10 agosto 2015

 Ci è sempre successo, sempre ci succederà, abituati siamo già (lo sappiamo), mai ci abitueremo (non lo accettiamo). Per quanti uomini buoni e capaci si mettano insieme, in interi mucchi policromi dai riflessi accecanti (fantescenze, fantescenze naturali), il grigio cretino non lo si debella. Uno dei motivi per cui si agisce bene, ed uno del metodi di contrasto attraverso cui si può rilevare la differenza stessa tra bene e male, è appunto la presenza dei cretini. I cretini sono degli indicatori indiretti di intelligenza: l’intelligenza brilla di per sé stessa, e poi anche nel confronto con la cretineria. Questo chiaroscuro, è
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30 marzo 2015

Sapere, costruire vs. ignorare, distruggere A luglio 2014, è stato attivato un progetto di valorizzazione culturale e rigenerazione sull’ex Villaggio Eni di Borca di Cadore (Corte di Cadore): si tratta di Progettoborca. Il progetto è stato ideato, e viene sviluppato, da DC Dolomiti Contemporanee. Dolomiti Contemporanee è un progetto nato nel 2011, noto a livello nazionale, sostenuto da centinaia di partner, pubblici, privati, culturali, che si occupa di ripensare e rilanciare grandi, straordinari siti, all’interno della regione delle Dolomiti Unesco, rivalutandone il potenziale. Progettoborca è una piattaforma articolata e complessa, che opera a diversi livelli,
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15 novembre 2014

tunnel city – diciamo, per una polisemia della trasformazione dello spazio, dato che il tunnel non è una mappa: l’unica mappa possibile è un processo, inevitabilmente neurale, per fare lo spazio, e non per descriverlo /chi descrive, non fa, non è/. lo spazio è sempre un vuoto, siderale, come tale una conca.lo spazio è solo attivo, non esiste spazio passivo: altrimenti si tratterà al massimo di un luogo/stanza/cubicolo. lo spazio può esser solo acceso, ricerca di potenza /del potenziale/.è il rifiuto dello stato di fatto, dell’incapacità di generare grappoli e concatenamenti, dell’inerzia contemplativa, dell’assenza d’urgenze
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25 luglio 2014

Alcuni mesi fa, mentre cominciavamo a lavorare al Concorso Artistico Internazionale Two calls for Vajont, ora in pieno svolgimento, le nostre idee erano già ben chiare. L’intenzione non era semplicemente quella di realizzare un’opera d’arte, per imporne la presenza sulla Diga del Vajont. Il Concorso non è un’iniziativa. E’ un elemento, parte di un processo generale, e coerente con esso. Questo processo è Dolomiti Contemporanee. Potremmo definire Dolomiti Contemporanee un progetto, o modello, ed anche uno sguardo critico sul paesaggio, un’azione di ripensamento, rivalutazione, del contesto. Ripensamento culturale o funzionale, per
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3 luglio 2014

l Venerdì 27 febbraio si è svolto presso il Nuovo Spazio di Casso l’incontro-conferenza dal titolo Cultura: un motore per la montagna, curato da Dolomiti Contemporanee.Un centinaio le persone giunte a Casso per l’occasione: non un pubblico generico, e invece un pubblico attento; un pubblico attivo. Lo Spazio di Casso è un Centro per la Cultura Contemporanea dalla Montagna, avviato nel 2012 (e chissà se riusciranno a farcelo tenere aperto), nel quale si lavora per costruire delle immagini critiche del territorio, del  paesaggio, delle prassi di senso che l’uomo vi attiva. Non si arriva per caso in questo luogo,
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15 gennaio 2014

