Tavola delle Foreste e delle Acque

La Grande Tavola delle Foreste e delle Acque” (in progress, 2023/2024)

Quando abbiamo iniziato a pensare alla mostra collettiva Neoformazioni forstetiche, che sta all’interno dell’apparato polimorfo di ricerca di Delle Foreste e delle Acque (si tratta del blocco di mostre realizzate al Nuovo Spazio di Casso per l’estate/inverno 2023), abbiamo deciso di proporre ad un certo numero di giovani pittori ‘cellenti, di lavorare insieme ad un’impresa collettiva, un gran quadro a fluire, liquido, che potesse ospitare talune fusioni e fissioni e processi e concrezioni, per generare un intero multiplo cumulante mobile cangiante fatto di tagli crudi scelti di parti aggregate lacciate cotte.

La Tavola delle Foreste e della Acque è una grande tela (369×247 cm), allestita da Ariele Bacchetti e Nicola Facchini al secondo livello del Nuovo Spazio di Casso, sulla parete di fondo, nell’estate del 2023.
In questa tavola, portassero gli artisti le proprie forme dello spirito del cervello, facendole colloquiare con quelle degli altri, in un’opera aperta, che è un testo (ogni buona forma è parola; ogni buona parola è una forma giusta) nella quale i temi e gli stili d’ognuno avessero ad inseguirsi e compendiarsi, definirsi e integrarsi, lontanarsi e pulsare pei cieli frattati distesi, imbricarsi.
Al principio, abbiamo utilizzato una bellissima e piuttosto schematica tavola bretoniana, all’interno della quale alcuni importanti autori di quel tempo dei sogni e delle macchine dei sogni avevano dialogato e si erano incontrati. loro avevano la rive gauche e Place du Tertre, noi la teresa e la luigina. In quel caso, l’esito non fu organico: gli interventi si giustapponevano in modo piuttosto isolato ed icastico, in rassegna scolastica, uno accanto all’altro, un’adunata, l’abaco tipologico, quasi n’albo nuziale, senza integrarsi organicamente.

Qui una parte delle prima proposta/comunicazione d’ingaggio per Casso, inizi di giugno:

… con ariele, che ringrazio come sempre della sua presenza propulsiva e aggregativa, abbiamo pensato di proporre a voi un’interazione particulare.
al secondo piano, sulla parete di fondo (due anni fa c’era quel gran quadro di thomas braida con le vacche che vedete sul fondo: è quella la parete opzionata), vorremmo realizzare una sorta di tavola delle foreste e delle acque, organizzata un pò, in qualche modo e forse, come la tavola bretoniana che trovate in allegato (tra gli altri vi riconoscete ernst, masson, altri).
voi sareste dunque gli artisti prescelti, per lavorare a più mani (ma in giustapposizone, più che in sovrapposizione, ma poi vedremo per bene, che le cose sviluppano spesso a cascata e voler prevedere ogni cosa è fatuo vincolamento), a questa tavola a muro.
realizzeremo un telaio di circa 380×200 cm.
l’oggetto è concepito, potremmo dire, come una tavola d’atlante, quasi tassononica, nella forma; la giustapposizione, quasi scolastica? degli interventi pittorici o dei disegni, porta questo ordine classificatorio, che è anche un’ironia, l’uno accanto all’altro, ma separati, e così via.
i temi pinti (o scritti: qualcuno, che avrà qualcosa da scrivere, potrà riportarvi un testo) avranno a che fare coi tema di mostra, le foreste e le acque, la neoformazioni forestetiche). ma ne suggeriremo altri, che hanno a che fare con ricerche dc in corso, compatibili naturalmente, ed altri li suggerirete voi, focalizzando, pensando, agendo…


bretoniana (tavola zero)

come si fa?
dato che vi invitiamo adesso, e la mostra è tra un mese, non tutti potranno accettare, rispetto alla data del 5 agosto.
chi non può adesso, è comunque invitato quassù: a salire quando vuole, per vedere e per fare.
a casso abbiamo una residenza, nella canonica.
la mostra starà su a lungo (in apertura al pubblico fino a ottobre compreso; poi su prenotazione).
la gran tavola non viene completata entro l’opening, ma più tardi, questo è centrale.
entro il 5 agosto, servono almeno 6/7 interventi, gli altri verranno dopo.
quindi, se rispondete in un numero congruo, funzionerà così: ci si avvicenda, e si tiene la tavola aperta ed in formazione per due mesi almeno o più.
inaugurare una mostra con un’opera rilevante non finita? o è disordine, o è una scelta. la scelta è quella di mostrare una processulità in atto, qui siamo in un cantiere, non tanto in un sito espositivo (parlo dell’approccio di dc in generale).
quindi nessun disordine.
quando uno di voi sale in residenza, realizza il suo intervento, quindi chi sale dopo l’inaugurazione lo fa nel bel mezzo della mostra inaugurata (proteggeremo a terra in modo ordinato e funzionale).
ci interessa dunque anche e soprattutto il carattere di opera aperta e composita che si sviluppa in progressione, di sto oggetto.
potranno partecipare tutti gli artisti già certi in mostra (quelli che leggete nel programma); insieme a quelli tra voi che aderiranno;
che ne dite?
formula fluida.
noi siamo qua e vi attendiamo.
nel frattempo vi saluto, e vi ringrazio
avanti
gianluca (con ariele) …

Mentre riflettevamo, primi giri di consultazioni, su come settare questo lavoro a più mani, è uscita l’idea di riprendere il modello del Cadavere Squisito, altra invenzione di matrice surrealista. Rizzonelli ha spinto in questa direzione, era una partenza questa.
Continuando a scambiare le proprie impressioni, il programma, ed il metodo di lavoro, sono venuti lentamente definendosi.


aprire la via (sebastiano, anna, giorgia)

Nel frattempo, la proposta era stata accolta da quattordici pittori, eccoli: Ariele Bacchetti, Luisa Badino, Mattia Barbieri, Giulia Maria Belli, Giorgia Cereda, Nicola Facchini, Riccardo Giacomini, Silvia Giordani, Anna Marzuttini, Marco Mastropieri, Sebastiano Pallavisini, Filippo Rizzonelli, Alan Silvestri, Riccardo Vicentini.

