiamo, per l’ironica/iconica forma della scena appunto aliena (ma và; ricordiamo comunque, tra le consonanze, che django è proprietà dei fratelli speck, un negro forte nella dignità d’incespico, nella neve e ciaspe, sul fondo le cime -cameo dc), in cui quest’istanza igienica è accolta, e riflessa, nella libertà, insomma, dello spirito, che è antieditoriale; ai bracconieri invece, dello spirito, sabotatori, figuranti, autopiazzisti, stagliati indebiti, che posson profilarsi in virtù di quell’editorismo triviale, e della carenza di funzioni critiche (la ragione, e l’intuito, non son distribuiti democraticamente, pochi cercano, non è l’oro a mancare, ma i setacci, e se manca quella funzione, che non è contraccettiva, può ingrassar la finzione, che non è mai, videntemente, propulsiva), a loro -a lui (fàttone ora un feticcio, incarnatone il senso nell’uno, ad effige, ecco il pupazzo che già era) dedichiamo invece il testo (un po’ come il cannone del negro), della violenta scomunica a spinoza, non certo per proporre in tal modo un parallelo tra il pupazzo e l’atleta (l’uno mendace e schiavo, l’altro campione dell’assoluta necessità della libertà), ma per usar, ancorqui in alienazione di contesto, la forza inusitata di quest’immagine, e dunquecon il giudizio degli angeli e la sentenza dei santi, noi lo dichiariamo scomunicato, esecrato, maledetto ed espulso, con l’assenso di tutta la sacra comunità [...]. Sia maledetto di giorno e maledetto di notte; sia maledetto quando si corica e maledetto quando si alza; maledetto nell’uscire e maledetto nell’entrare. Possa il Signore mai piú perdonarlo; possano l’ira e la collera del Signore ardere, d’ora innanzi, quest’uomo, far pesare su di lui tutte le maledizioni scritte nel Libro della Legge, e cancellare il suo nome dal cielo; possa il Signore [...] opprimerlo con tutte le maledizioni del cielo [...]. Siete tutti ammoniti, che d’ora innanzi nessuno deve parlare con lui a voce, né comunicare con lui per iscritto; che nessuno deve prestargli servizio, né dormire sotto il suo stesso tetto, nessuno avvicinarsi a lui oltre i quattro cubiti, e nessuno leggere alcunché dettato da lui o scritto di suo pugno”.

ma tanto, scrivere non sanno, i pupazzi, e tutti quelli che possono saper lo sanno, anche giù dal cielo.