decreto valore cultura e caserme agli artisti una buona idea? un’idea che si concretizzerà? un’idea che, se si concretizzasse, avrebbe effettivamente la possibilità di funzionare, contribuendo a riprendere, convertire, valorizzare risorse e volumi inutilizzati?e sarebbe possibile far ciò, al di là della possibilità di occupazione di detti spazi attraverso iniziative artistiche estemporanee, magari anche pregevoli, o forse, immaginiamo, in molti casi, solamente generose?sarà mai possibile che un simile provvedimento venga abbracciato, concretamente, con intelligenza collaborativa da parte di tutti quei soggetti, in particolar modo amministrativi, e degli enti
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31 dicembre 2013

il tono nella dedica, dedica tonante (come il cannone del negro).ecco dunque, finiti i fiaccanti caroselli del 31/1, anedonizzanti, salve a vuoto perlopiù, d’auguri, contrauguri, antiauguri (quelli che si rifiutano, e lo decretano -come se a qualcuno interessasse questo loro punto di vista, che forse, chissà, essi han l’ardire ciondolante di un giudizio financo critico? -di far gli auguri, più numerosi del solito quest’anno: alcuni, stucchevoli e banali più degli altri, mai stanchi della propria voce-ritmo-di-zoccolo, come sempre, a ribadirlo alle greggi del proprio mutile pubblico), ora di nuovo buoni i cieli carichi e sgombri, d’aria pulita
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14 agosto 2013

Dolomiti Contemporanee e Fondazione Dolomiti Unesco: una riflessione sugli elementi teorici e pratici di una compatibilità.   [...] Tra i numerosi soggetti, pubblici e privati, che sostengono Dolomiti Contemporanee, vi è la Fondazione Dolomiti Unesco, che lo patrocina sin dalla sua nascita, nel 2011. Riteniamo sia importante chiarire la compatibilità tra la funzione di questa importante struttura che a partire del 2009 governa, protegge e opera a favorire la conoscenza delle Dolomiti-Unesco, e un progetto d’arte contemporanea che lavora, per una precisa scelta culturale, in questo stesso teatro (per alcune di queste considerazioni generali, rinviamo anche
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17 luglio 2013

Idea e difesa di un progetto culturale che rifiuta il principio d’inerzia.Con Giambattista Tiepolo (Immagine). La Nobiltà e la Virtù vincono l’Ignoranza. 1744/45 – 2012/…dc giungendo a casso, a riaprire lo spazio (anche in senso generale, diciamo filosofico), diverse cose sono accadute. un luogo difficile, certo. ora c’è questo cantiere in atto. culturale, prima ancora che artistico. d’architettura culturale (scheletro portante). un’istanza di rilancio e apertura. un esperimento, anche umano, sociale, antropologico. da cui, molte condivisioni. alcuni scetticismi (diversi dei quali già caduti, altri no). molte ulteriori
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20 aprile 2013

quale professionista incaricato del rilancio e della gestione dell’Ex Scuola elementare di Casso da parte dell’Amministrazione comunale di Erto e Casso, replico alla letteruzza del consigliere comunale Filippin, visibile nell’immagine. La presente replica è agli atti. Codesto consigliere comunale, dimostra in poche righe di non saper di cosa parla, come si evince facilmente dalla seguente confutazione. Innanzitutto una notazione logica sul concetto di Interrogazione: si interroga nel caso si desideri effettivamente conoscere: la condizione necessaria è che ci sia qualcosa di presumibilmente ignoto da conoscere. Se invece, per moventi personali, si
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le accuratezze dello spirito e il pubblico indifferenziato: cultura o mercato?

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Venerdì 27 febbraio si è svolto presso il Nuovo Spazio di Casso l’incontro-conferenza dal titolo Cultura: un motore per la montagna, curato da Dolomiti Contemporanee.
Un centinaio le persone giunte a Casso per l’occasione: non un pubblico generico, e invece un pubblico attento; un pubblico attivo.
Lo Spazio di Casso è un Centro per la Cultura Contemporanea dalla Montagna, avviato nel 2012 (e chissà se riusciranno a farcelo tenere aperto), nel quale si lavora per costruire delle immagini critiche del territorio, del  paesaggio, delle prassi di senso che l’uomo vi attiva.