Sono bravi e si conoscono, quasi tutti direttamente o pel lavoro. Sono diversi tra loro ma non si ignorano e san pensare e pingere e parlare: hanno un fondo comune dunque, dirachiano perlopiù, e le teste che girano, ma non in tondo. Come quegli scrittori e artisti dagli anni ’20: il fondo comune è la base, di conoscenza e di studio, per la connessione dei singoli filamenti, che così mai potranno palesarsi come gli stilismi muti delle monadi trincerate, come celibi interventi agoisti. Nè da qui potrà uscire mai una sequenza di singole cellule irrelate stanti. Già la cura del margine, impone di scegliere, ad esempio, tra aperture e chiusure di campo e di scena, inviti e direttrici, da prendere o stravolgere secondo i casi e le intenzioni immaginative, aree d’interazione e aree pinte intangibili, e così via.

Si è deciso dunque dapprima di non rimanere schematicamante isolati, gli uni accanto agli altri, in rassegna tipologica, che non si vuol fare una teca un baule né una rassegna o armadio degli armamenti: incalmare bajonette.
Si è deciso quindi di non procedere a velare e nascondere i singoli interventi, una volta abbozzati o realizzati, ammazzando così sin quasi da subito il Cadavere Squisito, l’occultamento dei cui frammenti non ci piaceva più: perchè negava il ragionamento organico e la possibilità di una polimorfa architettura da pensare e cogegnare insieme per fasi, si riduceva annullava la zona d’ascolto, si semplificava la procedura della legatura reciproca, si soffocavano la complicazioni della progettualità, che è ciò che anima la tensione dei singoli e la massa o messe complessiva di questo campo intelligente dispiegato che respira, quanto polmone.
Si è decido a quel punto di lasciare l’opera, a partire dalla gestione del supporto, completamente aperta, e di non celare alcunchè, in modo tale che, durante gli avvicendamenti al lavoro, ogni artista potesse vedere bene e del tutto gli interventi precedenti, avendoli chiari, partendo da lì.


primi interventi: silvia giordani e anna marzuttini. al centro giorgia cereda. il alto a destra seba pallavisini

… qui dentro trovi anche questo oggetto mobile sensibile, che è una costruzione ed una poesia e una specie di cordata plastica e un serio cimento. Parliamo della Grande Tavola delle Foreste e delle Acque, che viene realizzata da quattrodici artisti, che attrezzano le relazioni tematiche e le relazioni tra loro stessi nello spazio condiviso della tela brulicante, brulicante ma architettata, e ad oggi (primi d’agosto) gli interventi lanciati sono sette: Sebastiano Pallavisini, Anna Marzuttini, Giorgia Cereda e Silvia Giordani, hanno dovuto aprire il bianco della tela, mica facile decidersi, deponendo i primi segni, una gran macchia liquida al centro.
Quindi ecco Mattia Barbieri, partito da sinistra in alto sopra a Silvia, lanciando uno dei dardi del suo grafismo lirico (Altare Cabriolet) fuor dalla tela, al piano superiore dello Spazio. Quindi hanno attaccato (6 agosto) Alan Silvestri e Marco Mastropieri, che vanno. Luisa Badino, Nicola Facchini e Ariele guardano, si sentono gli scricchiolii e certi fischi uscirgli dalla testa, silenzio profondo e rumore di fondo, crepitii e schiocchi psichici nella sala ferma. 
Poi saliranno gli altri, e chissà dove ci porterà la moltiplicazione, delle forme, delle relazioni, e bisogna vedere e prender spazio e lasciarne, fare i varchi e chiuderli, e questo pannello si muoverà fino a dicembre, e lo vedrai cangiare e cangiare ancora…


mattia barbieri


Qui di seguito alcuni brevi frammenti di testo lasciati dagli artisti stessi, in questa neoformazione proteiforme, liquida come un’acqua, densa di picchi come una foresta, aliena?

La cura dei testi è di Gianluca D’Incà Levis.
Le foto sono di Teresa De Toni.



Primi Frammenti, Schegge:

Primo (30 luglio 2023)
Sebastiano Pallavisini

Tocco a noi di buttare le fondamenta.
‘’Passava l’opinione allora dominante che, di fatto, non si sapesse costruire con bastante lentezza; quest’opinione non era eccessiva e si poteva del resto esitare, spaventati dalla costruzione delle fondazioni.’’ Come buttare le fondamenta di qualcosa che non si sa che forma avrà? Brancolare nel buio, illuminati solo dalla fluorescenza. Come nei racconti di Kafka, si scelse il sistema di costruzione parziale.
‘’Oltre che dal desiderio di eseguire un lavoro definitivo, erano assillati dall’impazienza di vedere finalmente sorgere l’opera in tutta la sua perfezione’’.
Il pannello come le costruzioni architettoniche nei racconti di Kafka é un’opera perennemente incompleta, in perenne mutamento. É un’opera impossibile che troverà la sua completezza solo nell’abbandono.
‘’A connettere mattone dopo mattone in una deserta contrada fra i monti a centinaia di miglia dal loro paese; le desolazione di un tale lavoro, senza un punto di arrivo anche in una lunga vita umana, li avrebbe resi disperati e soprattutto incapaci al lavoro.’’

Secondo (3 agosto 2023)
Mattia Barbieri
OPERA A PARTE, è OPERA APERTA

Fare un quadro a tante mani, mi son chiesto, cosa mai potrà accadere? Bisogna agire con attenzione, ma anche in modo deciso e delicato perché l’obiettivo non è quello di imporsi ma di trovare un equilibrio che sostenga una dinamica corale compatta, fluida e armoniosa. Al mio arrivo identifico nel grande monte dai toni acquarellati il cuore del dipinto. A destra una forma fluida dalle cromie acerbe tratteggia la fisionomia animalesca di un volto umano. La leggerezza del grafismo che s’inerpica dal basso instaura un dialogo morfologico perfetto con l’evanescenza della grande monade centrale. Ma è il gradiente posto sull’asse orizzontale nella parte di sinistra, che pare ritagliato da un tramonto steso su carta patinata, ad ispirare l’intento di creare un’ulteriore quinta al di sopra, conquistando il margine superiore. La replica di una fetta verde che fa da scenario al mio intervento è il campo d’azione entro il quale una figura volante, non si sa bene se sia un angelo o un diavolo, irrompe epicamente nella composizione. I tratti grafici che la costituiscono richiamano una pittura digitale dalle cromie vibranti. La creatura ritratta ricorda la posa di un ginnasta ellenico, un tuffatore pompeiano. Tra le mani tiene uno strumento, un flauto, o forse un corno che si spinge verso il centro del dipinto mostrandoci la miniatura di un paesaggio montano. È l’eco della montagna e al contempo l’eco della Pittura, un po’ come se fosse possibile vedere il suono di un luogo. Dalle labbra del volatore si sprigiona moltiplicandosi la consonante “V”, suono onomatopeico e gutturale del vento tra le gole delle alture.
La pittura è una sfida, un gesto agonistico, sia che la si faccia in solitaria oppure in gruppo, dunque tanto vale metterla in discussione provocando con un passo che apra nuove e infinite possibilità, suggestioni che ogni autore è in grado di portare col proprio pennello per arricchire l’operare proprio e quello altrui.

Terzo
Silvia Giordani (30 luglio 2023)

Quando ho eseguito il mio intervento, i miei colleghi avevano appena infranto il bianco della tela con una grande macchia dai toni blu/verdi, che nonostante la sua casualità, già segnava una traccia, un inizio.

Ero arrivata a Casso con l’idea di realizzare un collage, ma una volta davanti alla grande tela, ho abbandonato il progetto iniziale, ritenendo più efficace abbracciare il percorso in parte suggerito dalla grande macchia. Trovo molto interessante il fatto che il momento in cui ti ritrovi a intervenire sulla tela determini l’intervento stesso. La zona da me dipinta cavalca le suggestioni materiche della grande macchia, andando a costruire un primo orizzonte/spazio all’interno del campo bidimensionale della tela. La macchia iniziale e gli interventi dei colleghi che hanno lavorato poco prima di me, mi hanno portata ad aprire una sorta di finestra/ scorcio spaziale sulla superficie della tela. Spero che il mio intervento possa a sua volta innescare riflessioni e stimoli immaginativi negli altri artisti che interverranno.

Quarto (7 agosto 2023)
Marco Mastropieri

All’interno di un opera corale su cui altri artisti hanno già inserito il loro intervento, andando a delineare un ecosistema interno con regole, schemi e con una propria coesione, forse incoscia a livello collettivo o individuale, e che già funzionerebbe così, come ci può porre un intervento consapevole che si può fare maggiore affidamento sul proprio istinto che sulla propria razionalità?
Per quanto mi riguarda, seppur   abbia destato più domande che risposte, squarciare l’equilibrio pre esistente è stato istintivamente logico, generando una porzione di ambiente montano in tempesta, con una profondità distorta a livello compositivo, un fondo sul fondo, preservando alcune tracce precedenti sulla tela, e creandone di nuove, ritagliando solo in parte l’intervento, così da lasciare possibilità ad altri di entrare all’interno di quell’ambiente, di interagirvi, dialogando o scontrandosi secondo quello che sarà il loro punto di vista.

Quinto (7 agosto 2023)
Alan Silvestri

Come dice Sebastiano le fondamenta sono state gettate e ora l’immagine cresce. Ho inserito in questo grande cantiere l’operaio con le mani in tasca che guarda in silenzio i lavori in corso.
L’operaio osserva quello che é stato fatto e quello che é rimasto in sospeso. Sospeso come un nuvolone carico di pioggia o di qualcosa di imprevedibile che sta per accadere, come per esempio l’intervento di Marco. Osserva la costruzione di quest’opera che é imprevedibile come il meteo il giorno dell’inaugurazione della mostra.
Nella Tavola, nuvole sparse e orizzonti sparsi e una luce da ovest che definisce vari profili di   montagne, come nell’intervento di Silvia e ora anche nelle pieghe dei pantaloni. Da ovest la coraggiosa macchia iniziale e una specie di squadra di tuffatori grigi composta dalla figura volante di Mattia e dall’operaio nuvoloso.

Marco e Alan

Marco e Alan son venuti insieme a Casso per l’Opening delle mostre Delle Foreste e delle Acque, hanno tre lavori in mostra.
E insieme han lavorato alla Tavola, per cinque giorni. Hanno iniziato domenica 6 agosto, primo dì d’apertura, prima mattina col pubblico a girare e loro eran già là in sala a ragionare la tela.
Marco l’ha presa dal basso a sinistra, la Tavola, ponendosi sotto all’intervento di Silvia Giordani.
Alan è montato sulla scala e si è installato tra Mattia Barbieri e Sebastiano Pallavisini.