Non si arriva per caso in questo luogo, non vi si inciampa: ci si viene apposta, bisogna essere determinati a raggiungerlo.
Solo un pubblico non indifferenziato può giungervi dunque: per capire cosa intendiamo con questa espressione, vi invitiamo a leggere la seconda parte di questo testo.

L’incontro di venerdì ha avuto a tema il caso di Dolomiti Contemporanee a Casso, l’esperienza e il futuro di questo Spazio nuovo. Ma, più, in generale, gli ospiti relatori si sono confrontati, ognuno dalla propria specifica prospettiva, sul valore e sul significato della cultura, di una cultura innovativa, rispetto al territorio.
La conferenza è durata tre ore.
Tra i temi affrontati: cultura, territorio, montagna; il Concorso Artistico Internazionale Two Calls for Vajont; l’attività svolta dal 2012 ad oggi da Dolomiti Contemporanee a Casso, e le prospettive future; socialità e socializzazione dei processi avviati; impresa culturale e impresa economica; modelli di sviluppo nella valorizzazione del territorio e delle risorse, e nella proposta e fruizione turistica dello stesso; sistemi di valorizzazione del potenziale delle Dolomiti-Unesco; arte e creatività, come generatori di nuovi spazi ed opportunità; progetto culturale, impresa culturale, rigenerazione e rebranding; pericolosità delle pratiche omologanti, necessità di strategie e prassi innovative; necessità di integrazione tra le azioni, nel quadro di una governance ragionata del territorio; necessità delle reti partecipate; rapporto tra tradizione e innovazione, due concetti che coincidono: ogni tradizione è il deposito di un’innovazione “rivoluzionaria”, che ha saputo generare qualità e profitto per il territorio, aggiornandone la cultura; memoria e prospettiva; memoria rigenerata e memoria paralizzante; antropologia dei luoghi; funzionalità delle prassi rigeneratrici, superfluità dell’arte come paramento.

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Ecco dunque cosa intendiamo per pubblico indifferenziato.
Il pubblico indifferenziato è una opaca massa atrofica: esso non è composto da singoli individui, dotati di una coscienza critica personale: esso fa astrazione delle capacità particolari, che vengono escluse (non sono gli atomi a fare il composto). I moti a cui risponde un tale gruppo, omogeneo, sono di carattere massivo: come allo stadio le individualità si fondono in una massa superpersonale, anche all’interno dell’indistinto gruppo costituito da un alto numero di soggetti disposti a lasciarsi condizionare dalle tecniche della comunicazione commerciale del mercato pseudo-culturale, si assiste al riassorbimento delle soggettività nel corpo comune del gruppo-massa condizionato, all’azzeramento della responsabilità di valutazione e giudizio personale dei contenuti o dei prodotti culturali proposti (o imposti).
Tale condizionamento risulta possibile proprio perchè l’assenza di attenzione critica in soggetti che non han tempo né attitudine per sorvegliare sé stessi e per misurare la qualità delle proposte, apre spazi, vasti e caotici e debilitanti, ai venditori-condizionatori dei prodotti apparentemente culturali, che sono invece prodotti essenzialmente anticulturali, e addirittura decisamente pericolosi rispetto alla formazione di una coscienza culturale e alla valorizzazione del patrimonio d’idee e d’opere prodotti dall’uomo all’interno della società e della cultura, nell’alveo della storia (storia in azione).
In realtà, l’idea stessa di pubblico porta in sé quest’idea di indifferenziazione del giudizio da parte del gruppo amorfo, e, quindi, della prevalenza del numero sull’individuo, della quantità sulla qualità, della fruizione passiva sull’elaborazione consapevole, della spettatorialità sulla partecipazione attiva, e via dicendo.
La cultura non ha un pubblico: essa si rivolge alle singole coscienze, non ai segmenti di mercato, ed ha il potere di creare e accrescere legami, attenzioni ed attrazioni, sulle persone attente, e non suggestioni, fascinazioni e stupefazioni, nelle persone distratte e disposte a subire profondamente le influenze superficiali.
(queste persone in genere usano le crocs: amorfe dalla testa ai piedi).
La cultura non esiste senza la partecipazione personale e la presa di posizione intellettuale del singolo, che è sempre determinato ed attento a cercare, e solo per tale motivo trova, nella rielaborazione, che comporta uno sforzo, che non esiste senza un’ardente motivazione.
Viceversa, chi trova tutto facilmente, in realtà nulla trova e trattiene in sé, con il risultato della mancata assimilazione di ogni traccia di contenuto culturale.

Il pubblico/massa è dunque un organismo composto da cellule culturalmente pigre.
Facciamo un esempio idiota e banale, banalizzando noi stessi, così che non si abbia a dire che, presuntuosi, ci eleviamo da noi stessi al di sora di una tal soglia: ci sono persone -molte- che, qualche volta, persino amano l’arte; qualche volta  -diciamo quando non c’è una partita di calcio o un reality alla televisione-  trovano (si fa per dire, dato che non cercano) una domenica libera per andare, persino, al museo.
A vedere una buona mostra? No. A vedere la più pubblicizzata. Vanno al cinema. Vanno al multisala, per il blockbuster dell’anno.
Il pubblico indifferenziato si accende a fatica, e solo se gli si propone uno stimolo gastronomico: màngiati l’arte; abbùffati d’arte (magari una o due volte l’anno).
La bulimia quantitativa, in qualche modo, combatte l’assenza di spirito critico, di voracità conoscitiva: ecco la pigrizia dello spirito.
Evidentemente non è una fame quella: è uno stimolo prodotto artificialmente, attraverso la preparazione di piatti e ricette (ricettazione) a bassissimo valore nutritivo, ma ad altissima potenzialità trattiva, di superficie.
Se, nel cast di un film, si trovano dieci attori superstar, il film sarà inevitabilmente pessimo, e la massa (non i singoli), affascinata e succube, andrà, quasi sicuramente, a consumare questo prodotto.
Un tale film viene  costruito per vendere, non certo per edificare.
Nel frattempo, nel piccolo cinema del paese, la rassegna su Tarkowskij accoglierà poche persone, che staranno sensatamente al freddo, su poltrone magari scomode (e staran bene, a vedere qualcosa che hanno cercato loro, e che non li ha scovati: gli spettacoli della cultura di massa sono battute di caccia: la caccia grossa al pubblico grosso).

L’uomo che vuole la cultura, e l’arte, le vuole sempre, nemmeno può non volerle, perchè ha in sé un’assonanza, un’eco, che lo inducono a cercare. L’uomo capace di stupefazione, è il bambino-artista-filosofo: non è possibile interrogarsi una volta al mese sul significato delle cose, dell’essere: c’è chi si interroga, e chi non si interroga.
Facendo gli aristocratici (compensiamo con questo manicheismo la banalità popolare di prima): c’è chi ha lo spirito, e chi non l’ha (io non vado in crocs).
Spesso, chi non si interroga và a vedere le mostre, i prodotti-mostra, le mostre-cinema, le pessime mostre.
E, facendo ciò, costui confina l’arte all’interno di alcuni lazzaretti (Musei), dove essa è agilmente controllabile: così, si può esser certi di non trovarsi in imbarazzo, imbattendovisi inaspettatamente, trovandola fuori (dove non la si saprebbe comunque scovare).
Ma, l’arte, è sempre e solo fuori (un fuori che entra, insieme ad un dentro che esce: il loro incontro).
Chi non si interroga, non cerca, e aspetta una mostra stupefacente, per stupefare finalmente sé stesso, per un istante appena.
Mentre il thauma è interiore. Da questo punto di vista, non esiste alcuno spettacolo possibile. E nessun pubblico ammissibile, come categoria irresponsabilmente massiva e generica, e condizionabile traverso i poteri (dell’immagine pure, delle mesmerizzazioni commerciali). Ma, solo, l’urgenza della domanda, e quella della condivisione dello stimolo
E invece, la capacità di stupefazione non è intrinseca, nel pubblico indifferenziato, che è passivo, e per questo motivo può essere comodamente condotto a fruire (sciabattando) di qualsiasi spettacolo, anche pessimo, anche perfido.
La passività dello spettatore, del visitatore, è un virus d’inerzia, un prolungamento dell’accidia, che si prende la pausa d’un attimo, per rifiorire poi, più gonfia, più sterile di prima.