Marco, che è un tipo romantico preciso e pure un poco tromeggiante, pintualizza Ronchi da Shanghai, ha iniziato a far montagna, una generica montagna, però genericamente ispirata a crode viste proprio quaffuori, mica al cinema: quindi è un’immaginaria montagna friulana e cellina questa.
Un cielo come spacciato è filtrato fuori da sotto, un pack rotto dal quale esce ‘na scena acquaria insomma e anche.
Un margine, quello superiore, increspatosi arricciatosi ispessitosi quel tanto che basta per generare l’impressione dello sfondamento prospettico di uno strato forsesolido, uno sfondamento di campo, e da questo cielovoraginante vien fuori una cosa che al tempo stesso è stagliata avanti, perchè era già lì: un paesaggio della montagna, che è stata dipinta prima del zielo, e che però, per il concepimento della scena, e anche per la rottura degli argini sui fianchi (montagna vascello), non esce arcadica, ma dal pozzo sprofondo effonde i suoi toni.
Ecco i verdi curati in velluto, e poi i segni delle altre presenza tenute, che non dicono di una narrazione, ma certo di un’attenzione, e di un metodo. Quelle lucine a trapungere lo spazio sono importanti. Non sono lucciole, né fuochi fatui, credo. Sono piuttosto le pulsazioni delle Anime Pallide. Perchè le chiamiamo così? Perchè, mentre Marco lavorava, Alan ha letto Storie Pallide, il libro bellissimo di Scardi e Giulia Maria Belli che abbiamo stampato due anni fa.
Compenetrazioni.
Anche Giulia Maria e Scardi verranno a lavorare sul pannello, tra un paio di settimane.
E Marco ha raccolto quel riferimento, trovando così il nome pei suoi gialli riemersi.
Così, infatti, è andata: come la scena montana emerge dallo strappo di cielo, altri elementi piccoli riemergono dal fondo, e son proprio quei punti gialli, fantasmi, ricaricati, che tornano alla superficie della composizione.
Son le gocce acriliche trovate sulla tela, erano sbavate giù dagli interventi precedenti, erano tracce cadute, Marco non le ha elise e le ha tenute, l’abbiamo detto: ha aperto a quel che c’era sotto, ha aperto all’indietro e poi all’avanti, riportando fuori i fochi dalla grottazzurra, e accendendoli.

Gli argini rotti sulle bancate della montagna sono spazi d’invito, canali aperti, le pance a raccogliere, a destra e a manca, con la pittura indefinita, che altri sette artisti devono venire qui, e intervenire, e li si attende, e sono accolti.



Alan invece si è posizionato tra l’intervento grafico (alto a sinistra) di Mattia, e la massa di Sebastiano sulla destra. 

Qui ha preso corpo il suo uomo-nuvola. Il suggerimento è venuto dal ginnasta tuffatore di Barbieri, quel volatore musicante che sparge i suoni nel vento dell’alpe. Ora egli non è più solo.
Quest’operaio librato, non è un omarel.
Non è il semplice osservetore passivo d’un cantiere: vi partecipa invece, anch’egli nuotando l’aria.
Prende quel flusso d’aria diagonale che sale da sinistra a destra, abbandonandovisi.
Le sue gambe, con le scarpe, diventano montagna anch’essi, un’increspatura vistosa, come nei panneggi di El Greco, in realtà i due arti fanno un altro paesaggio montano.
Queste gambe-paesaggio, anche nel colore, assorbono Mattia. Ma si relazionano anche a Silvia, e, nei toni del berretto, riprendono Sebastiano.
Il paesaggio è indossato dall’operaio volante. Anche la sua felpa in pile, diventa nuvolosa. Altre nuvole in alto, non ostacolano il ritmo delle V, preludono.
Qualcosa sta per accadere, aspettativa.
Non si attende un tuono, ma, ancora, gli altri artisti, che verranno a moltiplicare il cantiere.
Il prossimo, dovrebbe essere Badino sensei tra pochi giorni, poi Nicola, vediamo.

Maria Luisa Badino, poliestere, acrilico e pastelli, 19/20 agosto 2023.

E Maria Luisa Badino è arrivata dopo Alan e Marco, ed ha lavorato due giorni alla Tavola.  
Gli interventi principali del suo lavoro sono due. Per ora. Due linee direttrici si fan gallerie e penetrano nel rettangolo da sotto e dal lato, insorgenza da un esterno, questa volta il primo margine contrastato è quello esterno, cosa viene dall’esterno del perimetro, due bocche aperte aprono il perimetro.
 Una prima linea d’armatura sinuosa la prendi a salire dal basso a sinistra, al sommo si sovrappone leggermente all’intervento di Silvia Giordani; l’altra linea orizzontale penetra dritta una freccia da destra, ed entra in contatto – piccola area di contatto – con l’intervento di Sebastiano Pallavisini.

Trovi un nascondiglio sempre vicino, per lasciare la tua pelle usata.
Se ti inoltri tra lastre di detriti arrivi al centro della terra e se strisci verso sud, dopo ore ti aspetta il letto del Fiume Fine.

Serve rimpicciolirsi per entrare e lasciare che scivoli via lo strato che ti stava stretto.
La patina che ti custodiva, ora, si è aggrovigliata su se stessa, puoi lasciarla lì, tra i frutti dell’anemone alpina.

Quelle linee di attraversamento ti hanno protetto dall’aria, dalla luce che adesso scotta, e dalle rughe del rosso ammonitico. La nuova armatura oggi, è più morbida, smussata, giovane e odorosa.

La superficie rimarrà a seccare in grovigli percorribili che si nascondono gli uni con gli altri, complicandosi in montagne e cumuli, per poi dissolversi in segni sovrapposti lasciando evidente la traccia connettiva di terre e tessuti appariscenti e velati.

In realtà, queste sinuosità che penetrano nel campo pinto, che però è anche un’architettura coprogettata, dato che vi lavorano in quattordici, sono sinuose per l’appunto come lo è e quanto lo concede una cotta di maglia, e dunque in modo piuttosto angolare: questo moto torcigliante è geometrico, alcuni cambi di direzione di linea piuttosto dritti secchi, come in una sezione geologica come nelle facies, non il semplice svolgersi dinamico di un animale da striscio o la sua traccia postuma, ma una costruzione, galleria, covo, tana. La pelle è al tempo stesso la tana. L’abitatore è la casa. Gallerie delle crode e dei cristalli?
Queste strutture bio-cunicolari han le volte costruite come quelle di un traforo minerario in alabastro, le centine celesti articolano e proiettano la colorazione cangiante delle squame, questa pelle leggera in realtà è costituita da strati sedimentari, rocce esili supersottili emergenti, come levigare un’intrusione ignea per trarne fili di madreperla dal colore cangiante, che sono anche muri disacerbati, e dunque in qualche modo, la muta diviene un tracciato urbanistico, meglio, un’architettura penetrativa dalle volte liberate, che mentre serpeggiano scalano: le misura della tela; dei suoi cieli, delle crode disseminate; producono anche una lento dinamismo, in parte rotatorio, la spira, mentre alcuni lembi di pelle stan per aria non fissati, sbandiera farfalla, li muovono i venti e le termiche discendenti dalle vette lissopra e avanti e dentro. Mentre l’accentuazione dei cromatismi nei punti d’accesso, col colore meno sottile che ingrossa e rimgruma i setti, è una quasi ironia e un accenno ai completamenti che forse verranno, poi.

13/15 settembre 2023, intervento di Riccardo Vicentini

Textus conexivus.

Le geografie immaginate non allettano, niente tappetino né mappa in scala, ma quale scala? Riscalare.

La tessitura connettiva nemmeno imprime un ritmo decorativo* iterato: ma il metodo per sprofondare l’epitelio nel corpo del paesaggio (iniezione).
(*non c’è William Morris, non c’è qui da proteggere una preesistenza, nè si piantumano orti di montagne, no messa a dimora dei segni arborei ornamantali, si considerano invece gli altri testi pinti, se ne legge il verso, si avvertono e calcolano le lenze prossemiche, si individuano gli usci e gli antri, s’annusa la direzione dei venti).
In effetti, le geografie di Vicentini fan talvolta emergere le immagini realistiche d’impronta scientifica da un fondo immaginifico (apparenza dell’isoipsa), che muta proporzioni e prospettive, finalmente, e si sparge, com’estuario, dal pozzo psichico dell’ingegno sensibile, che non è un motore compilativo.
La geografia così si riplasma mentale, lo spazio non è dato e viene, anche qui, riscalato.
Che mai il territorio potesse coincidere con la mappa.
Che mai – uno sfacelo sarebbe e pleonastico di identità ingroppate, vivremmo i baratri quadrangoli delle corrispondenze d’eccesso, e le implacabili successioni metronomiche.
E invece la rifigurazione ingloba tutto e cambia la successione degli strati, che non è più archeologica o calcaterra, ovvero lineare mimetica, e insomma non si tratta qui di fornire un sottofondo alla composizione generale accomodandovi le parti singolautoriali come su di un soffice canapè, e tantomeno di farlo traverso l’instaurazione di un riproposto modello grafico della geografia fisica rappresentata, perchè invece geografia diviene opzione rimodulante e critica, e però è venuto ora in effetti così anche un primo connettivo omogeneizzante, come se si fosse ora tirato lo Spazio da quell’area centrale e da lì tutte le altre parti prepinte che eran perlopiù distinte (gli otto interventi precedenti sulla Tavola) fossero state legate e vicinate da un filo invisibile d’elestico Paesaggio, etcetera. 

E anche il volo dell’operaio di Silvestri ora somiglia a quello d’un uomo-uccello in sorvolo e l’altro solo scampolo tridimensionale stava fin’ora  nella montagna di Mastropieri e un poco nelle archispire di Badino, che però marcavan distanza pur nelle aperture mentre qui il canale ed i margini son distesi, come i motivi ritmici dei gruppi montani di mappa e delle foreste, che prendono il limite da altri segni e direttrici dalla tela captate (da Pallavisini a destra e Giordani a sinistra), e avanti.



comme de longs échos qui de loin

Ancora sulla deposizione dei caratteri e sulla stratigrafia dell’opera nel suo complesso:

Che mai/se la rappresentazione dovesse mai ripetere indifferentemente l’oggetto colto: saremmo doppi in ogni uno.
Se viene ultimo lo puoi dire un tegumento? Ma invece viene dopo questo sopra ed è posto sotto, il tegumento.
Quindi la geografia, ripetiamolo, questo sfondo di mappa, che vien prima dei singoli oggetti isolati che il bianco inchiodava ad un’area selecta, qui invece vien dopo e li tira, unendoli; 
viene in mente la maglia della rete da pesca, che si sforma e adatta ma non cede, plastica, adattiva, elastica.

E’ come fare un buco per metter dietro la base che invece vedi avanti (come si vede una cosa non è come quella cosa è fatta), ed è così che accade, rimescolandosi; accade che i dopo tornano ad armarsi prima, che gli strati si rimescolano; che i tempi della deposizione non son più quelli dell’organi(ci)zzazione; che quel tempo meccanico successorio viene deformato da questo spazio deliberato amalgamatore.
Che la geografia è un riconcepimento, come anche una traduzione che è sempre un rapimento.
Infatti quest’orografia di Vicentini è fantastica (come la nuova botanica dei Scarpét?).
D’altro canto anche nell’Atlante Major di Loan Blaeu abbiamo trovato subito alcune ricombinazioni: quel tondo a Croce si è fatto Pasino, già qui si marca una differenza, e la differenza è ciò che conta.
 Le gocce gialle a scivolar sul fondo, che dalla tavola scorron giù le acque (come per le anima rifocate nfocolate di Mastropieri).
Insomma, se l’immagine sorgiva vien dal rilievo, esso rilievo avrebbe dovuto esser posto prima e dunque sotto. Questo metodo meccanico Riccardo l’ha bell’e rotto.



7/8 ottobre 2023 – Intervento di Giulia Maria Belli e Riccardo Giacomini

Con l’avvento di Giulia Maria Belli e di Riccardo Giacomini, l’acqua è finalmente comparsa alla base della Tavola.
Quali mai Acque altrimenti? 

I due artisti hanno scelto di collocarsi entrambi nella parte inferiore del pannello, rispettivamente a destra e a sinistra dell’intervento di Marco Mastropieri, che aveva lasciato delle porte aperte, usci schiusi, quegli spazi indefiniti, concepiti quali inviti.
 