Il pubblico indifferenziato và a vedere le mostre nei grandi palazzi storici, come ad esempio la basilica palladiana di vicenza, culle d’arte e civiltà, diabolicamente trasformati nei nuovi-antichi centri commerciali dell’arte gestita come un allevamento, tramite l’ammassamento casuale di feticci artistici, di oggetti comunicanti, ovvero delle opere stesse posterizzate, trasformate in merce, l’aura culturale loro trasformata in aura mediatica,  al servizio di un concetto di arte strumento del marketing consumistico, invece che di espressione formativa di cultura. Il pubblico indifferenziato è uno strumento del profitto di alcune imprese private e dei traffici mercantili, che utilizzano l’arte come nuova merce dal forte potenziale attrattivo, non per il valore qualitativo delle opere in sé, ma per il valore quantitativo delle opere-in-branco, che conquistano e affascinano il pubblico trascurato e belante grazie alla enormità centrifuga della potenza dispiegata, alla sarabanda delle mille luci, all’orgia oscena e formidabile, del tutto priva di concetto e di cura, che è lo spettacolo dell’arte venduta, e dunque lo spettacolo deprimente dell’arte svenduta, sfruttata, accozzata, ridicolizzata, nella pornografia assoluta della copula forzata tra i protagonisti artistici dei secoli e dei millenni, imprigionati in una cattività collettiva che stupra ed offende le personalità eccezionali d’ognuno (personalità che eran sorte per e nella differenza, che è il contrario dell’omologazione), e che nulla ha a che fare con un concetto critico e responsabile di curatela, di ricerca intellettuale, di ragionamento culturale, ma, piuttosto, ce l’ha con i vagoni merci, con i paesaggi reificati, con le coltivazioni intensive, con il trasporto animali (ma qui forse stiamo tornando a parlar del pubblico…).
potremmo dire: opere al macello, per un pubblico animale: e quindi, perfino: antropofagia culturale.
Il pubblico indifferenziato non è del tutto colpevole della propria sensibilità critica insufficiente: le mostre indifferenzianti sono colpevoli di non formare, istruire, proporre, alcuna misura critica, alcuna cultura, e, invece, di impedirla, di toglierne. Esse, traverso la superficiale ipnagogia psichedelica degli affastellamenti casuali, colpiscono, invece di istruire (l’urto, invece dell’onda), ed in ciò sono nefaste.
Le cattive mostre non sono solo brutte o ridicole o paradossali o triviali: sono pericolose e dannose, perniciose.
Il criterio generativo che le informa (di cura)?
Simile o uguale a quello del generatore automatico di titoli di mostre di goldin, che riproponiamo qui, per chi è riuscito a salvarsi dal rinvio a quell’altro post, insieme a quest’altro articolo, che potrà anch’esso forse far riflettere, qualcuno.
naturalmente, quel sisma che abbiamo avvertito l’altro dì, ha un’origine chiara: sono i gran maestri del passato, artisti e faraoni, che si rotolano nelle tombe, insieme a palladio, dopo aver saputo d’esser stati accozzati in un simile selvaggio modo, tutti insieme stipati nel carro, di carnevale o pel mercato bovino, mentre il nano da giardino ci guarda. e ride. da dietro (acculatezze).

gianluca d’incà levis