La comparsa dell’acqua ha nuovamente modificato l’estetica e il senso generale del racconto della Tavola, sì, l’ha fatto.
In generale, a livello logistico-compositivo i primi interventi avevano a che fare con il vuoto ed i suoi temi-problemi, gli ultimi hanno a che fare con il pieno ed i suoi temi-problemi.
Gli interventi più recenti tendono a raddensare concentrare integrare la tessitura del quadro-racconto, unire, raccordando, sia formalmente che tematicamente, la singole opere (ogni intervento è un’opera-singola-nel-campo-compreso-consentito), che diventano così anche, per l’appunto, le parti di un racconto corale che sta a metà tra un’interazione automatica (si procede senza un piano dell’opera, reagendo istantaneamente agli interventi trovati con il proprio) e una sensibilità relazionale (nessuno ha ignorato l’altro, le aperture dell’altro, come gli spazi-filtro da non invadere e preservare e quelli da attrezzare invece con gli elementi connettivi, cromatici o grafici).
La Tavola è un libro composito dunque. I Canti che compongono questo Poema degli Elementi della Montagna non sono endecasillabi. La struttura narrativa affida i suoi capitoli ai quadri inscritti ed ai loro uncini.



Ad esempio puoi vederla così, una modifica della dimensione grafico-narrativa, se ti pare, o altrimenti: nel momento in cui Giacomini ha disegnato la processione ascendente delle lumache blu, la caverna centrale alla base del gruppo roccioso di Silvia Giordani è diventata una grotta d’acqua, la montagna un Iceberg. Le lumache-pesce nella piscina ipogea, in disparimento progressivo man che vanno al ventre della croda. Acque e freddo son figli anche degli evanescenti cromatismi bluastri artici. Insomma, ecco un mare d’inverno. Acque Fredde.

L’acqua è un elemento carico di molti significati, molto caro a me in questa fase di ricerca artistica, dice Giulia Maria Belli.
Al margine destro in basso della Tavola, la temperatura delle acque cambia di molto. Giulia ha portato un vegetismo grafico tropicante, questo bioma arboreo delle mangrovie collate e dei fondali chiari o trasparenti d’un oceano improfondo, una nuova coltura per la diafana pianta-bostrica di Anna Marzuttini, con la quale comunica anche il linguaggio grafico con la grafite acquerellata, mentre a sinistra il crinale della montagna di Mastropieri accolto specchiato (o forse una dolce acrobazia cetacea?), e la tempesta che si fa acqua…

Le sagome di alberi/scheletro della foresta (che in parte levitano come le lumache di Scardi sul lato opposto, e in parte affondano alluvionati nell’acqua) rimandano a livello tematico al bostrico dell’abete rosso richiamato nell’intervento di Anna Marzuttini, a livello grafico e tecnico al lavoro di Luisa Badino, e nei colori caldi di sagome a tinte piatte all’intervento di Mattia Barbieri. Un dialogo insomma. Uno scambio reciproco.


Giulia Maria Belli – Mappamondo

Che bella apparenza ha il mappamondo o la carta geografica rappresentante il mondo diviso ne’ suoi due emisferi e nelle sue cinque parti! In un colpo d’occhio veggonsi i regni, le province, i mari, i monti, le foreste e le diverse regioni del globo terracqueo: ma in sostanza che cosa è tutto questo? Niente altro che un pezzo di carta tinta ad inchiostro, e su cui cadendo una goccia di acqua corrompe la carta, cancella le figure, e guasta ogni cosa. Altro non è che un bianco dipinto di regni, castelli, torri, onori, ricchezze e felicità che si finge, e talora si crede anche di possedere.
(Dizionario dei paragoni, di D. Bongioanni, Tipografia Subalpina, 1888, p. 125)

Il Dizionario dei Paragoni, dice ancora Giulia Maria, è stato una felice scoperta di questa visita a Casso per me che sono sempre in cerca di stimoli visivi e contenutistici inediti. Quale migliore autenticità di questo? Un testo che da anni si trova proprio lì in canonica, al servizio di chi è di passaggio o di chi un centinaio di anni fa aveva lo stesso mio bisogno di riferimenti visivi e tematici per costruire un discorso che reggesse un pensiero.
La Canonica è quella di Casso: sede della Residenza DC nel paese, grazie al sostegno di Don Augusto, ospita gli artisti che lavorano nell’area del Vajont e al Nuovo Spazio.


Ancora Giulia Maria:
 
Quello che mi ha interessato di più, nel mio intervento sulla grande tavola delle foreste e delle acque, è stato il processo: per me è stata una vera e propria forma di dialogo grafico con le parti preesistenti. Si tratta di un lavoro collettivo ancora in fase di svolgimento, da continuare a mostra aperta. Ci sono diversi inviti da cogliere, una sfida a modificare il proprio metodo di lavoro che si fonde con quello di chi ti ha preceduto. Il processo richiede di cogliere gli spunti presenti, continuare le narrazioni, sviluppare la composizione, aggiungere la propria presenza e lasciare in consegna a chi verrà il risultato delle proprie scelte. Adesso è forte la curiosità di vedere in quali modi il proprio contributo servirà da supporto e stimolo per lo sviluppo della tavola, che prende forma così come un vero territorio, raffigurandone i meccanismi di costruzione, adattamento e trasformazione.


Riccardo Giacomini

Nell’ultimo anno mi sono interessato, dopo averne uccise moltissime facendo un solo passo, all’umile lumaca.
Ho imparato cose interessanti davvero. Tra le altre, che la lumaca è in grado di assorbire residui di contaminanti, inquinamento e metalli pesanti per via trans-epiteliale e per via orale. Le fonti di inquinamento sono diverse, e sempre di più, nell’ambiente in cui le chiocciole vivono. La loro presenza o la loro assenza sono indicatori dello stato di salute delle foreste e delle acque.


Le lumache possono, tra l’altro, diventare velenose per un periodo se mangiano funghi velenosi, e uccidere.
Le lumache blu che ho dipinto, striscianti, volanti e natanti si nascondono nell’anfratto tra le rocce, si sottraggono alla vista con ogni mezzo.
Un titolo di giornale, nella ricerca che ho fatto in preparazione al mio intervento, mi ha colpito:
“Va in Cadore a cercare lumache, disperso un pensionato”.
Ho amato l’idea di questo eroe romantico, che alla fine della sua vita parte per cercare l’ultima lumaca del Cadore, e non tornerà, finchè non l’avrà trovata.

La Tavola Delle Foreste e Delle Acque oggi (ottobre 2023) dopo undici interventi sui quattordici previsti.
Mancano Ariele Bachetti, Nicola Facchini, Filippo Rizzonelli.
Arrivano.

 

10/11 ottobre 2023 – Intervento di Ariele Bacchetti

era detto l’oscuro, quel sempre nostro solitario di efeso, per l’impulso fiammeggiante sulla natura.
mentre qui a lampeggiare nell’occhio di ariele sdegnoso di fuoco (sesta immagine della prima galleria, iconografica).
logos governa si accende trasforma.
da cui tutto proviene
per la via all’ingiù: condensa e diviene, il mare e la terra.
anche se la fisica di questo ritmo atomico è democritea.

anche se qui il climanen gli sarà conteso (condiviso?) dalla scrosciante gravità di rizzonelli (il prossimo artista, anticipo:), che nel rù scellar giù per cascatelle scorre elastica a cingere i massi semimmersi, mentre questi di pioggia di fuoco, ne/li assimila/com-prende, per le cromie e per l’impianto, ma questo lo vedi dopo; per entrambi non vale il caso (parenklisis)

 

PIOGGIA DI FUOCO

Delle foreste e delle acque in qualche modo contiene una lettura emotiva ed estetizzante di fenomeni naturali devastanti che, riletti in chiave speculativa, ci portano a una produzione intrecciata ma anche intrepida volta all’interpretazione condivisa del mondo che ci circonda.
Delle foreste e delle acque tende anche a voler esorcizzare attraverso il pensiero ed il gesto la violenza di fenomeni naturali e a voler ridare vita a biomi infettati dalla consuetudine a ricalcare continuamente luoghi comuni legati alla banalizzazione del dolore.
É partendo da queste istanze, che vorrei appropriarmi del concetto di meraviglia rispetto alla durezza di alcuni fenomeni naturali pesanti e perniciosi per gli apparati immaginativi dell’essere umano, e rileggere il loro significato attraverso l’idea di deflagrazione.
Deflagrazione introduce nella nostra tavola un’anti-analogia che potrebbe sembrar peccare di simbolismo, ma che invece mi porta al significato più intrinseco di questa esperienza: noi ci ritroviamo a ragionare su legno e pietra e acqua nel Vajont; io invece voglio portare l’attenzione sul quarto elemento come forza purificatrice e potenzialmente rivoltosa in questo contesto: il fuoco.
Quando l’uomo medievale, che, privo del metodo scientifico affida la propria fonte di conoscenza ad istinto e phronesis, si relaziona a fenomeni naturali straordinari, li chiama miracoli e li rilegge come attività emotive e potentissime con cui il cosmo ristruttura se stesso e le sue facoltà, accettandone la potenza e riconciliando umanamente e psicologicamente la natura umana e la natura naturale, diciamo, attraverso l’atto creativo.
in particolare ho trovato particolarmente significativa la potenza della meraviglia che viene raccontata nel libro dei Miracoli di Augusta; dove, in particolare rispetto ai fenomeni meteorologici che coinvolgono la caduta di fuoco e meteore dal cielo, gli autori rappresentano la meraviglia e l’estasi salvifica rispetto ai misteri della natura, e la necessità di vivere in armonia con essi. É per questo, e per altri mille motivi che non so ben dire con le parole, che domani, nel mio intervento sulla Tavola delle foreste e delle acque, metterò in scena una Pioggia di fuoco. (Ariele Bacchetti, 9 ottobre 2023)

 

 

Filippo Rizzonelli – Intervento del 2/3 dicembre 2023

Primo guardare (dieci minuti). 2 dicembre ’23, davanti a ronchi e chin.

Come gli altri, anche lui, che è (forse) il penultimo degli interpreti artieri facitori della Tavola (poi mancherà solo Nicola Facchini, che la completerà -lui che l’ha aperta, se vien via dall’Aula Magna, sto crumiro, che la voglia avere in equo canone?- entro marzo 2024, e in seguito la vedremo, dove la manderemo, una volta conchiusa, quest’ARCA capiente, grande saggio di paesaggio delle cumulazioni degli aggregati di cristalli arborescenti  e delle loro dis-tensioni, una specie di cozzo armonico tra assoni e dendriti, i fasci di queste pitture i neuriti estetici delle acque precipiti dalle crode-montagna infestate dai fervidi festoni verdi silvani).
Come gli altri anche lui Rizzonelli è arrivato, e si è messo dapprima a guardare ascoltare osservare. C’è un momento del ghiaccio del volto qui, intenso concentrato, ogni volta che arriva ‘n’altro artista e con filippo fa tredici, un momento più o meno lungo dell’immoto silenzio preventivo, valutativo, nel fronteggiare la Tavola e i suoi pre-venuti autori e il lavoro qui già da loro realizzato, insieme a quello già immaginante del proprio progetto che risalendo dai ragionamenti preparatori a secco  altrove (a valle del contesto) condotti, finalmente si erge sorge cresce e dipana. Come nello studiare un cantiere, o un libro, un’opera aperta, prima di accingersi, prima di ingaggiarla. E’ un’intelligenza spaziale questa che sospende: chi mai potrebbe muovere veloce di repente all’interno di una simile dispiegazione di configurazioni e trovate e capacità e mestiere e profusione vegetativa e rassegna di temi e segni e direttrici e manovre pittoriche compositive e narrazioni? Quel momento concentrato che precede l’azione, quell’attenzione massima negli occhi e nel corpo, immobile: l’abbiamo bevuta, un altro liquido rinfrancante, che dice dell’impegno, e della ricerca della misura, nell’interazione con gli altri, che son tutti bravi e diversi, ed anche se pensando e venendo sapevi già cosa fare, devi infine capire dove metterti, e quindi ancora una volta con Fedro è il come a prevalere (nel come c’è il dove del cosa, che non è logismo ma contesto).


C’era freddo, quando è venuto Rizzonelli, per questo la merdella del suo can, Nina, per terra nello spazio spersa s’è tosto indurita (l’avevamo detto noi d’altro canto a tutti all’inizio: vi sarà possibile, artisti, esulare dallo spazio della tela, per mandar dei dardi, come ha fatto mattia barbieri, oppure alcune estroflessioni o brillamenti, fate voi, in terra, pei muri nell’attorno, nei cieli. eccoci dunque, raschia la merda, quadro aperto che si sversa).
Se vieni qui e sei un tipo attento dunque (ma se non lo sei rimanevi a casa), al principio ti concentri e provi a capire, e scorgere la parvenza litificata del moto intellettuale è uno spettacolo (del precorrugamento cogitativo-cognitivo), perché quella stasi è l’innesco. 
blocco. di partenza. Ha capito subito, Filippo, e noi gliel’abbiamo chiesto esplicitamente: lui, venuto alla fine, ha avuto un ruolo, un compito quasi, si può dire, che i primi, più liberi in tal senso, non hanno avuto: far collaborare le parti, mica semplice, vuole dire farsi carico di un apparato complesso, per uniformare o connettere, tutte queste splendide parti speciali e diverse che si son guardate (quanti tiri dritti di sguardi, sessantasette tiri, sin qui, e mancano i dodici dardi di nic, è il numero degli sguardi sulle parti autoriali del corpo globale), vuole dire fare il proprio ma anche fare ordine con gli altri, insomma: ci vuole chiarezza spaziale e d’impianto, disposizione alla suturazione, è un lavoro da urbanista, da anatomo patologo, per il quale serve la visione del corpo intiero, vasto fior-florescenza di schiusa corolla, e delle sue ramificate eterogenee flessibili insorgenze, e la capacità di intervenire su di esso complesso oggetto polifonico, e questa dote, di controllare molte parti e guidarle senza accrocchiare né coprire né tradire né far toppe arbitrarie, non è comune, e però un pittore dal metodo e segno aggregativi dei lacerti e dei frammenti paesaggi qualche volta lo sa fare: e questa è una di quelle volte.


rizzonelli, intervento compiuto, sotto i dettagli.

Alcuni spunti catturati da lui stesso Filippo mentre leggeva Celati, che gli son risuonati, che risuonavano qui, lui li ha fatti risonare qui, se leggi un libro aperto perchè sai che un libro è il vento raccolto è impossibile che non si crei una rete dei rimandi, un libro vero s’intende, credo di corpo nella pagina dell’anima, che quel suono di carta girato della pagina scartata che batte cola ti arpeggia o ti fresa il cervello, è impossibile che non attecchisca alla realtà della cosa fluente se l’avverti, se li avverti entrambi e sai aprire le manette: valore dei concetti e delle sensazioni aspecifici, che marcan terra, mente, cielo, si sa, chi entra nel testo sa che il testo è una picca che spicca, abrade ama scava risputa e spicca, chi sa tendere a un paesaggio lo nutre, la fonte del testo è inesaurita, già ogni singola rilettura non s’assomiglia ed è una doppia traduzione, la congerie permanente, bollitore incrostato di sostanze, se avvicini l’occhio si spalancan firmamenti da quelle macchie bianche secche rapprese, o inferni, o entrambi, tra i fusti e i rii, e avanti.

La piaga ha fatto sangue, cotone e calza diventati uno gnocco. In un prato d’erbe molto alte dove un cartello dice 45° PARALLELO, sto passando da una regione a un’altra del mondo

Le cose che sono là che navigano nella luce, escono dal vuoto pr aver luogo ai nostri occhi. Noi siamo implicati nel loro apparire e scomparire, quasi che fossimo qui proprio per questo. Il mondo esterno ha bisogno che lo osserviamo e raccontiamo, per avere esistenza

Nomi strani, l’idea d’un piccolo stanziamento, e poi invece sempre luoghi complessi che ci vorrebbero mesi per conoscere un po’. Ogni volta è una sorpresa, scopri di non saper niente di previso del mondo esterno

Altre parti di citati citate non citiamo, perchè, altrochè: andando (o tornando, o stando) presso o verso la foce, ogni genere d’atto può essere, divenire, venire inteso, come stolto o superfluo o saccente, le parole allo stesso modo delle azioni però, sii franco, sii dritto, allo stesso modo delle pennellate ad esempio, quindi non fregnacciamo sulla sola parola, e infatti nessuno la fregnaccia, ma quando estrapoli e citi isoli una mambrana dal fluxo quindi puoi far confusione o sbranare, quindi è bene schiarare, che questo non è un asilo d’intelletto:
chi è qui, e chi ci viene, non è né inetto né smemorato, e questa è un’evidenza necessaria e determinata e determinante;
nessuno dev’essere abbastanza furbo da restare a casa, per tre motivi evidenti:
non bisogna tendere ad essere furbi, ma intelligenti, ovvero sensibili;
non bisogna stare fermi quando è il caso di andare, per gli spazi (come non bisogna andarci quando si ha da star fermi, Beckett, Walser, Bernhard, etcetera);
non esiste alcuna casa quando uno cerca, e qui si cerca;
poi ancora, è certo ed evidente non è affatto vero che gli alberi non si muovono, mica son bambolati, anche se qualche minchione li abbraccia: vengono giù a milioni, guai a praticare la retorica del bosco silente (e fiacco): sai dove sei? si chiede all’uomo. Perchè anche il (poeta) alle volte fa banalità d’ambiente. studiare le foreste, sfondate dalle acque insondate, etcetera. 
E infatti, qui sono state studiate, ed è quello che vedi, se guardi bene, e guarda bene, fratellino, guarda bene.

 

Foto: Teresa De Toni

 

 

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